Diversità e donne sarde in lotta

16 Dicembre 2014
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Amedeo Spagnuolo

Luce Irigaray, nota filosofa belga, negli anni ’70 pubblicò un libro di successo intitolato Speculum. In esso sviluppava la tesi secondo la quale tutta la filosofia occidentale, da Platone a Hegel, e la psicoanalisi avevano sviluppato un pensiero fortemente maschilista. Soprattutto la psicoanalisi si era concentrata sull’idea che la donna era un essere determinato dall’assenza, dalla mancanza, rispetto alla completezza e pienezza dell’uomo. Da tutto questo, secondo Irigaray, era stato condizionato anche una parte del pensiero femminista che portava avanti le sue rivendicazioni affermando la necessità di una battaglia che avrebbe dovuto avere come esito finale il raggiungimento dell’uguaglianza tra l’uomo e la donna. L’uguaglianza raggiunta in questo modo, però, avrebbe significato accettare la superiorità del modello maschile, al quale le donne avrebbero dovuto uniformarsi sebbene in una dimensione egualitaria. La filosofia di Irigaray, invece, si concentra sul concetto di “diversità” ovvero affermare la diversità femminile rispetto al prototipo maschile, quindi una proposta esistenziale che va in una direzione diversa e alternativa rispetto ai paradigmi proposti dalla dominante cultura maschilista. Si tratta quindi di affermare l’esistenza di una dimensione femminile piuttosto che cercare uno spazio in quella maschile.
Le illuminanti riflessioni della filosofa belga sulla “diversità” della donna trovano conferma nell’osservazione delle dinamiche politico – sociali che caratterizzano la società contemporanea e, nello specifico, nell’ambito circoscritto che in questo contesto viene preso in esame ovvero le donne che lottano per difendere e conquistare i loro legittimi diritti. Indiscutibilmente esistono donne che lottano seguendo il modello maschile prevalente, cioè quello della lotta armata, della guerra con le sue atrocità e devastazioni, ma esistono tante altre donne che, perseguendo, appunto, un modello diverso da quello maschile, hanno scelto strategie di lotta che propongono metodi differenti da quelli maschili. La donna è da sempre abituata a lottare in maniera diversa rispetto alla tradizionale lotta armata, questo grazie soprattutto alla maternità che in fondo è una lotta per la vita, soprattutto nell’antichità quando far nascere un bambino significava ingaggiare una dura battaglia contro una tipologia molto varia di nemici. Le donne che oggi lottano con strumenti alternativi sono le giornaliste, le scrittrici, i medici, i magistrati, l’elenco potrebbe continuare ancora per molto, queste oltre a combattere per affermare le loro idee in ambito professionale sono costrette anche a lottare ogni giorno per conciliare la loro professione con il diritto irrinunciabile di essere madre e di avere una famiglia. Queste però sono le donne che lottano per difendere dei sacrosanti diritti acquisiti, poi c’è la stragrande maggioranza delle donne che combatte coraggiosamente per conquistare diritti che ancora non possiede. Pensiamo alle donne africane che combattono ogni giorno contro la fame e le torture sessuali e che rischiano ogni momento la vita per difendere quella dei loro figli; le donne tunisine che, dopo la recente rivoluzione, si battono coraggiosamente per migliorare la loro condizione esistenziale; le donne iraniane e afgane che si battono disperatamente contro i soprusi degli uomini; le donne gay che rivendicano legittime tutele per i loro diritti.
Questo brevissimo viaggio sulla “diversità” delle donne deve, a questo punto, necessariamente convergere nell’attualità politico – sociale della terra sarda, solo così, infatti, la riflessione filosofica ha un senso, cioè quando ci aiuta a capire i meccanismi che muovono le dinamiche sociali delle comunità nelle quali ognuno di noi vive ed opera. In questa prospettiva non si può prescindere dall’azione di lotta, da poco conclusasi, intrapresa dalle 37 operaie dell’Igea in una galleria mineraria dismessa del Sulcis. Le motivazioni della lotta sono note, le lavoratrici non ricevevano lo stipendio da sette mesi e il loro futuro lavorativo non prometteva niente di buono, ora pare che finalmente i lavoratori dell’Igea potranno ricominciare a lavorare in maniera più serena. Volutamente non ci si sofferma ulteriormente sull’aspetto informativo della vicenda dato che è stato adeguatamente sviscerato da tutti i più importanti organi d’informazione. Piuttosto in questo contesto, coerentemente con l’assunto che ha guidato la stesura di questo piccolo contributo, è più interessante indugiare sulla “diversità” della lotta per il diritto al lavoro che queste donne coraggiose hanno portato avanti tenacemente. Il linguaggio usato, le argomentazioni politico – sindacali, la postura, le espressioni dei loro occhi, se osservate con attenzione suggerivano un modo diverso di porsi nei confronti dell’”antagonista” che pure era responsabile delle loro sofferenze e delle loro angosce, insomma tutto in quelle donne esprimeva determinazione, coraggio, anche rabbia certo, ma mai odio. Volendo essere più precisi e facendo uno sforzo di maggiore oggettività, si può dire che le lavoratrici dell’Igea hanno incarnato, nei giorni dell’occupazione della miniera, ovviamente dal punto di vista della filosofia che guida questo testo, una delle caratteristiche principali dell’”essenza” femminile ovvero quella che potremmo definire del “combattente interiore” che non si basa, generalmente, sull’arroganza del potere e sull’offesa volta ad umiliare l’avversario, ma, piuttosto, facendo ricorso alla maggiore propensione femminile all’introspezione e alla sopportazione del dolore, concentrarsi sul problema per cercare le soluzioni migliori per risolverlo.

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