Diario Palestina 1: Una terra senza diritti
8 Maggio 2014Mariella Setzu
Palestina, terra immaginata, terra delle religioni, dove si è svolta la vita di Gesù, e dove si è concentrata la nostra attenzione per comprendere meglio la situazione del popolo palestinese schiacciato dall’occupazione israeliana, con la complicità dei principali attori internazionali. Finalmente ho avuto modo di andarci, grazie a Luisa Morgantini, e grazie al fatto che quest’anno, per mia scelta, sto lavorando part-time.
A partire da sabato 19 aprile è stata una settimana di incontri molto intensi, in luoghi assai diversi, anche se a poca distanza, come il Freedom Theatre di Jenin e il campo profughi di Balata, che si son svolti ambedue nella giornata di sabato. Sul campo di Balata, 1 kmq di superficie con 29.000 abitanti (di cui il 70% ha meno di 29 anni e il 50% meno di 18), il più popoloso e attivo della Cisgiordania, grava una comprensibile cappa di stanchezza. All’inizio questo campo ospitava 5000 profughi provenienti da Jaffa; fu creato subito dopo la guerra del 1948-’49. Balata, che ha visto l’inizio della prima e della seconda Intifada, ora ha un alto tasso di disoccupazione, 56%, e la chiusura delle prospettive per il futuro della sua popolazione giovane. Il direttore del Centro culturale, Mahamud Subuh, ci parla di una realtà molto dura. Malgrado l’impegno politico messo in campo qui la gente ha sperimentato sulla propria pelle che i discorsi sui diritti umani non riguardano i palestinesi. Frustrazione e impotenza aumentano sempre di più. Anche le scuole diventano campi di battaglia perché sta sfumando il ruolo dell’istruzione nella promozione sociale.
Il campo di Balata è passato attraverso esperienze tremende, durante la seconda Intifada è diventato una prigione, fu circondato, ed era per lo più sotto coprifuoco. Il periodo più lungo è stato 100 giorni; ogni tre giorni di coprifuoco c’erano due ore per uscire e procurare generi di prima necessità. 246 persone furono uccise, la maggior parte civili. Tuttora da quel periodo ci sono ancora 200 persone nelle carceri israeliane (che sono 17 e tutte si trovano in territorio israeliano anche questo in violazione degli accordi internazionali). Mahamud accenna anche al fallimento delle trattative in corso fra israeliani e palestinesi, in cui perfino gli Usa hanno riconosciuto la responsabilità di Israele che non vuole fare la minima concessione.
Nella sede del Centro culturale consumiamo un pranzo veloce fatto di schiacciatine di pane con timo ed erbe aromatiche. Il timo mi ricorda varie cose, anzitutto i profumi della mia Sardegna, poi il campo profughi di Tal el Za’tar (za’tar vuol dire timo) in Libano, che subì un tremendo eccidio della sua popolazione. Mi ricorda anche un libro di Gianluca Solera che ho letto e vi consiglio, Muri lacrime e za’tar. Storie di vita e voci della Palestina».
*Foto: Insediamento, filo spinato e muro nella zona del villaggio palestinese di Beleem — presso zone di Beleem villaggio vicino a Nablus.
15 Maggio 2014 alle 11:32
Grazie! Si può dire solo Grazie! …riuscirò ad andarci anch’io? Allogu dinai. Gigi Secchi