Eccidio di Bugerru, una domenica di sangue
16 Settembre 2016Paola De Gioannis
A Parigi ,nel 1866, si costituì, per iniziativa di un ingegnere belga che aveva visitato il bacino minerario del Sulcis- Iglesiente, La Societé des mines de Malfidano che si assicurò i diritti di sfruttamento delle miniere di Buggerru. L’ ottimo minerale suscitò,nella Francia di Napoleone III,l’interesse speculativo dell’alta finanza che con sguardo acuto, intravide profitti alti e sicuri. In breve tempo, La Malfidano con atteggiamento spregiudicato e lasciando sperare risorse notevoli, si impadronì del sottosuolo circostante, dei cantieri, degli alloggi, degli spacci.
Da subito mise in atto un potere senza vincoli sulla intera zona e in particolare sul poverissimo paese che crebbe rapidamente con altissimo sacrificio, ma senza riflettere a sufficienza che poneva se stesso alle dipendenze di una gerarchia prepotente, padrona e del tutto estranea al costume e alla cultura dell’intera isola. I minatori si videro costretti ad abitare le squallide, umide baracche e ad acquistare soltanto negli spacci della compagnia, rinunciando a parte del salario. Abitazioni ricche e confortevoli ospitavano, al contrario, la direzione della miniera.
In soli tre anni le miniere di Buggerru furono in grado di produrre,a costi molto bassi, quarantamila tonnellate di ottima calamina l’anno. Ma la vita dei minatori era durissima e i ritmi del lavoro logoranti. L’orario raggiungeva le tredici ore e all‘angustia di un lavoro malsano che esponeva al rischio della silicosi, si aggiungeva la forte presenza di manodopera femminile e minorile. Il sacrificio dei minatori imprigionati nelle viscere della montagna, costretti a respirare la polvere densa che brucia i polmoni, abituati a convivere con il pericolo della morte stessa, conferì alla comunità di miniera un’impronta particolare.
Una comunità capace della responsabilità individuale e del valore alto della responsabilità. Un’etica comunitaria da non dimenticare e disperdere nella lunga faticosa storia dell’identità dei sardi.
All’inizio del Novecento si intensificarono i movimenti di protesta e il tentativo di tutelare la vita e la dignità. Buggerru fu uno di questi tentativi.
Bava Beccaris che aveva guidato nel sangue la repressione dei moti milanesi del 1889, noti per la fame che attanagliava i cittadini, lo spinse ad una una strage, Beccaris ricevette per volontà di Umberto I, durante il Governo Di Rudinì. La Gran Croce all ‘Ordine Militare e nel contempo il seggio in Senato. Fu una delle pagine più oscure della nostra storia .Al piccolo paese sardo toccò in sorte di vedere legata la propria vicenda sociale alla più larga vicenda nazionale.
Per la decisione del direttore della miniera, l’ingegnere Giorgiades, di ridurre di un ulteriore ora l’intervallo pomeridiano del lavoro, otre 2000 operai rifiutarono di raggiungere gli impianti. IL 4 di settembre, del 1904, mentre erano in corso le trattative, la forza pubblica, in risposta ad una sassata, aprì il fuoco uccidendo tre operai . L’eccidio di Buggerru suscitò una profonda emozione. La Camera del Lavoro di Milano proclamò il primo sciopero generale della storia italiana. I quotidiani socialisti commentarono “Il sangue dei poveri, bagna Buggerru”. Il Parlamento si vide costretto a nominare una Commissione d’inchiesta. Queste “azioni – fu detto in aula – pongono la nostra nazione al di sotto della civiltà” L’episodio che andò fuori dell’italia, trovò una eco in diverse pagine letterarie.
In Paese d’ombre, Giuseppe Dessi scrisse “verso sera le finestre di Buggerru si illuminarono, le case tornarono a rianimarsi e il fumo dei camini si levò sui tetti offuscando il cielo che si schiariva dalla parte del mare. Si udirono gli spari poi il silenzio. Il silenzio di Buggerru dopo la strage in quel triste pomeriggio di settembre era simbolo del silenzio dell’intera l’isola”.