E se la gente lo sa … suonare ti tocca
1 Novembre 2008
Gianni Loy
A volte, mi chiedo a cosa serva questo nostro lavoro di editoria semiclandestina, questo nostro riflettere, ed interrogarci, sulle cose della politica. A cosa serve? Quando l’informazione dell’economia di mercato ha economia di scala, e la realtà socialmente condivisa non è più il dubbio che cerchiamo di insinuare tra i pochi lettori che manifestano curiosità per le nostre idee. Ed anche per i nostri sforzi, visto che come redazione ci sentiamo sollecitati dalle scadenze e sottoposti a quella sottile pressione psicologica necessaria per farci adempiere agli impegni che abbiamo presi. Diceva, il suonatore di André: E quando la gente lo sa, che sai suonare, suonare ti tocca, per tutta la vita, e ti piace lasciarti ascoltare. Voglio dire che, forse, siamo rimasti prigionieri di un’idea primogenita, di uno stereotipo di impegno politico che, peraltro, ci procura, o almeno mi procura, più nemici che amici. Solo che l’amicizia di quei pochi, ed il rispetto di pochi altri, questi ultimi anche di campo avverso, ti ripagano della solitudine politica cui ti sei condannato da te stesso, nel momento stesso in cui hai cominciato a coltivare una speranza, o un’illusione. Non è neppure per la paura di essere additato come pentito. Che anche il pentimento può possedere dignità e valore. Semmai è per l’incapacità di abbandonare quelle semplici idee di libertà di uguaglianza, di democrazia che non sono i proclami della rivoluzione francese, ma il modo di guardare, ogni giorno, il vicino di casa, lo studente, il commesso dei grandi magazzini. Dei grandi magazzini dove l’altro giorno sono stato ricattato, quando di fronte ad una mia legittima rimostranza per un acquisto non corrispondente all’offerta, mi hanno fatto capire che, se mi avessero rimborsato, avrebbero fatto pagare il costo al dipendente che si era sbagliato. No grazie, ho dovuto rispondere: Lasci stare! Come non detto. Di fronte a queste nuove imprese che negano ciò che è l’essenza dell’impresa, cioè l’assunzione del rischio, rischio che, con mille stratagemmi, trasferiscono sul lavoratore, quando non sul precario. Suonare ti tocca per tutta la vita. Cioè scrivere. Che diventa anch’esso pesante, quando di fronte al mondo che ci crolla addosso, ci troviamo di fronte all’assillo di una parte dei lettori. Bramosi di un duro giudizio di condanna nei confronti dell’attuale presidente della Giunta regionale della Sardegna. Trovo ciò, personalmente, quasi insopportabile. Politicamente, perché mi pare un ulteriore indice della frana che da noi stessi (da loro stessi) ci facciamo franare addosso. Abbiamo mille modi di manifestarci. Personalmente, da consigliere comunale, mi sono impegnato a fondo contro la scelta di costruire la nuova sede di Tiscali a Sa Iletta. Quasi da solo, sino a scoprire, poi, che persino alcuni movimenti cosiddetti ecologisti, avevano sottobanco acconsentito a quella scelta profondamente sbagliata. Era quando Soru era l’idolo di una certa sinistra che credeva che il cemento producesse posti di lavoro. Ed ho dissentito con alcune sue scelte, testimoniandolo con le dimissioni dalla presidenza di un Ente ma impegnandomi, nello stesso momento, ad evitare qualunque strumentalizzazione da parte di una stampa già pesantemente schierata. E dissento, e posso dissentire, da altre sue scelte. Ma, intanto non mi credo la principessa del pisello, colui che tutto sa: da buon calzolaio, mi limito a giudicare la fattura dei calzari. Ed in secondo luogo perché possiedo un’idea (non so se giusta o sbagliata) di come si debba fare politica. Anche la matematica, in questo mi è utile. Perché le operazioni, per poter essere correttamente eseguite, richiedono sempre due fattori, due termini. Un numero è maggiore o minore non per ontologia, ma soltanto in relazione ad altri numeri che siano, rispettivamente, maggiori o minori. Tra qualche mese avremmo in Sardegna le elezioni regionali. Tutti siamo candidati, si fa per dire: Ma la scelta di colui che sarà, alla fine, il candidato, avviene per comparazione. Così fa Forza Italia, che pone a confronto Pisano, Floris, Pili, ad esempio, e il movimento si esprime, anche se poi, in questo caso, sappiamo che la scelta la farà, Berlusconi in persona. Anche il Centro sinistra, o il PD, o qualche cosa che non è il Partito delle Libertà, per intenderci, è probabile che presenti un proprio candidato alle prossime elezioni regionali. Noi ci picchiamo di essere democratici. Per questo il candidato non sarà scelto personalmente da Veltroni. Ebbene. Quali sono i termini di paragone?. Se da semplice elettore del centro sinistra, magari anche attraverso le primarie, dovessi partecipare alla scelta, come sarebbe auspicabile, sulla base di quali elementi potrò esprimere la mia preferenza?
So, al momento che esiste un candidato, Soru. So che ce ne possono essere di migliori. Allora avanti. Affrontiamo, seppure in forte ritardo, il dibattito, cioè il confronto. Soru o Emauele Sanna? Soru o Soro? Soru o Palomba? Soru o Cerchi? Basta insomma, con le lapidazioni in piazza. Chi non vuole, non può o non sa proporre un’alternativa reale, concreta, oggi esistente con nome e cognome, taccia. Perché questo sport estremo di vituperare un candidato possibile, anche se non il migliore, quando il migliore non scende in campo, è autolesionismo bello e buono. E’ la preparazione alla disfatta. Non è tempo di parlare di estetica o di psicologia. Non mi importa un fico della cadenza di Soru o del suo accento marmillese delle sue azioni, dei suoi tic o delle sue frequentazioni. Neppure dei suoi errori, o meglio delle cose non condivise. Fare oggi politica, in Sardegna, contempla sicuramente, tra le cose importanti, quella di affrontare una dura campagna elettorale. Ad incominciare dalla scelta di un candidato. Chi ha una proposta da fare la faccia, subito, oppure taccia per sempre. Oppure si abbia il coraggio di dire, ed è legittimo, che in mancanza di alternativa, un pezzo di questa sinistra critica preferisce affidare per 5 anni la regione all’uomo che sarà benedetto dal Cavaliere.
3 Novembre 2008 alle 20:38
E’ come diceva quel conservatore di Montanelli, che bisognava votare DC tappandosi il naso? Credo di sì. E infatti la matematica dice che tra i proposti o possibili candidati non si vede che meno, e quindi Soru resta più, Er Più, purtroppo e per forza. Ma guai allora a fermarsi al purtroppo e al per forza, che quindi non si può accettare, se non si fanno confronti e misure di bene e di male, di peggio e di meno peggio. Come si dice, bisogna fare di neeessità virtù. Ma troppi di sinistra, che un tempo si dicevano massimalisti, non sanno fare un semplice ragionamento di misurazione e di opportunità come questa. E così che ci è ritornato Berlusconi. E prima Mussolini. E’ troppo semplicistico? No, è troppo semplice per troppi di noi che si credono superiori al semplice e all’ovvio.
3 Novembre 2008 alle 23:47
Di Soru magari non ci piacciono tutti i progetti, ma gli altri, compresi i suoi della coalizione, non sembrano averne nessuno degno di essere raccontato pubblicamente, almeno fino ad ora. Da quando ho iniziato a votare ho capito solo una cosa, che si vota il meno peggio. E’ come con “il Manifesto”, capita di non essere d’accordo con quello che scrive (la maggior parte delle volte sì), ma lo compro tutti i giorni e non trovo di meglio. Sono d’accordo con Gianni Loy, chi crede di avere proposte forti si faccia avanti subito, altrimenti si dica pubblicamente che Soru è il miglior candidato e lo si sostenga. Ma temo che questa sia fantascienza.
4 Novembre 2008 alle 10:52
Tre commenti che condivido e sottoscrivo appieno. Anche il buonsenso aleggia dalle ns parti…Però se il Cavaliere è ritornato non è che sia ritornato per la nostra mancanza di ragionamento di misurazione . Più semplicemente è sempre stato lì, con tutta la corte che ancora lo circonda e che ci “dialoga”..
4 Novembre 2008 alle 22:19
La discussione è sempre salutare, meglio se su programmi e prospettive. Non siamo interessati a totopronostici, a tifoserie che talora celano interessi contrapposti. Probabilmente abbiamo deluso questi riduttivi schieramenti, e qualcuno che pensava di piegare a piccolo cabotaggio anche il manifestosardo: ad esempio con la nostra opinione che l’attenzione a cultura e ambiente della giunta Soru, spesso criticabile, è stata preferibile alle precedenti esperienze; su Tuvixeddu con l’appoggio alla meritevole spinta al vincolo integrale la critica agli errori amministrativi e di incarichi alternativi dall’alto; dissentendo sul G8, censurando il tentativo di vendere le aree minerarie pregiate o quello dei termovalorizzatori. Valutando insoddisfacenti le politiche sul lavoro.
Attenti a non eccedere nelle petizioni: strumento importante che acquista valore se seguono dibattiti, approfondimenti e infine appelli che ne registrino punti di vista avanzati e condivisi. Non vogliamo rinunciare, per la via breve della semplificazione, alla via maestra della discussione. Qualcuno dovrà parlare di temi e programmi a sinistra, e noi ci proveremo.
Accentuare la difesa intransigente della linea di costa come propone Roggio? Ecco un obiettivo da condividere sul quale discutere e schierarsi. Cartina di tornasole politica, come per Tuvixeddu. Vi promettiamo un flash nel corsivo infrasettimanale (uscirà l’8 novembre) e un approfondimento nel numero 38.
11 Novembre 2008 alle 14:23
C’è una Sardegna minore che vive a fatica. Sono i piccoli comuni delle zone ineterne il cui divario con le zone costiere diventa sempre piu’ irrecuperabile. Dai recenti rapporti leggiamo un’altra Sardegna, dove si invecchia senza nascite e ricambio, dove si sopravvive a basso redditto, poco istruiti e sempre piu’ disoccupati. L’informazione è che 1 comune su 5 è gravato dal rischio di defenitiva scomparsa. Ma non è la Sardegna che si vuole far conoscere. Un tempo le famiglie che avevano un figlio gravato da handicap lo tenevano nascosto in casa. Si vergognavano. Al summit del g8 nel 2009 faremo la stessa cosa, il mondo vedra’ un altra Sardegna, quella ricca, appettibile agli speculatori di sempre. Una Sardegna sempre piu’ disponibile per un economia di dipendenza. Non la Sardegna dei disoccupati, dei cassantigrati, dei pastori sfruttatti dalle industrie casearie, o dei contadini espropriati dalle loro terre, o dei piccoli artigiani che chiudono bottega. C’è un impoverimento generale che unisce tutti sotto il nome della “GLOBALIZZAZIONE E del LIBERO MERCATO” tanto caro alla destra quanto alla sinistra, mitizza i modelli prodotti indifferentemente a Londra o a Los Angeles. Soru dice “l’occupazione deve essere lascita al libero mercato”. In America la gente è incazzata nera per il salvataggio delle banche, vogliono vedere i banchieri impicati e appesi dai ponti. E noi ci stiamo preparando a sostituire le gesta dei vecchi eroi locali con le marionette dell’isola dei famosi.