Distinguere tra partiti e rappresentanza
1 Agosto 2017Aldo Tortorella
(da il manifesto) Unità a sinistra. Spetta ai partiti sviluppare al meglio le istanze per cui si è scelto di militare, servendo quella parte di popolo cui ci si riferisce, individuando obiettivi strategici. Il loro orizzonte non è quello di una sola legislatura. Oggi bisogna presentare una sinistra credibile per gli impegni praticati dai suoi rappresentanti e politicamente utile per una proposta verosimile.
La ricerca unitaria a sinistra procede con imbarazzante difficoltà. I litigi per l’immagine di un abbraccio troppo cordiale farebbero sorridere, se non evocassero un reciproco malanimo. Ottimo per chi teme una forza parlamentare capace di incidere contro le derive di destra, e neomoderate. E presenta l’esperimento come già fallito. Temo che a sinistra, come spesso è accaduto, si sottovalutino i pericoli che minacciano il paese. Forse è troppo rurale e bonaria l’immagine bersaniana della mucca nel corridoio, ma è veritiera. La peggiore destra, già al potere nell’Europa dell’est, avanza anche da noi. Fallito l’attacco alla Costituzione a partire dalla seconda parte, è ripreso quello alla prima (Panebianco, sul Corriere della sera) con gli argomenti di Berlusconi.
MA A SINISTRA sulle cose da fare prevale la polemica sul passato (tu hai fatto questo e tu hai fatto quello). E, su ogni tema, ognuno pensa che la sua idea sia l’unica valida. Ma, se si considera necessaria una intesa per una rappresentanza che raccolga un sentimento comune, si deve in primo luogo scartare l’idea che i partiti coincidano con la rappresentanza, come fosse un possesso del partito e il partito si riassumesse nella rappresentanza. La distinzione è tema antico e lo stesso Pci avvertì i limiti di una rappresentanza parlamentare identica al partito, e prese l’iniziativa – era segretario Luigi Longo – di eleggere un intero gruppo parlamentare (la «Sinistra indipendente») composto da personalità estranee al Partito. Fu presieduto da Stefano Rodotà alla Camera e da Ferruccio Parri al Senato, e assunse iniziative importanti anche in dissenso.
QUESTO TEMA tanto più adesso dovrebbe essere al centro di riflessione attenta. Invece, sia per la vasta transumanza da un gruppo all’altro nel corso della legislatura sia per il modello dei Cinque stelle che per dirsi nuovi espellono ogni dissenziente, si diffonde l’idea contraria, cioè il vincolo di mandato. Ma il principio costituzionale dell’autonomia dei rappresentanti è essenziale per evitare parlamentari-robot (si pensi al voto contro l’abolizione in Usa dell’Obama care), e non comportò fenomeni simili a quelli attuali nella prima repubblica. Non si trattava di coercizioni disciplinari ma dell’autorevolezza morale delle forze politiche. Oggi tanta mobilità dipende dalla estrema volatilità dei principi costitutivi dei partiti attuali.
LA RINASCITA di una sinistra autorevole passa dalla critica del mondo costruito sotto l’egemonia del capitale finanziario. Un compito di lunga lena: occorre una prospettiva del tutto nuova oltre che rimedi a breve. Ciò spiega la varietà delle analisi tra partiti e movimenti che non rinunciano alla idea di una sinistra di libertà, di giustizia sociale e di pace. Ma, dunque, anche per la esistenza di tanta varietà occorre riprendere la distinzione tra rappresentanza e partiti.
SPETTA AI PARTITI sviluppare al meglio le istanze per cui si è scelto di militare, servendo quella parte di popolo cui ci si riferisce, individuando obiettivi strategici. Il loro orizzonte non è quello di una sola legislatura. Spetta ai movimenti perseguire lo scopo per cui sono nati. Ma è puro masochismo, al momento elettorale, che la molteplicità delle sigle serva solo ad aggravare le divisioni, prefigurando sconfitte a vantaggio delle destre. Marine Le Pen non sarebbe neppure andata al ballottaggio se avessero potuto sommarsi i voti della sinistra “ribelle” di Mélenchon e quella del socialista Hamon.
UNA RAPPRESENTANZA unitaria dovrebbe quindi essere pensata, per superare le differenze, come ben distinta dai soggetti che la costituissero. La sua ragion d’essere sta nei valori che distinguono ancora, per tanti elettori, la sinistra dalla destra a partire dalla lettura della Costituzione. Qui non ci sono, mi pare, sostanziali differenze: il risanamento morale della politica, la priorità della pace, la tensione verso la giustizia sociale in una lotta per i diritti sociali e civili, la difesa dell’ambiente, la solidarietà umana, il superamento della prevaricazione maschile. Ognuno di questi valori può comportare in prospettiva una molteplicità di distinzioni. Ma nessuna mi parrebbe tale da inficiare innanzitutto una comune assunzione di obblighi morali (cioè di comportamenti pratici) e da rendere impossibile un patto programmatico di legislatura se si conviene che non vi può essere alcuna vera sinistra senza proposta di soluzioni possibili, al governo o all’opposizione. Sulla base di un’idea-forza che mi pare matura: la risposta al pauroso vecchiume di questa cosiddetta seconda repubblica in cui si spacciano come nuove e persino «di sinistra» le antiche ricette della subalternità assoluta del lavoro e dei lavoratori.
QUI STA LA VERA e nuova battaglia contro la destra e contro i demagoghi d’ogni tipo. È in questa lotta che potrebbe anche avviarsi la costruzione di una nuova identità non effimera. Si tratta di creare un sentimento comune, non di distinguersi in una polemica sterile sulle alleanze. Ciò che avverrà domani dipenderà dalla forza che si avrà. Una sinistra robusta può convincere a cambiare strada una formazione di centro com’è oggi il Pd – che comprende anche tanti che ritengono in buona fede di votare, nonostante tutto, per una formazione di sinistra.
SO BENE, POI, quanto sia difficile passare alle scelte delle persone. Perciò insisto sulla necessità di un’assunzione di obblighi morali insieme a un patto programmatico: sarebbe forse più facile individuare un criterio di scelta dei candidati. Non sono un entusiasta delle primarie, fin qui senza serie regole e reali verifiche, facili da truccare. Ma proprio la varietà dei soggetti potrebbe far nascere una pratica selettiva di questo tipo più credibile. Impegnandosi poi a fornire le persone più qualificate, non quelle più fedeli ai dirigenti di turno.
TUTTO CIÒ è vano se non si conviene che non può esistere alcuna grande sinistra che non abbia varietà di opinioni. Corbyn ha avuto uno straordinario successo come guida di un partito che con lui ha svoltato a sinistra ma non ha cessato di essere pluralista. Sanders ha raccolto un eccezionale consenso, soprattutto giovanile, in un partito liberaldemocratico. Lo stesso Pci fu grande finché seppe ricavare dalle sue diverse anime, non senza confronti aspri, una linea adatta ai tempi. Il declino cominciò quando in ciascuna delle «sensibilità» si vennero cristallizzando le opinioni, divenendo incomunicanti. L’opinione più incline al liberismo vinse, ma l’emarginazione della parte che conservava una critica al sistema dato non fu utile al paese, e neppure ai moderati sinceramente progressisti. Analogamente l’insipienza, o peggio, del gruppo destrorso che guida il Pd è stata quella di schiacciare la sinistra interna in modo da costringerla all’uscita.
OGGI BISOGNA presentare una sinistra unita moralmente, credibile per gli impegni praticati – qui ed ora, nei fatti – dai suoi rappresentanti, e politicamente utile per una proposta verosimile. Altrimenti sarà un altro guaio per il paese. In corridoio non abbiamo una mucca, un po’ scomoda ma pacifica e portatrice di buon latte (e sacra, in terre lontane). In corridoio abbiamo gli animali più pericolosi e violenti tra i mammiferi viventi: uomini astuti e fascistoidi avidi di soldi e di potere, promotori di sciagure e di guerre.