Cronaca di una campagna fallimentare: il dominio .srd

16 Luglio 2020
[Andrea Maccis]

Quando, nel 2015, mi son convinto di poter lanciare una campagna per l’ottenimento del dominio Internet .srd per la Sardegna, non sapevo esattamente cosa aspettarmi.

Sia chiaro, l’idea non era mia. Di .srd si parlava almeno dal 2005, cioè da quando i catalani avevano ottenuto il loro .cat. Però, visto che dalle nostre parti non era stato fatto molto, se non parlarne e perlopiù in ambienti indipendentisti, ho pensato che fosse arrivato il momento di provarci, magari i tempi erano finalmente maturi.

L’argomento aveva importanti ripercussioni economiche, culturali e sociali, tali da non poter permettere che restasse relegato in una nicchia di interesse.

Sapevo che la procedura per il riconoscimento, rigidamente normata dall’Autorità ICANN, avrebbe richiesto competenze e risorse assolutamente non nella disponibilità di un singolo attivista.

Sapevo che convincere a interessarsene le Istituzioni e i politici, attori indispensabili in questo processo, sarebbe stato molto complicato e avrebbe richiesto tempo.

Sapevo che per suscitare l’interesse dei sardi sarebbe servito molto di più della promessa di poter essere “indipendenti” su Internet.

Ma sapevo anche di essere sufficientemente testardo.

Era comunque chiaro che avrei avuto bisogno di chiarirmi le idee confrontandomi magari con qualcuno che aveva gia concluso con successo un’esperienza del genere. E quindi dovevo parlare con i catalani o con i bretoni. O con entrambi, come poi ho fatto.

Il risultato dei miei carteggi elettronici con loro era abbastanza inequivocabile. Bisognava costruire consenso e consapevolezza intorno alla campagna, bisognava mostrare che un numero sufficientemente ampio di persone era interessato e favorevole e infine bisognava mostrare i numeri alle Istituzioni, in modo che potessero rendersi conto che i sardi esprimevano un bisogno nuovo che andava soddisfatto. Ma come?

I bretoni, con una petizione online, avevano raccolto 10.000 firme in tre mesi per il loro .bzh, un modo furbo per misurare l’appeal dell’iniziativa. E quindi, perché non cercare di raccogliere e costruire consenso proprio in Rete e attraverso la Rete anche per il .srd?
Dopo alcuni click e un messaggio trilingue (italiano, sardo, inglese) la petizione per la richiesta dell’attivazione del .srd (https://change.org/srd) era accesa ed ero il primo firmatario.

lcuni giorni di assestamento, necessari ad estorcere le firme a familiari, amici e conoscenti, e la fase 1 della campagna poteva partire. L’idea era di rendere nota alla stampa l’esistenza della petizione, sperando che il loro interesse potesse scatenare il moltiplicatore dei consensi.
Ora, per chi non ha alcun aggancio tra i mass media, non è che ci siano tanti modi di contatto se non inviare delle email agli indirizzi di redazione, rendendosi disponibile a fornire qualsisi ulteriore dettaglio necessario alla stesura di un eventuale articolo.
La fase 1 è stata disastrosa. A parte qualche piccola testata online che ha passato la notizia, non c’è stata proprio alcuna risposta.

Poco male. Che non sarebbe stato tutto rose e fiori era abbastanza prevedibile, ma alla lunga si sarebbero visti i risultati.
Ecco perché la fase 2 doveva prevedere il coinvolgimento dei personaggi sardi “famosi”, quelli che non perdono occasione per manifestare pubblicamente il loro legame con la Sardegna. Insomma, chi meglio di loro avrebbe potuto fare da cassa di risonanza al dominio .srd? L’effetto moltiplicatore dei consensi l’avrebbero scatenato loro con il loro interesse.

Solita procedura di chi non ha agganci: contatto via email, stavolta passando dagli addetti stampa.

Gentile Andrea,

ogni giorno riceviamo come immaginerai decine di mail in cui ci chiedono di supportare diverse cause e aderire anche solo con una firma a petizioni che indubbiamente hanno bisogno di attenzione.

Abbiamo deciso negli ultimi anni di limitare al massimo le nostre adesioni per non rischiare una sovra-esposizione mediatica e per non snaturare le campagne alle quali invece abbiamo deciso di aderire, che sono sempre poche e abbastanza mirate.

Pertanto dobbiamo dire di no, e spero tu capisca le nostre motivazioni.

Un caro saluto e in bocca al lupo per la tua campagna.

Credo che questa, tra le prime risposte ricevute, sia più che rappresentativa.

La fase 2 non poteva che essere un disastro. Era chiaro che con quelli “famosi” non ci sarebbe stata proprio speranza. Come era immaginabile da chiunque sia sufficientemente pragmatico, quelli “famosi” valutano numericamente qualsiasi spendita della loro immagine, al punto da centellinarla accuratamente, quindi per la campagna per il .srd non ne avrebbero versato neanche una goccia.

La fase 3, per esclusione, doveva obbligatoriamente basarsi sul ritorno al principio fondamentale sul quale la campagna nasceva fin dall’inizio: cercare in Rete l’aiuto per qualcosa che era della Rete.

Bastava coinvolgere quelli “noti” sui social insomma. Ricalibrare il concetto di fama in un contesto di Rete ma con la stessa intenzione: moltiplicare l’interesse e i consensi.
Il target ideale erano i personaggi social sardi e le pagine social sarde. I loro tantissimi follower sarebbero stati i protagonisti dell’effetto moltiplicatore. Le pagine sarde di satira, ad esempio, erano perfette!

Aggiungiamo il fatto che per contattare qualcuno sui social non serve neanche passare attraverso email che non si ha mai la certezza assoluta che siano arrivate o che siano state lette. Sui social bastano i messaggi diretti. Sì, era la soluzione giusta.

Convinzione che è durata molto poco in me, devo dire. Il punto è che l’indifferenza o addirittura l’ostilità aprioristica non hanno lasciato alcuno spiraglio negoziale.

 

Grazie, ci ragioniamo su e decidiamo

Ora do uno sguardo, grazie

Sinceramente non mi va di partecipare a iniziative di tipo secessionista, mi va benissimo il dominio .it siamo in italia e siamo italiani, poi sardi

Questi sono solo alcuni esempi delle risposte che ho ricevuto e che hanno portato a un notevole nulla di fatto.

Chiaramente, nel mezzo, ci sono stati anche alcuni casi di forte interesse, tra cui quello dimostrato dall’allora Consigliere Regionale Paolo Zedda, autore di un emendamento alla Legge finanziaria del 2017, che prevedeva lo stanziamento di una piccola somma per avviare una analisi di fattibilità preliminare.

Però sono passati 5 anni dall’apertura della petizione online e le firme sono ancora poco meno di 4.600, molte delle quali raccolte grazie all’aiuto di poche persone interessate, alla pubblicazione della petizione su qualche blog abbastanza noto e all’effimera visibilità scaturita dal passaggio inconcludente, fino a ora almeno, del .srd in Consiglio Regionale.
L’interesse sembra ancora totalmente inesistente mentre l’ostilità aprioristica sembra esistere eccome.

Cosa è mancato?

Cosa si potrebbe fare meglio?

Veramente solo gli indipendentisti riescono a essere favorevoli al fatto che la Sardegna abbia un suo dominio Internet?

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI