Covid e vaccini. Perché dobbiamo proteggere chi sta in carcere
1 Gennaio 2021[Liliana Segre e Mauro Palma]
Difficile dover decidere le priorità nell’accesso a una misura di tutela della salute, così fondamentale come un vaccino, mentre incombe tuttora il rischio dell’esplosione dei suoi improvvisi focolai.
Per questo l’azione del governo – e del ministro della Salute in particolare – a cui è affidata la responsabilità di tale decisione va guardata con rispetto. Difficile dover decidere le priorità nell’accesso a una misura di tutela della salute, così fondamentale come un vaccino, mentre incombe tuttora il rischio dell’esplosione dei suoi improvvisi focolai.
Per questo l’azione del governo – e del ministro della salute in particolare – a cui è affidata la responsabilità di tale decisione va guardata con rispetto, senza accavallare pressioni e senza la pretesa di avere la parola decisiva. Tuttavia esiste un criterio ineludibile: la protezione deve essere più rapida laddove la vulnerabilità è maggiore, sia per fragilità soggettiva, sia per il contesto a cui una persona è esposta. Da qui, infatti, la decisione di priorità per il personale sanitario, per gli ospiti nelle residenze per anziani o disabili.
Per questi ultimi, la doppia vulnerabilità, quella personale e quella dell’ospitalità all’interno di un luogo chiuso, dove la libertà di movimento è fortemente limitata se non preclusa, è fattore decisivo per stabilire una vulnerabilità accentuata. Eppure non sono le sole persone a vivere tale criticità, perché i luoghi di privazione della libertà sono anche altri, tutti tenuti insieme dallo stesso rischio di uno sviluppo non controllabile del contagio, una volta che il virus sia entrato in quegli ambienti.
Per questo, già nell’interrogazione formulata al Presidente del Consiglio e al Ministro della Giustizia in data 17 dicembre a firma Segre, De Petris e Marilotti è stata evidenziata la necessità di considerare l’ambiente carcerario come luogo di prioritaria attenzione nella vaccinazione che il nostro Paese sta predisponendo. Il carcere è luogo strutturalmente chiuso, dove peraltro, dati i numeri attuali, la misura preventiva del distanziamento è impossibile e dove il tempo trascorso all’interno di un ambiente stretto e condiviso, quale è la camera di pernottamento, ricopre ampia parte della giornata, se non quasi la sua totalità.
La connotazione personale e sociale della popolazione detenuta rivela inoltre una particolare vulnerabilità dal punto di vita sanitario, dati i difficili percorsi di vita che molto spesso connotano coloro che giungono in carcere. Positivamente, la Camera dei Deputati ha approvato un ordine del giorno, d’iniziativa di Roberto Magi, che impegna il Governo a muoversi in tale direzione. Ora è importante che questa indicazione entri effettivamente nella programmazione degli interventi vaccinali e che alla doverosa priorità assegnata a coloro che in carcere operano, si affianchi quella per coloro che vi sono detenuti.
Anche perché è ovvio che la condizione materiale di un luogo dove la convivenza è forzata crea tra tutti i presenti un rapporto inscindibile, per cui l’eventuale contagio tra i carcerati finirebbe per riverberarsi anche sugli stessi operatori che si prevede di proteggere con priorità. Ma non è soltanto un principio di equità, e non è neppure solo un imperativo dettato da quell’aggettivo “fondamentale” che la nostra Carta attribuisce al diritto alla tutela della salute di ogni persona, indipendentemente dal suo essere libero o detenuto, innocente o colpevole.
È proprio un obbligo, poiché alla privazione della libertà dei custoditi fa riscontro la responsabilità per il loro benessere di chi esercita il diritto-dovere di custodirli, cioè dello Stato. Siamo dunque certi che il Governo saprà dare la necessaria priorità ad un piano vaccinale che riguardi tutte indistintamente le persone che vivono e lavorano nelle carceri.
La Repubblica, 2 gennaio 2021. Liliana Segre è senatrice a vita, Mauro Palma garante nazionale dei diritti dei detenuti