Di cani e di tetti
16 Marzo 2010Valerio Rando
“I cani là fuori” dovrebbe essere una raccolta di undici racconti edita da NEO nella collana Iena. È quasi un romanzo frammentato però, diviso ed unito nelle vicende di personaggi che non incontrandosi si sfiorano. Le storie sono separate da dieci brevi brani che uniscono i cocci di uno specchio rotto avvicinandoli e facendoli stridere. La narrazione sta tutta nei bordi taglienti di questi frammenti ed ogni frammento è sporco di un sangue che difficilmente riesce a continuare a scorrere all’interno dei corpi. La frase di Gianni Tetti è rapida, quasi vuole essere obbligatoria nelle immagini che ricostruiscono il sottobosco taciuto dell’hinterland sassarese. La prima persona è prestata in maniera quasi totalitaria alla voce di ogni racconto, una lingua simile esce dalla bocca di uomini donne e talvolta cani masticando il rantolo di morti ammazzati e morti da ammazzare. Sono disabili, disinseriti e disincantati e comunque individui privi di quello che non hanno, quelli che rimangono “la fuori” immortalati nella panoramica finale. Uno scatto all’immagine riflessa dai pezzetti dello specchio rotto. La polpa dei corpi è un pasto per topi ed il lavoro ed il banco di lavoro delle puttane. L’amore è sempre un ostacolo valicato, una necessità soddisfatta ed elusa da soprusi, quasi sempre è immolato in sacrificio ad una eternità dagli occhi acquosi e sbarrati. C’è Sardità nelle storie, una Sardità bastarda di foglie naturalmente lontane dalle radici, talvolta talee impiantate in terre lontane. Questo libro, il primo dell’autore, è vivo e rapido grazie alle marmellate di morti martellate nell’unica storia che racconta: la fame necessita qualcosa che mangia e qualcuno che venga mangiato quando del mondo si camminano le briciole.