Contorni, Passato identitario
1 Agosto 2016Giulio Angioni
Non solo in Sardegna l’interesse intorno alle statue di Monti Prama aumenta. A distanza di quasi mezzo secolo dal loro rinvenimento nelle campagne del Sinis nel 1974, tornano alla ribalta dei media dopo l’accurato restauro, poi per la disputa su in quale o in quali musei metterle in mostra, poi, scelta la dislocazione a Cagliari e a Cabras, nuovamente per la ripresa degli scavi archeologici nell’area della necropoli e la venuta alla luce di altre statue.
Non solo in Sardegna tendiamo spesso a sentirci tutti archeologi, tutti etnologi e tutti linguisti, ma nel caso delle statue di Monti Prama è prevalso un po’ troppo il complesso del complotto, cioè il tema facile, ingenuo e subalterno del silenzio colpevole di ‘qualcuno’ che avrebbe occultato tutto per decenni. Chi ha la mia età sa per lo meno qualcosa della statuaria di Monti Prama. Giovanni Lilliu ne fece subito divulgazione nella stampa, e l’immagine di un «guerriero» di Monti Prama è in copertina del suo La civiltà nuragica, del 1982, dove si fa il punto intorno a quegli inaspettati e straordinari reperti.
Per anni le due statue meglio conservate sono state esposte nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari. Si poteva fare di più per studiare e rendere fruibili quei resti impressionanti del nostro passato? Certamente, come sempre e dappertutto. Persino io che ne so meno di tutti, ne so abbastanza da ritenere che tutto sui cosiddetti «guerrieri giganti» di pietra del Sinis è controverso, a cominciare dal dibattito in corso fra gli studiosi sull’inquadramento cronologico delle statue, attribuite dai punicologi a fine VIII e a VII sec. a.C. e dai preistoricisti collocate fra X e IX secolo o addirittura nell’XI sec. a. C. Un divario notevole, che muta molto il quadro storico di riferimento, ora legato al mondo fenicio, ora al mondo nuragico.
Interessante anche stavolta che, per esempio, il patriottismo sardo tende a essere legittimamente rialzista e meno legittimamente confonde la statuaria di Monti Prama con l’Atlantide platonica e con tanto altro di meraviglioso nelle antichità sarde. Forse però ne so abbastanza persino io per fare una considerazione più generale. Il patriottismo, localistico o no, che si concentri sul patrimonio culturale soprattutto preistorico, si esprime spesso con manifestazioni di quella concezione cospiratoria della ricerca storica e della tutela dei beni culturali a cui accennavo prima.
Non succede solo in Sardegna e in luoghi come la Sardegna, dove c’è gran bisogno di maggiori finanziamenti e di più personale esperto nella ricerca e nella tutela dei beni culturali, dove c’è molto da cambiare e da migliorare nel funzionamento degli organismi di ricerca e di tutela, dove operano anche dei poco capaci in posti importanti, dove è pure vero che si sono affermati comportamenti di ricerca e di socializzazione dei dati molto personalistici e carrieristici, come è vero che spesso risulta dannosa la concorrenza anche sleale tra soprintendenze e università e altro ancora di negativo. Ma non si fa un buon servizio quando si spara nel mucchio, presentando soprintendenze e archeologia accademica come una congrega di occultatori di grandi documenti della preistoria e della protostoria della Sardegna, per non dire della storia, dove pure è ricorrente l’accusa contro una storiografia asservita a interessi antisardi.
Gli archeologi da università, da museo e da sovrintendenza conoscono bene il legittimo desiderio di conoscere e valorizzare il proprio passato, se è vero che in Italia sembra non esserci sindaco che non spinga allo scavo anche perché persegue più o meno realistici progetti di sfruttamento turistico. E siccome non sempre dallo scavo viene fuori il reperto sensazionale, molti amministratori locali si sentono vittime anch’essi di una congiura di soprintendenze e università ai danni del territorio e dell’orgoglio locale. Così in molti ci si lascia andare a una dietrologia rancorosa che spiega questa supposta cospirazione con lo scopo di tenere, per esempio, i sardi nell’ignoranza e nello scarso orgoglio del proprio passato.
E spesso sembra che gli addetti ai lavori sul passato non riescano nemmeno a far intendere almeno ai politici più accorti che possiamo essere certi che nonostante i tombaroli, gli scarsi finanziamenti, gli scavi mal condotti e i dati di ricerca poco socializzati da parte degli specialisti, ci sarà sempre tanto nel sottosuolo delle regioni mediterranee per dare adito a ogni possibile immaginario, da Atlantide all’ufologia, ma che ci resterà anche tanto di visibile nei nostri paesaggi, per restare impressionati da una preistoria e protostoria monumentale così presente ed emergente come in Sardegna.
E allora, forse, bisognerebbe impiegare tempo ed energie nel far capire che è una perdita di tempo e di energie, anche patriottiche, la ricerca del nemico della preistoria e della storia locale, per esempio sarda, specialmente quando il nemico si individui nei sardi stessi, così spesso accusati di essere rinunciatari e servi di chi avrebbe interesse a tenerli umili e dimessi davanti alle glorie altrui e vergognosi del proprio passato occultato e immiserito.
Eppure non pare così difficile, per gli studiosi, sfruttare invece le indignazioni per individuare problemi irrisolti e comportamenti inadeguati. Eppure rimane un compito urgente mostrare e dimostrare la pochezza fideistica delle teorie, delle proposte e delle pretese, ancora per esempio in Sardegna, dei fans degli Shardana o di Atlantide. Ma rimane anche il problema maggiore che tanti, troppi e insospettabili, anche tra i politici che possono decidere sui finanziamenti, le prendano sul serio e non mostrino il bisogno di una seria informazione, a cui del resto nessuno li ha abituati.
Bisognerebbe riuscire molto di più a parlare da megafoni adatti e a scrivere su fogli o siti capaci di far intendere alla media intellettualità non solo la pochezza di certa archeologia desiderante, che sarebbe invece utilissima qualora diventasse supporto di operazioni scientifiche ben più utili, persino esaltanti, se adeguatamente appoggiate da una politica e da un’opinione pubblica meglio informata anche per l’impegno di specialisti meno umbratili al servizio di un sapere da mettere a disposizione di tutti.