Commentando la democrazia
16 Maggio 2007di Annamaria Loche
Etimologicamente democrazia significa potere o governo del popolo, ma due illustri studiosi come Kelsen e Bobbio si chiedevano se l’espressione significhi governo del o per il popolo. La differenza non è di poco conto, perché il governo per il popolo non necessariamente si traduce in una democrazia, in quanto anche un governo dispotico può essere un governo per il popolo. Tuttavia, anche ammettendo il solo significato non equivoco di governo del popolo, non è certo facile dire che cosa si possa intendere per democrazia e quale, dei tanti significati che al termine sono stati attribuiti negli ultimi 150 anni, sia quello più accettabile. Infatti di certo la democrazia è una forma di Stato o di governo che oggi appare profondamente in crisi, ma della quale ancora non siamo riusciti, almeno nel mondo occidentale, a pensare nulla di meglio; è utile quindi cercare di avvicinarci, per graduale approssimazione, a un significato condivisibile o che possa costituire una piattaforma di discussione.
La storia della democrazia è singolare perché dopo l’esperienza delle città-stato dell’antichità essa è stata considerata o inaccettabile o, nel migliore dei casi, inattuale per un paio di millenni, fino a che non è stata riproposta nel Settecento non solo in seguito alle due rivoluzioni di quel secolo, ma anche grazie al pensiero di alcuni filosofi che l’hanno riportata al centro dell’attenzione. Nel Novecento le interpretazioni di questa categoria sono state le più diverse. In ogni caso il suo significato non può impoverirsi come semplice riferimento al suffragio universale e al rispetto delle regole del gioco: elementi imprescindibili, ma non certo sufficienti a caratterizzare un concetto così importante. Affrontare con una certa compiutezza un tema tanto complesso significa cercare di rispondere ad alcune domande di fondo. Provo ad elencarne tre senza alcuna ambizione di completezza e senza neppure pretendere che siano tra loro omogenee.
Il concetto di democrazia è originariamente legato a quello di uguaglianza. Il termine con cui la designava Erodoto era isonomia, uguaglianza di fronte alla legge; questo significato di uguaglianza formale è stato messo in crisi solo con Rousseau, quando l’uguaglianza democratica si inserisce in quella complessa discussione sull’uguaglianza sostanziale che ha in seguito connotato il concetto di democrazia soprattutto in contrapposizione al liberalismo. Il dibattito più recente nel mondo occidentale, nella società di mercato, una volta venuta meno l’ipotesi, o se vogliamo la speranza, di una uguaglianza sostanziale compiuta, ha affrontato il tema dell’uguaglianza in relazione al concetto di equità e di giustizia procedurale. Ciò significa che nella attuale situazione politica, sociale ed economica una possibilità di uguaglianza non puramente formale può realizzarsi grazie alla procedura di scelta nella distribuzione delle risorse, cosicché, come dice un famoso esempio, se c’è una torta e due bambini, chi taglia le fette sceglie per ultimo. In questa direzione, il filosofo statunitense John Rawls studia, in una nota e complessa teoria, come porre in atto una giustizia procedurale che garantisca condizioni di equità le quali, in una società necessariamente diseguale, consentano le condizioni migliori di vita per coloro che egli definisce “i meno avvantaggiati”, la difesa della libertà di ciascuno compatibilmente con l’uguale libertà di ciascun altro, il godimento pieno da parte di tutti degli stessi diritti di cittadinanza e la garanzia della dignità personale. Questa connessione della democrazia con la giustizia come equità comporta un continuo “aggiustamento” della distribuzione delle risorse (non solo economiche) e pone in luce il carattere limitato della concezione liberale dell’uguaglianza di opportunità.
Il secondo punto è quello del rapporto tra democrazia e libertà: quest’ultima ha il suo sviluppo più importante con l’individualismo moderno e l’affermarsi delle teorie liberali. In quell’orizzonte di discorso libertà indicava tanto la possibilità di avere i mezzi per arricchirsi, quanto una “libertà negativa”, libertà dallo Stato, diversa dalla libertà come partecipazione alla vita politica tipica della cultura classica. Oggi però, riferirsi alla libertà comporta necessariamente un discorso più complesso e non a caso si preferisce parlare di libertà al plurale, connettendo il concetto ai diritti, che non sono più, di nuovo, semplici diritti formali, ma riguardano un’ampia sfera di settori (diritti sociali, di cittadinanza, ecc) che sono riassunti nell’articolo 3 della nostra costituzione.
Il terzo e ultimo punto a cui vorrei dedicare una rapida osservazione finale riguarda ciò che si soleva chiamare tolleranza e che oggi mi sembra più corretto chiamare rispetto. Sebbene quello di tolleranza sia un concetto secolare della nostra cultura, risalendo al periodo delle guerre di religione, io credo che oggi non ci possiamo più limitare a tollerare il diverso (da qualsiasi tipo), poiché la tolleranza implica presumere la superiorità e la verità del nostro punto di vista; dobbiamo invece imparare a rispettare, per cercare il piano di discorso, gradualmente più generale, in cui l’incontro con l’altro sia possibile rendendo praticabile la convivenza in comune. Naturalmente la cosa non è facile e comporta alcuni grossi problemi, il più evidente dei quali è l’atteggiamento da assumere verso chi è intollerante. La democrazia però non può non confrontarsi con una questione di questo genere, perché a mio parere una delle sue caratteristiche irrinunciabili dovrebbe essere quella del laicismo e del relativismo, in cui laicismo e relativismo non significano assenza di convinzioni e, per chi le ha, di fedi personali, ma volontà di non imporle, capacità di discutere e di sapersi mettere in discussione.
Quest’ultimo, dei tre tra i tanti temi che si potrebbero analizzare a proposito della democrazia, è certo il più formale, ma io credo rilevante quanto gli altri.
16 Maggio 2007 alle 11:42
Cara Annamaria, confesso di non aver considerato neppure io che il concetto di democrazia ha avuto bisogno di quasi duemila anni per risorgere. Quella moderna e contemporanea è quindi giovanissima e messa a rischio da forme nuove e potenti di dominio, che nemmeno si esercita più nelle sedi formali e che nell’era della globalizzazione e della economia finanziarizzata e anonima potrebbero seppellirla di nuovo per un tempo indefinito. Grazie per averci dato questo suggestivo e drammatico spunto di riflessione: quanti di noi sono nati dopo la fine della seconda guerra mondiale e hanno goduto dei primi sessant’anni ininterrotti di assenza di guerre su scala continentale della storia europea, tendono spesso a dimenticarsene. Tonino Dessì.
23 Maggio 2007 alle 12:10
Ho letto anch’io (in veste di semplice lettore, prima che di ‘commentatore rompiballe’) con grande interesse questo interessantissimo articolo di Annamaria Loche: uno dei suoi indubitabili pregi (il sostantivo ha a che fare con ‘prezioso’) è l’impostazione “colta”: ovvero profonda e non superfiiciale, impegnativa e non soltanto ammiccante, seria e non “accattivante”. Insomma col giusto atteggiamento di chi vuole “scavare” e “comprendere” e non soltanto “infarinare” o propinare al pubblico medio una idea vaga (o scontata) dell’argomento o quistione che dir si voglia.
Insomma con un taglio da studiosa o da intellettuale e non da giornalista o divulgatore (cioè di chi al piano dell’intelletto deve ancora arrivarci, salvo le debite eccezioni, o lo confonde col sotto.piano che nella simbologia corporesa sta fra l’ombelico e le ginocchia)
Non a caso la democrazia è diventata una di quelle espressioni completamente vuote o svuotate di contenuto, e perciò “in-sensate”, di cui i politicanti, tutti e nessuno escluso, dai capi-cosca ai fiancheggiatori palesi od occulti, amano riempirsi la bocca e (soprattutto) le tasche e invocare ogni volta che si tratta, ad esempio, di far passare una delle loro “modernizzazioni” o “riforme” che intendono riportare le cose come ai tempi dello schiavismo (quando, com’è noto, la democrazia era solo una faccenda per pochi; tant’è che del ‘demos’ faceva parte, sì e no, meno di un quarto della popolazione della città-stato in cui il termine è stato coniato).
A me pare – trinciando con sintesi feroce – che nei tempi moderni, quelli dell’era che uno storico tedesco dimenticato e rimosso, Karl Lamprecht, definiva dell’individualismo soggettivo, il concetto (o lo schermo) di “democrazia” sia sempre servito a mascherare il dominio di una oligarchia abbastanza ristretta, che – col passare dei decenni e dei secoli – tende a configurarsi come il “governo e il dominio dei peggiori”. E nella fase in cui la “democrazia” è diventata la maschera grottesca dietro cui si nascondono quelle che non mi pare affatto esagerato o estremistico definire “le variegate cosche della criminalità organizzata” (in due partiti come in USA, in tre come nell’UK, in uno solo e con le cosche distribuite in correnti, come in Cina; e non mi pare ci siano altri “modelli” distinguibili nella sostanza), bisognrebbe riuscire a individuare un “modlelo” realizzato di democrazia del quale si possa dire che a governare siano stati o siano davvero i rappresentanti “legittimi” del popolo. Altra cosa è che si tratti di rappresentanti “legittimati” attraverso l’inganno, la menzogna e la manipolazione; o peggio ancora, come è il caso del paese di riferimento statuale, di rappresentanti “illegittimi” (c’è chi ha contato nell’attuale parlamento italiano almeno un terzo di condannati a piede libero o inquisiti in attesa di prescrizione). Anche se c’è chi preferisce il termine “casta” a quello di “cosca”, mi pare che la sostanza o la polpa delle cose sia la stessa.. E’ stato da tempo coniato il neologismo “cleptocrazia”, sinonimo di “craxi-crazia”. Temo dobbiamo rassegnarci a ingurgitare, finché le cose non cambierannno davvero, anche quello, ancora più sgradevole, di “delinquentocrazia” o “criminocrazia”. Negli Usa la soglia è già stata abbondantemente superata (chi ha davvero organizzato, pianificandolo accuratamente, l’attentato alle due torri di New York ? che grazie alla criminale connivenza della stampa “democratica” ancora funziona come il “grande mito” – la grande impostura – con cui si giustifica la “guerra infinita” di Bush & cons? Se fosse vero, come ritengo sia vero, quello che pochi coraggiosi giornalisti, intellettuali scienziati e anche “esperti”, hanno tentato di smontare e demistificare, sarebbe anche vero (non solo di fatto, ma anche ufficialmente o giudiziariamente) che la (cosiddettta) più grande democrazia dell’occidente (quella dell’Oriente è l’India, e capiterà magari di parlarne) è governata – o per meglio dire, dominata e schiacciata, cioè vanificata, da una rstretta cosca di delinquenti che, visto che lì vige ancora la pena di morte, andrebbero “democraticamente” condannati per alto tradimento e crimini contro l’umanità (esattamente come accadde a Norimberga per i gerrarchi nazisti) e sommariamente “impiccati” o per lo meno condannati a una ventina di ergastoli. Mettiamo che fosse vero, come ritengo sia vero, proprio come lo saprebbe anche un bambino di tre anni che cominciasse a porsi delle domande elementari, che la marionetta (o il “puzzone”, come dicevano una sessantina di anni fa gli antifascisti) più acclamata, più ricca e più “potente” d’Italia abbia costruito le sue enormi ricchezze e il suo vasto “consenso democratico” riciclando i soldi della mafia (e probabilmente anche della camorra e della ndrangheta) su vasta scala (da San Marino alle Cayman, da Milano a Lussemburgo, e così via tracciando rotte) fino a diventare di fatto anche se non di “diritto” (penale) il vero Boss dei boss.Qualcuno (fra i pcohi o si spera parecchi che non si siano ancora lasciati de-mentalizzare) davvero pensa o crede che l’innominato fosse alle dipendenze gerarchiche di Riina o di Provenzano, e adesso del puparo latitante ben protetto di turno ? davvero è immaginabile che il “puzzone” fosse e sia uno dei molti “pupi” conosciuti di nome e di cognome e pedigree, non il “puparo dei pupari”, ovverossia il capo dei capi? la cosa non mi pare “democraticamente” credibile, anche se democrazia esige che fino a condanna passata defintivamente in giudicato (ma chi lo può davvero giudicare?) l’imputato o il sospettato debba essere presunto innocente. E di presunzione in presunzione ci penserà la storia a giudicarlo, con le immancabili “revisioni” e manipolazioni teoriche dei tardi seguaci ed estimatori Se tutto ciò fosse vero e non soltanto una “leggenda metropolitana”, come pretendono i manipolatori dell’informazione mediatica, per buona metà o due terzi da lui direttamente assoldati, cioè i gestori e i manutengoli della menzogna, le discussioni teoriche sulla “democrazia” (per quanto accademicamente fondate o “scientificamente” plausibili) non bastano o non reggono più se non le si applica, o le si verifica, sui “modelli” che possiamo anche dire storici o reali
Insomma, cara Annamaria (perdona l’aggettivo forse troppo confidenziale) ben vengano gli studi e gli approfondimenti “teorici” (o mentali) così come le verifiche e le messe a punto (soprattutto quando sono del livello dal quale tu affronti lo spinoso tema) ma ci vuole anche il coraggio e l’impegno (che a te sicuramente non mancano) di affrontare la cosa non solo da un punto di vista virtuale-virtuoso (come quello dello studioso americano da te citato) ma anche da quello che, in mancanza di espressione più esatta, chiamerei (ancora!?) della “realtà effettuale” o della “verità effettiva”. E mi rendo conto che, dal punto di vista intellettuale o filosofico, non è per niente uno sforzo o un impegno facile. Tuttavia ritengo che anche tu sia convinta che bisognerà pur farlo. A me risulta che qualcuno lo ha già fatto o ci ha tentato: ma è stato messo nella soffitta degli studiosi accademicamente “non probanti” (per la semplice ragione che nessun accademico si è mai preso la briga di leggerne o studiarne gli scritti) oppure, almeno fino ad ora, semplicemente ignorato. Tanto per non far nomi, quanti saranno, in area italiana, gli studiosi accademicamente accreditati o i sedicenti “intellettuali” che hanno letto e approfondito almeno tre dei testi fondamentali scritti sull’argomento dal rivoluzionario-poeta-yogin Aurobindo Gosh, noto anche come Sri Aurobindo ? In Sardegna, – visto che qui siamo nati e abitiamo, – per quel che ne so, nessuno o quasi. Eppure si tratta di testi apparsi, in inglese, ai tempi della prima guerra mondiale e nelle altre lingue europee più diffuse, compreso l’italiano che non è fra quelle, a partire dalla metà del secolo scorso.
Visto che fare propaganda ai libri – come alle medicine che davvero aiutano a curare il corpo (e la mente) – non è nè “peccato” nè un reato democraticamente perseguibile, mi permetto di suggerire tre titoli: “Il ciclo umano”, “L’ideale dell’unità umana” e “Sulla guerra e l’autodeterminazione”
E’ assolutamente vero che neppure gli “intellettuali” possono riuscire a leggere tutto quello che ha a che fare con l’intelligenza, l’intellezione o la ricerca della verità. E tuttavia, come è risaputo a proposito dei calciatori, conoscere i “foindamentali” pare sia necessario anche e soprattutto ai geni della pedata. Nel caso dei lavoratori o degli atleti dell’intelletto, poi, dovrebbe anche essere garantito il democratico diritto di condividere o non condividere, nonché quello di criticare ed eventualmente contro-dimostrare o addirttura tentare di demolire. Ma non è mai stato teorizzato un diritto democratico ad ignorare. A meno che non si accetti, sempre democraticamente, di essere definiti, appunto, degli “ignoranti” (nel senso più ovvio e nient’affatto offensivo del non conoscere o non sapere).