Curare le ferite della sinistra e ripartire senza bandierine
1 Ottobre 2018[Marco Revelli]
Giorno dopo giorno vediamo gonfiarsi la nube nera che in parte ha già occupato, la nostra esangue democrazia. Ha il volto rozzo di un ministro di polizia e una voce potente che dice di essere vox populi.
Divora e dissolve ogni giorno un pezzo del nostro patrimonio civile: l’universalismo dei diritti, il principio di reciprocità e il rispetto per l’altro, il primato della legge e la certezza del diritto, la memoria storica dei nostri orrori e dei nostri peccati travolta dall’urlo roco “prima gli italiani”… Ha divorato anche, in 100 giorni, il proprio partner di governo, riducendone ai minimi termini l’audience, colonizzandone il linguaggio, ridimensionandone l’agenda. Oggi il governo gialloverde, il governo Conte, è per i più il governo Salvini, che vede crescere nei sondaggi il proprio capitale elettorale perché dimostra di saper occupare tutta la scena e soprattutto di essere “forte” (dunque credibile). La Forza è tornata a essere risorsa politica principale. Non la Ragione. Non la Giustizia. Nemmeno l’Onestà. Nessuna delle classiche virtù repubblicane. Ma la semplice, nuda, ostentata Forza (la risorsa primordiale di ogni comando), messa al servizio della Paura. Della capacità di far paura come risposta alle paure diffuse nel “popolo”: non ai loro bisogni, non ai loro diritti lesionati, ma a quelle paure su cui Salvini galleggia, e intende galleggiare a lungo.
Diciamocelo pure. A Matteo Salvini di risolvere il problema delle migrazioni, di ridurre l’insicurezza dei cittadini, di levare dalla strada le figure che a quell’insicurezza danno corpo, non gliene può fregare di meno. Anzi, lavora per diffonderla e aggravarla. Il decreto che porta il suo nome va esattamente in questa direzione: le parti più oscene del suo dispositivo (la riduzione ai minimi termini dei permessi umanitari, lo smantellamento di fatto degli Sprar, il taglio della spesa per “integrare”) renderanno meno controllabile e più “inquietante” quella massa di poveri tra i poveri, come appunto inquietante è tutto ciò che non è pienamente riconoscibile e integrabile in procedure condivise. Ne spingeranno una parte nell’ombra e nel “mondo di sotto”. Garantiranno manodopera a poco prezzo per la criminalità più o meno organizzata. E permetteranno alle sue camicie verdi di continuare a capitalizzare su quel magma informe e sul disagio che ne consegue (la profezia che si auto-adempie).
La sentiamo venire quell’onda nera. E ne siamo spaventati, perché sappiamo che è già stato e per questo è possibile. Siamo già caduti: noi, l’Europa… Basta leggere l’incipit della quarta di copertina dell’ultimo libro di Scurati M. Il figlio del secolo – «Lui è come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è un’Italia sfinita, stanca della “casta” politica, dei moderati, del buonsenso» -, per sentire un brivido nella schiena. Parla della resistibile ascesa di Benito Mussolini al potere. Sappiamo cosa significa – lo vediamo in cronaca -, ma non sappiamo come resistere. Le nostre parole suonano stracche. Parlano a noi, se va bene. Ma non alla massa che lo segue come la tribù segue lo sciamano che ne esorcizza i terrori. Quella segue le “sue” parole, che non ammettono repliche perché sono vuote di senso ma hanno un suono profondo (hanno l’opacità della pietra), non esprimono ragionamenti ma sentimenti, umori, rancori di quanti si sentono “traditi” e per questo non credono più a nessun altro linguaggio che non sia quello della vendetta, del cinismo e del ripudio dei propri stessi antichi valori (le tre maledizioni che James Hillmann associa alle risposte perverse a un tradimento subito).
Riportarli al “lume della ragione” – organizzare una qualche Resistenza – vorrebbe dire in primo luogo tentare di curare quella ferita. Risarcire e riparare. Dovrebbe essere questa la strada per erodere quel seguito limaccioso su cui prospera il fascino indiscreto del Demagogo. Ma per far questo occorrerebbe un nuovo linguaggio, lontano dal gergo stantio di una sinistra esplosa. E soprattutto una nuova forma di pensiero: un pensiero non omologato, non ripetitivo del recente passato, non conforme ai dogmi del pensiero unico fino a ieri dominante. Anche questo dobbiamo dircelo con chiarezza: l’opposizione che oggi viene “dall’alto”, l’opposizione dei columnist dei principali giornali, l’opposizione di Repubblica, del Corriere, de La Stampa, così come quella di Bankitalia, della burocrazia ministeriale, dei banchieri e dei finanzieri è benzina sul fuoco populista. Non è richiamando i vincoli di bilancio e le tavole di calcolo di Bruxelles. Il “rigore dei numeri” e della matematica in contrapposizione al “linguaggio magico” degli altri (così ieri su La Stampa). Difendendo la privatizzazione financo dei ponti crollati o la legge Fornero nella sua (crudele) integrità. Ed erigendo a eroi i commissari europei messi a guardia della loro austerità, che si prosciugheranno quei bacini dell’ira. Non è difendendo l’ Europa così com’è che si eviterà il contagio.
È, al contrario, lavorando con umiltà e senza velleità di primogeniture alla costruzione di un fronte ampio trans-nazionale, europeo, di forze determinate a combattere l’austerità e l’avarizia matematica in nome di un reale programma di redistribuzione della ricchezza e di restituzione dei diritti ai lavoratori e ai cittadini, riconoscendo e denunciando i “tradimenti” consumati e le assenze più o meno colpevoli. C’è chi ci sta lavorando. Auguriamoci che lo faccia assumendo un pensiero largo, senza recinti né bandierine.
[da il manifesto]
14 Ottobre 2018 alle 05:49
sono d’accordo con l’analisi e forse con la soluzione proposta, però bisogna imparare a dirlo con parole molto ma molto più semplici, più penetranti, facilmente comprensibili, orecchiabili, ripetibili, che possano arrivare ovunque. non è un invito ad abbassare il livello culturale, è un invito a far arrivare i messaggi a tutti in modo efficace.