I guardiani del Faro
16 Aprile 2010Stefano Deliperi*
Ritorna in auge un progetto già elucubrato dalla quella mente finanziaria creativa del Ministro dell’economia Giulio Tremonti qualche anno fa: lucrare sui beni demaniali militari per fare cassa. In poche parole una fase ulteriore rispetto alle sciagurate operazioni di cartolarizzazione e svendita di beni pubblici già viste nel recente periodo.
Il Ministero della difesa, nella persona del sottosegretario Guido Crosetto, ha annunciato (vds. Il Sole 24 Ore, 12 aprile 2010) l’intenzione di valorizzare o vendere parte del proprio patrimonio. Fari, caserme, installazioni, forti, molti dei quali tuttora in uso: 36 beni rimarrebbero parte del demanio militare, manterrebbero le loro attuali funzioni e aggiungerebbero quella del resort di lusso sull’esempio del Faro di Capo Spartivento, parzialmente ceduto in locazione pluriennale, mentre altri 76 beni cesserebbero la loro natura demaniale e – previo mutamento di destinazione d’uso da effettuarsi da parte dei rispettivi Comuni – sarebbero posti in vendita. E sa il cielo come possa conciliarsi un eventuale utilizzo turistico con il tradizionale uso militare o della sicurezza della navigazione, così come è tutta da vedere la collaborazione che presteranno i Comuni per le attività di competenza di tipo urbanistico. Considerata la fame di risorse finanziarie e di strutture immobiliari di cui disporre che attanaglia moltissimi Enti locali è facile immaginare polemiche e contenziosi.
Nemmeno sembrano adeguatamente approfondite le problematiche giuridiche inerenti la dismissione della funzione demaniale militare, anche parziale. Basti pensare che diversi statuti speciali – in particolare quello sardo (legge costituzionale n. 3/1948, art. 14) – prevedono la successione del demanio e patrimonio regionale in caso di dismissione statale (“La Regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo. I beni e diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché duri tale condizione”). Per rimanere alla Sardegna, i Fari di Punta Scorno (Asinara), di Capo Sandalo (Isola di S. Pietro), dell’Isola Bocca (Olbia) dovrebbero rientrare fra quei beni demaniali che conserverebbero le funzioni (militari) di sicurezza della navigazione, ma potrebbero aggiungere un nuovo utilizzo turistico.
Non poche le difficoltà: ad esempio, il Faro di Punta Scorno necessita di un imponente opera di restauro e ristrutturazione (oltre 400 mila euro di investimenti), mentre l’intera area circostante – come quasi tutta l’Isola dell’Asinara – è ormai stata trasferita da anni al demanio della Regione autonoma della Sardegna ed oggi è in consegna (deliberazione Giunta regionale n. 48/1 del 9 settembre 2008) all’Agenzia della Conservatoria delle coste della Sardegna. Il resort non avrebbe, quindi, nemmeno un giardinetto intorno e la stradina d’accesso, tanto per capirci. L’unico utilizzo sensato e logico sarebbe in funzione delle esigenze del parco nazionale dell’Asinara, tuttora in gravi difficoltà operative a causa della mancanza degli organi dirigenti (è commissariato da oltre un anno). Solo recentemente è stato approvato definitivamente da parte della Regione autonoma della Sardegna il fondamentale piano del parco e di utilizzi turistici del Faro non se ne parla proprio.
Analoghe considerazioni possono essere svolte sul restauro del Faro di Capo Sandalo, a Carloforte, e su quello dell’Isola Bocca, a Olbia, oltre all’oggettiva scarsa funzionalità dei pochi locali annessi per un eventuale utilizzo turistico. Un destino similare, secondo le comunicazioni del sottosegretario Guido Crosetto, dovrebbe anche accomunare le sorti del Faro di Capo Mannu (San Vero Milis), la cui struttura è, se possibile, bisognosa di ancor più energico restauro.
Le reazioni politiche in Sardegna sono state piuttosto vivaci: il solito on. Mauro Pili, mai tanto attivo sui mass media per la difesa dell’ambiente sardo quanto disciplinato votante delle peggiori nequizie nell’aula parlamentare, ha attaccato il suo sottosegretario Crosetto, l’Assessore regionale dell’urbanistica Gabriele Asunis ha tuonato contro il suo deputato Pili, Gian Valerio Sanna ed altri consiglieri regionali P.D. hanno chiesto l’attuazione del trasferimento completo dei fari al demanio regionale.
Come andrà a finire? Pare proprio, almeno per quanto concerne la Sardegna, un progetto senza capo né coda, nel quale qualche dirigente periferico della galassia statale sicuramente si applicherà con solerzia. Sta alla Regione autonoma della Sardegna far valere le disposizioni statutarie. E qui sta il punto: nella storia autonomistica isolana non si riesce a vedere una guida meno incapace di quella attuale.
* Gruppo di Intervento Giuridico