Dacca è vicina

1 Luglio 2016

Franco Uda

Una riflessione di Franco Uda, coordinatore nazionale dell’Arci per Pace, solidarietà e cooperazione internazionale e Segretario regionale dell’Arci della Sardegna sul recente massacro di Dacca.

Fin dal lontano 1 agosto 1971 – quando fu organizzato al Madison Square Garden “The concert for Bangladesh”, per reperire fondi a fronte della drammatica situazione umanitaria in quel Paese, che vide la partecipazione di numerosi artisti internazionali tra i quali George Harrison, Ringo Starr, Ravi Shankar, Eric Clapton e Bob Dylan – non più di tanto è stato raccontato di questo piccolo Stato che si affaccia sul Golfo del Bengala, incastonato tra India e Myanmar. Eppure, in questi ultimi anni, è stato il teatro di una lotta intestina per la leadership dell”internazionale del terrore’, tra al-Qaeda e Daesh.
Il recente massacro nella sua capitale Dacca – che ha avuto una grande eco nel nostro Paese per gli 11 italiani vittime dell’attentato – è certamente da iscriversi in una delle azioni dimostrative di questa faida di bande jahadiste che sta infiammando anche altri Paesi, come Afghanistan, Libia, Yemen e, da ultimo, Siria.
Non possiamo certo guardare con distacco questa guerra tra fazioni di criminali, che colpisce civili inerti, alimenta lo stato di terrore mondiale e dà fiato ai rigurgiti xenofobi e ultranazionalisti. Non possiamo farlo anche perchè abbiamo una coda di paglia che si chiama “scelta delle alleanze”.
Il terrorismo jahadista è, tra le altre cose, il frutto avvelenato di un’espansione culturale e religiosa di una parte dell’islamismo sunnita, il salafismo e il wahabismo, che propugnano l’idea di un Islam puro e non contaminato dai valori ‘avvelenati’ dell’Occidente e che individua in questo la causa della corruzione degli uomini. Sostenuto finanziariamente – e non solo – da Arabia Saudita e Qatar, crea un corto circuito senza soluzione di continuità: da un lato tutti sono contro il terrorismo internazionale – che crea numerosi problemi anche nella sicurezza interna della stessa Arabia Saudita – e lo combattono con forza, ma le politiche di espansione culturale e religiosa di questi due Paesi in particolare, creano tutte le condizioni per una proliferazione di foreign fighters e adepti di ogni genere alla causa di Daesh.
La comunità internazionale conosce perfettamente questa spirale dell’orrore ma non riesce a spezzarla: la forte dipendenza dai combustibili fossili per i fini di approvvigionamento energetico e il ricorso alle ingenti risorse dei fondi sovrani di questi Paesi per i fini di risanamento dei debiti pubblici o delle banche private, crea un meccanismo di complicità perversa che sembra inestricabile.
O saremo in grado di fare scelte nette e lungimiranti – anche mettendo in discussione il nostro modello di sviluppo, le politiche neoliberiste e i nostri stili di vita – o quello che oggi consideriamo un approdo di civiltà, scienza e tecnologia, sarà destinato a essere messo sotto scacco in questa o in altre future fasi che gli elementi di contraddizione del sistema così com’è produrranno ancora.

 

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