Elezioni regionali e crisi dei partiti
20 Luglio 2013Nicola Imbimbo
Anche le più recenti amministrative hanno visto crescere il numero di elettori che non partecipano al voto.
Si è insieme confermato il trend che registra il successo di candidati e liste al di fuori o contro i maggiori schieramenti: da Roma ad Assemini a Messina e a Ragusa, come in precedenza era accaduto per l’elezione di sindaci di grandi città (Milano,Napoli, Genova) sino alle ultime politiche generali.
E’ la conferma della sfiducia ,del disprezzo, della rabbia con cui vengono percepiti i partiti: luoghi di professionisti della politica, élite protetta dalla “professionalità”di casta e dalla burocrazia di partito. Impenetrabile (nonostante e forse grazie anche alle primarie come sembra accadere in questi giorni nel centro “sinistra” sardo) alla stragrande maggioranza non solo dei cittadini comuni ma anche alla “cittadinanza attiva” che trova anche nelle istituzioni occupate dai partiti un muro di gomma.
In Sardegna la situazione non è diversa da quella nazionale, ma,se possibile, più grave: non solo i partiti sono un corpo separato dalla società viva, dai suoi problemi, dalle sue potenzialità che spesso si manifestano nonostante tutto. La stessa massima istituzione, la Regione, è percepita come “altro”, il presidente Cappellacci è ai livelli minimi di credibilità e di consenso. Nessuno dei problemi antichi e strutturali della Sardegna è stato affrontato con serietà, determinazione,onestà, democrazia aperta: dall’autonomia al rapporto regione-comuni e comunità sub regionali (si pensi al pasticcio delle Provincie); dai problemi economici,industriali,dell’agricoltura, della pastorizia e commerciali, ai trasporti all’istruzione all’ambiente.
Fra non molti mesi i sardi saranno chiamati ad eleggere un presidente e un consiglio regionale (non azzardo a dire nuovo né per l’uno né per l’altro). Come ricorda Marco Ligas nell’ultimo numero, del MANIFESTO SARDO solo ora i partiti tornano a dare segni di vita, ma sono solo “gesti” più che azione politica per sopravvivere ed autoriprodursi come corpo separato e privilegiato: come “casta” appunto.
Sarà possibile dare voce agli esclusi.? Dare voce a chi critica i partiti in consiglio regionale , compresa quella che avrebbe dovuto essere opposizione ma che vanta come risultato significativo della sua presenza l’abolizione dell’IRAP !?
Occorrerebbe una prospettiva politica nuova, alternativa alle forze e lobbie che hanno dominato la regione nei tempi più recenti. E’ possibile costruirla? Dei segnali i sono. Si muovono singoli, associazioni,qualche forza politica minore che vorrebbero cimentarsi per costruire l’alternativa: si va da chi è rimasto senza partito perché elettoralmente estinto o ha cambiato i connotati ( DS e poi PD,Rifondazione, Pdci, socialisti, IDV, verdi) a chi ha rotto con il proprio partito (significativa la rottura in SEL sarda determinata dalla chiusura del ristrettissimo gruppo dirigente molto attenta alla sistemazione personale); ci sono gli scontenti del PD per le scelte nazionali. Prima Monti e ora addirittura l’en plein con Monti e Berlusconi non per necessità solo nel Parlamento – come con Monti- ma addirittura nel governo come alleati politici. C’è infine qualche personalità della cultura che potrebbe essere interessata ad un impegno diretto per CAMBIARE.
Che possibilità ci sono di costruire un’alternativa e come. Occorre (non è mai troppo tardi in questa situazione di sfascio) vagliare e valutare tutte le possibilità in campo per cimentarsi in un proposta di rottura col sistema attuale e di alternativa vera e innovativa sul piano del metodo e su quello dei contenuti politico-programmatici.
Quali sono per questo vasto e disperso mondo che vuole il cambiamento le strade percorribili. Provo a indicare alcune di quelle che si stanno vagliando in ambienti diffusi e per ora quasi sommersi.
Prima ipotesi: costruire un nuovo soggetto politico di sinistra in Sardegna. Se si sceglie questa via,: deve essere in grado di cimentarsi già per le elezioni del prossimo inverno; o deve avere una prospettiva molto strutturata (ma che non riproduca i difetti dei vecchi partiti) e quindi lavorare senza l’urgenza della sfida elettorale e i molti problemi che ciò comporta.
Seconda ipotesi: costruire un percorso che si muove nell’immediato per intercettare gli elettori (astenuti, scontenti, critici, movimenti autonomi autonomisti e neo-sovranisti (sino agli indipendentisti? )) che propone di dare una svolta per affrontare la crisi economica, di cultura e di democrazia. Si tratterebbe di costruire una lista democrazia radicale”non di partiti , con un loro appoggio esterno per quelli che ci stessero Lista non come mero luogo per recuperare carriere perdute o ambizioni represse. Intorno ad un candidato di spessore, di specchiata onestà e credibilità proveniente possibilmente dal mondo della cultura o dell’economia o della società nelle sue diverse articolazioni ma non da incarichi rilevanti di partito. Possibilmente donna. Una lista che deve avere un programma con punti selezionati ma irrinunciabili e un metodo di selezione di candidature provenienti da cittadinanza politica attiva, con criteri diversi da pratiche verticistiche e di “lottizzazione”. Per una Sardegna che sfida, per sconfiggerle, le politiche neoliberiste, per il lavoro,la riqualificazione e il risanamento dei siti industriali abbandonati, per un nuovo ruolo dei comuni non più puri centri amministrativi ma soggetti capaci di incidere e determinare una nuova economia, per una diversa distribuzione della sovranità attraverso un processo inverso a quello dominante: il comune sottoposto alla Regione, la regione allo stato, lo stato all’Europa. In questo quadro di riavvicinamento di tutte le scelte verso le comunità locali ridefinire l’autonomia speciale e la sovranità.
Una lista che si propone di vincere e governare, magari per una legislatura di transizione in funzione di nuovi e diversi assetti politici e istituzionali della Sardegna, che eserciti sino in fondo gli strumenti e le prerogative dell’autonomia per misurarne magari limiti e proporre , come sostiene Michela Murgia in una intervista a quel punto altre forme di autonomia più radicale.
Queste due si potrebbero considerare le ipotesi principali, ambiziose e molto impegnative ma di grande valore. Alternative, di vero cambiamento. In subordine c’è chi pensa ad un’aggregazione che agisce e interagisce con i partiti del cosiddetto “tavolo” del centro sinistra tentando di far passare proposte innovative, diciamo dall’interno strappando qualche impegno programmatico e proponendo un metodo di selezione delle candidature quanto più possibile aperto e partecipato. Si veda l’appello in tal senso per primarie sì, ma aperte.
Questa strada già parzialmente percorsa sembra già fallita perché il PD impone il suo gioco autodistruttivo che non può essere sconfitto ai “tavoli” ma solo dal voto degli elettori.
La sfida è aperta. Il tempo non è molto ma sufficiente se si creano le condizioni.
22 Luglio 2013 alle 08:46
Caro Niko, “Questa strada già parzialmente percorsa sembra già fallita perché il PD impone il suo gioco autodistruttivo che non può essere sconfitto ai “tavoli” ma solo dal voto degli elettori. La sfida è aperta. Il tempo non è molto ma sufficiente se si creano le condizioni.”
Concludi la tua interessante riflessione, sulle prospettive a sinistra, quella non formale, con un giudizio politico e con una sfida che a me paiono essere in contraddizione.
In un mio recente post ho affrontato sulla base dell’idea diretta che mi sono fatto avendo ascoltato molto e da tempo quello che la sinistra unconventional andava dicendo e facendo a Cagliari come a Roma, l’ho fatto con la serenità di colui che non è un competitore diretto da tempo e che non intende esserlo, cosi come da tempo ho scelto di dire come la penso in modo trasparente in pubblico e in privato, scrivendo nel mio blog.
Vi sono anche dalle nostre parti ampie e diffuse sacche di conservatorismi che abbisognano di una riflessione soggettiva e di un processo di maturazione politica e culturale di cui non vedo ancora traccia circa i temi dell’esercizio della sovranità, dello sviluppo sostenibile, della nuova archittettura istituzionale della Regione, della natura e del tipo di rapporto negoziale con lo Stato centrale e con l’Eutopa, del processo di sardizzazione dei corpi intermedi e della loro riforma, dei temi della lingua sarda.