Delocalizzati

2 Ottobre 2021

[Graziano Pintori]

Draghi in visita qualche giorno fa alla corte della Confindustria, era accolto da un battimani sonoro e prolungato: un segnale di approvazione e di incoraggiamento al suo operato di primo ministro. Questa forma di giubilo da parte della classe padronale italiana non era di semplice circostanza, ma anche una forma di ringraziamento per aver ricevuto, a suo tempo, dai governi Conte e Draghi 115 miliardi complessivi per aiuti diretti, sgravi fiscali e misure di settore.

Devo anche aggiungere, però, che l’applauso riservato al primo ministro dai membri della Confindustria, addirittura alzatisi in piedi, assumeva un significato che andava ben oltre la calorosa accoglienza, nel senso che poteva essere denso di altri messaggi politici ben definiti. Naturalmente scrivo da trinariciuto sospettoso, il quale non fidandosi dello storico nemico di classe interpreta i decibel di quel battimani come un invito all’ex governatore della banca europea di schierarsi ancora di più dalla loro parte.

Infatti, la Confindustria lamenta di essere poco coinvolta nelle scelte politiche del Governo e, conseguentemente, di non ricevere le giuste attenzioni durante l’operato dei suoi ministri: in particolare da parte di quel ministro del lavoro Andrea Orlando, il quale sta predisponendo la bozza del decreto sulle delocalizzazioni senza averli preliminarmente coinvolti. Si badi bene, un decreto di tal genere significa, fra le altre cose, sottomettere a un controllo più rigido eventuali licenziamenti da parte delle aziende che ricevono denaro pubblico. Di conseguenza l’impegno del ministro Orlando su questo fronte diventa sabbia negli occhi per gli industriali, i quali lo accusano di portare avanti una politica contro le imprese.

Di riflesso, pensando all’imprenditore Bonomi Carlo, leader della Confindustria, mi è venuta in mente la manifestazione del 18 settembre scorso, organizzata dalla Rappresentanza Unitaria Sindacale, sulla vertenza degli operai della GKn, i quali sono riusciti a trascinare nelle vie di Firenze circa 30 mila persone. “Una massa critica pronta a insorgere”, titolava il Manifesto, frutto di lunghi mesi di assemblea permanente all’interno della fabbrica che la multinazionale Melrose vorrebbe delocalizzare. La GKn si trova nel comune di Campi Bisenzio (FI), è un’azienda florida che produce semiassi ed elementi di trasmissione per il settore automobilistico (Ducato fiat, Maserati, Ferrari, ecc.) caduta nelle grinfie della Melrose, specializzata in operazioni speculative, ossia acquisire patrimoni industriali e poi rivenderli. “Compra, migliora, vendi” è il motto anti-etico che sta alla base della filosofia del profitto degli speculatori finanziari della Melrose, i quali, con i peli nel cuore, lanciano quote alla borsa di Londra.

Alla multinazionale del profitto finanziario poco importa cosa producono le aziende che prendono di mira, ancora meno si preoccupano di coloro che da quella azienda ne traggono sostentamento vitale, come nel caso dei 422 operai della GKn. Si è già ricordato che questa azienda, tolti i momenti di crisi a causa della pandemia, è stata sempre in “buona salute”, tanto è che ai primi segnali di ripresa del mercato l’azienda ha nuovamente marciato con il solito andamento positivo. La Melrose non improvvisa le sue mosse, ma studia attentamente i margini di profitto potenziali che potrebbe ricavare dalle “prede” industriali, tipo la GKn. Queste “prede” una volta acquisite sono ristrutturate, rese più competitive, magari con soldi pubblici, nonostante il mercato, nel caso specifico, soffrisse di eccesso di offerta e, di conseguenza, di una forte concorrenza dei prezzi.

Alla fine, in barba ai finanziamenti pubblici ricevuti, il pirata del profitto internazionale, vende la sua “preda”, ossia la GKn, a un prezzo più alto di quello investito inizialmente per entrarne in possesso; nel giro di pochi mesi la Melrose vendeva circa 12,7 milioni di titoli ricavando circa 22 milioni di sterline, che equivalgono a 25 milioni di €. Una somma maggiore del costo annuale dei 422 operai licenziati, che è pari a 19 milioni di euro nell’anno 2020. Siccome tale operazione richiedeva un certo aumento dei profitti che la GKn non era riuscita a garantire, la multinazionale con un clic si vendeva i titoli e con il WhatsApp spazzava via gli operai.

Chissà Bonomi Carlo, capo di Confindustria, come giudica questa operazione; chissà se insiste nel dire che il decreto contro la delocalizzazione è antiaziendale e limita la libertà del profitto ad ogni costo. Dal suo punto di vista, forse, l’operazione della Melrose merita di essere difesa fino in fondo, magari anche citata negli annali come esempio di capacità aziendale nel creare sviluppo, o meglio profitto. Intanto il verdetto dei giudici sulla vertenza aperta dagli operai contro le modalità di licenziamento è stato favorevole a loro, un giudizio che inequivocabilmente da peso alla resistenza attuata dagli operai fin dal mese di luglio.

Un esempio di lotta che può contagiare altre simili realtà come la Whilpool, Riello, Tunken ecc. ”Non venite in piazza per i nostri problemi di lavoro, venite in piazza con i vostri problemi, affinché la nostra vertenza apra la via a un fiume in piena di rivendicazioni”. In sintesi, una vertenza locale da trasformare in vertenza nazionale del lavoro voluta dagli operai della GKn; una maturità sindacale inconsueta per i tempi che corrono.

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