È possibile una scuola diversa?

1 Ottobre 2015
Scuola di Paese, Paesi Bassi, 1670
Marco Ligas

È appena iniziato il nuovo anno scolastico e già si avvertono le contraddizioni di una Scuola che funziona molto male. La nuova legge definita con arroganza e demagogia “La buona scuola” ne ha accentuato la crisi, non era difficile capirlo.

In essa si coglie una spinta verso la frammentazione sociale, un disegno insidioso che parte dal basso, dalle singole realtà scolastiche, e favorisce la tendenza alla divisione tra gli stessi docenti che pure dovrebbero essere i protagonisti della riforma.

Se si esaminano gli aspetti organizzativi della legge si coglie con immediatezza come siano molteplici i problemi che non vengono risolti, e non è un caso che molti insegnanti sottolineino come l’anno scolastico sia iniziato nel caos e rischi di finire ancora peggio. Ci si chiede innanzitutto perché, dal momento che era noto in ogni regione il numero dei docenti da nominare nelle diverse classi di concorso, non siano stati chiamati preliminarmente quelli della stessa regione di residenza onde evitare il loro trasferimento in altre sedi.

In Sardegna, anche a causa di questa grave distrazione del governo, diversi insegnanti hanno dovuto affrontare i disagi di un trasferimento in altre regioni del Paese. È vero che la garanzia del posto di lavoro è un fatto estremamente importante soprattutto oggi che il lavoro è considerato un privilegio, ma è altrettanto vero che potevano esser evitate le difficoltà e i disagi che le migrazioni sempre comportano.

Ma questa non è la sola contraddizione della legge. In diversi istituti, ad anno scolastico ormai iniziato,  mancano gli insegnanti di alcune discipline, ma non vengono indicate le soluzioni per il superamento di questo ostacolo. Eppure non sarebbe insensato programmare corsi di abilitazione per chi volesse insegnare quelle discipline. Così come non è difficile, e neppure particolarmente oneroso, trasformare i posti classificati come organico di fatto in quelli di diritto che potrebbero garantire una maggiore tutela ai docenti.

Il guaio è che il governo, nell’affrontare un problema della massima importanza ai fini della crescita culturale delle nuove generazioni, ha preferito usare ancora una volta la demagogia: 100.000 nuovi posti di lavoro per gli insegnanti, è stata l’assicurazione sia del premier che della ministra Giannini. E nello stesso tempo entrambi hanno ignorato le situazioni difficili che vivono migliaia e migliaia di insegnanti  esclusi dalla possibilità di un lavoro futuro. “La buona scuola” non offre infatti garanzie lavorative ai tantissimi precari nonostante molti di loro abbiano insegnato per interi decenni.

Attualmente, sebbene permangano fra insegnanti e studenti aree di contestazione nei confronti di questa legge, bisogna prendere atto che si è indebolito il fronte unitario che si era creato appena la buona scuola è stata approvata. Forse per stanchezza, forse per mancanza di riferimenti politici e sindacali credibili, sembra prevalere una fase di temporaneo ristagno da parte di docenti e studenti.

Se confermata nei prossimi mesi questa tendenza diventerà pericolosa perché faciliterà e consoliderà ulteriormente il progetto del governo Renzi che corrisponde a un modello di società dove non ci sarà spazio per la coesione sociale. E neppure possiamo sottovalutare l’ipotesi che la scuola pubblica verrà affidata progressivamente ai privati i quali naturalmente la gestiranno secondo i criteri e gli interessi che appartengono alle forze di ispirazione neoliberista.

Non è un’ipotesi bizzarra questa soprattutto se pensiamo al ruolo che la nuova legge attribuisce ai capi di istituto: un ruolo del tutto analogo a quello dell’amministratore delegato di un’impresa. Insomma, come più volte è stato messo in evidenza, la filosofia del jobs act entra nelle scuole.  Ci potrà pur essere un capo d’istituto che rifiuterà il ruolo di portaborse ma oggettivamente la riforma gli attribuisce questo ruolo.

Per contrastare questo disegno ci vorrà una visione alternativa di società dove la politica non dovrà più essere subalterna e ridotta all’amministrazione dell’economia, naturalmente  scelta e imposta dal potere; insomma servirebbero forme nuove di agire politico e una diversa disponibilità verso il lavoro unitario. È l’unica condizione per creare una scuola diversa.

[Immagine: Jan Van Steen, Scuola di Paese, Paesi Bassi, 1670]

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI