Di fave, giornalismo e repressione

21 Maggio 2023

[Roberto Loddo]

La mattina del 12 maggio alcuni organi di stampa hanno deciso di far emergere i legami tra i propri interessi con quelli delle forze dell’ordine. Nemmeno con tutte le forze dell’ordine ma solo con qualche piccola stanza della questura. Un po’ come la trama del vecchio ma sempre attuale film del 1972 Sbatti il mostro in prima pagina diretto da Marco Bellocchio ed interpretato da uno straordinario Gian Maria Volonté.

Le redazioni di questi quotidiani hanno deciso di pubblicare integralmente una curiosa nota della questura in cui sono stati spiattellati nomi e cognomi di 70 persone. Prima ancora che molte ricevessero la notifica dalla stessa questura. Non parliamo di pericolosi terroristi o potenziali assassini, ma di cittadine e cittadini che sono stati indagati solo per aver partecipato alle pacifiche mobilitazioni contro il 41bis, l’ergastolo ostativo e l’ingiustizia di un sistema dell’esecuzione penale basato sulla vendetta che non rispetta le convenzioni internazionali sui diritti umani e nemmeno la Carta costituzionale.

Eppure, in barba alle regole deontologiche della professione giornalistica, e prima ancora della correttezza e della trasparenza, sono stati pubblicati i nomi e i cognomi di cittadini e cittadine, presunti autori di efferati crimini, come aver eseguito un brano rap, aver parlato al microfono e aver calpestato un campo di fave. Sì, proprio un campo di fave. Come se non esistesse la legge Cartabia che tutela la presunzione d’innocenza e che impedisce ai giornalisti di pubblicare nomi e cognomi per salvaguardare cittadini indagati e imputati prima che i giudici emettano le sentenze. O come se non esistessero le direttive europee inserite nel Testo Unico dei Doveri del Giornalista che impongono di «rispettare sempre e comunque il diritto alla presunzione di non colpevolezza».

Come giustamente denunciato da Sa Domo de Totus, la comunità politica di Sassari che è stata coinvolta dalla pessima abitudine della malainformazione: “è da mesi che sui giornali sardi appaiono notizie di cronaca senza nomi e cognomi delle persone coinvolte”. E allora perché sono stati pubblicati integralmente? Per un like in più? A quali interessi risponde l’orientamento editoriale del giornale? A quello della questura? Se si decide di cucinare una notizia arrivata dagli inquirenti, non si dovrebbero tutelare prima di tutto le garanzie costituzionali delle cittadine e dei cittadini?

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