Di quale silenzio si parla?
16 Ottobre 2009collettiva femminista Sassari
L’increscioso siparietto televisivo che ha visto dialogare il Presidente del Consiglio e Rosy Bindi non è un nostro problema. Nel senso che, semmai, nostro è il problema della barbarie in cui siamo precipitati e della miseria simbolica (di linguaggio, di pensiero, di modi) che ci circonda. Un problema, questo, di proporzioni smisurate e rispetto al quale l’episodio di cui tanto si parla è come la proverbiale punta dell’iceberg. Di una montagna di ghiaccio, cioè, nella quale gli uomini e le donne non stanno comunicando e scontano la pena di un dialogo mancato e mancante oggi come sempre. I saperi non si incrociano: gli uomini non leggono le scritture delle donne, non conoscono le loro riflessioni, non frequentano i luoghi della loro politica. E chiamano questo il “silenzio delle donne”. Preferiamo pertanto spostare l’attenzione dal siparietto a tutto ciò che lo prepara e ne costituisce le premesse. È sufficiente uscire dagli angusti bordi del teleschermo per accorgersi, per esempio, che l’odioso e mortifero maschilismo di cui fa sfoggio il Presidente del Consiglio è atteggiamento condiviso, è pensiero diffuso, è senso comune. Ed è importante constatare come ciò sia indice di una generale, drammatica incapacità di comprensione e di accoglienza dell’altro/a da sé. Preferiamo dunque parlare del fatto che ogni giorno, in ogni momento, c’è di che restare attoniti e scandalizzati, e che le situazioni generatrici di disagio e di indignazione sono pressoché quotidiane e continue.
Del resto, proprio questi sono gli argomenti che molte donne discutono, che stanno loro a cuore e che ispirano le loro pratiche, in un inesausto sforzo di costruzione di autorevolezza e libertà femminile coniugate con il sogno di un mondo migliore. Ciò detto, non ha alcun senso parlare del silenzio delle donne, come non ha alcun senso che gli uomini rovescino sulle donne il groviglio della loro politica, il disordine della loro sessualità e la pochezza della loro etica.