Elisabetta Ardu, sarta e attivista dello yarn bombing

1 Aprile 2016
fusilla_foto_antoniosini
Roberto Loddo

Lo yarn bombing è un’evoluta forma di street art che ricopre di filati e fibre lavorati a maglia e all’uncinetto le panchine, i pali della luce, le statue, i cestini e qualsiasi cosa faccia da cornice al degrado e al grigiore delle nostre città. Una buona pratica di lotta che mette al centro le azioni di riappropriazione degli spazi urbani. Elisabetta Ardu, in arte Fusilla è una giovane sarta di Santu Lussurgiu che nel luglio 2015 ha aperto una sartoria nel suo paese ed è attiva nel movimento della guerrilla crochet. Fusilla è una vera e propria partigiana della trasformazione dei non luoghi dell’esclusione sociale in luoghi inclusivi e aperti. La resistenza di Fusilla è fatta di espressioni grafiche che generano installazioni e interventi gentili che non danneggiano gli arredi urbani, ma semplicemente li vestono. Parliamo con lei della sua esperienza di lavoro e di impegno sociale.

Quando ha iniziato ad attrarti questo mondo?

Quando ero molto piccola. Mia nonna mi ha fatto apprezzare il valore della manualità e dei lavori artigianali. Ho un bellissimo ricordo del tempo che lei ritagliava per la sua creatività che ottimizzava rendendola utile per la casa, per la famiglia e per chi ne avevano bisogno. Il tempo con mia nonna era dedicato ai racconti del prezioso lavoro artigianale che prima veniva svolto per le cose di ogni giorno, quelle che oggi diamo per scontate. Mia mamma invece mi ha insegnato il buon gusto.

Un passatempo che è diventato il tuo lavoro

Sì, ho iniziato con i vestitini per le bambole e sono passata ai vestiti per me stessa. Una passione per la manualità che ho però sempre considerato un passatempo e non come un lavoro. A 25 anni ho deciso di mettermi in discussione e ho scelto di fare solo ciò che mi stimolava la passione e la creatività. Si può dire che è da qui che ho iniziato a considerare la questo hobby come un lavoro.

La passione per la tessitura non è una pratica molto diffusa in Sardegna

Mi ha sempre colpito dall’abbandono del patrimonio tessile da parte del mio territorio, un patrimonio scomparso nell’economia ma presente come pratica considerata difficile da far fruttare per il sistema moderno. In ogni paese esistono ancora i telai e ci sono realtà di cooperative e singoli molto affermate. Bisogna solo lavorare per cercare nuovi canali e mettere a sistema tutte queste micro esperienze.

Quali sono le difficoltà del mondo del piccolo artigianato tessile?

La più grande difficoltà è non riuscire a cogliere l’opportunità e la potenzialità di bagaglio culturale antico e prezioso. Far comprendere alla mia gente che il “mettersi insieme” e fare gruppo rappresenta una buona pratica di crescita e di sviluppo della nostra comunità e non toglie niente ai singoli, e il “mettersi in strada” nelle piazze, il fare le mostre mercato durante le feste, non rappresenta una “vergogna”.

Per il progetto Fusilla quanto è importante l’arte del riciclo e la sostenibilità nel percorso creativo?

Sono elementi importanti. Credo che il nostro pianeta non possa andare avanti per molto con questo modello di sviluppo e con gli attuali ritmi di consumo e di sfruttamento dei nostri beni comuni. Credo fortemente nel potenziale dell’artigianato sardo, nella possibilità concreta di una economia che metta al centro le persone, basata sul consumo critico ed etico, e il riciclo è un buon punto di partenza.

Nel tuo lavoro, che rappresenta anche una forma di attivismo culturale, ci sono degli alleati in Sardegna con cui costruire reti permanenti?

Uno dei migliori terreni fertili che ho incontrato per lo sviluppo della mia pratica artistica è stata l’esperienza culturale del centro sociale occupato ex Q, esperienza purtroppo conclusa nel peggiore dei modi. Oggi sono alla ricerca costante di esperienze nuove che possano essere compatibili con i miei progetti.

Cosa rappresenta per te il movimento yarn bombing? Incursione di colore contro il grigiore urbano oppure c’è un messaggio di trasformazione sociale?

Assolutamente sì. Lo yarn bombing è una straordinaria pratica di comprensione delle reazioni spontanee delle persone di fronte alla alla gentilezza e alla fragilità dei materiali. Molti interpretano lo yarn bombing solo come frutto delle azioni di un movimento per il decoro e contro il grigiore urbano. Effettivamente ha questo effetto mediatico immediato, ma ad esempio nel mio caso, le installazioni del progetto Fusilla meglio recepite dalle persone sono state proprio quelle che contenevano un senso di ribellione, un messaggio di cambiamento o che denunciavano ingiustizie..

Cosa cerchi di comunicare con le tue installazioni?

L’alberello per esempio, una delle mie prime istallazioni, rivendicava la mia esigenza di condivisione, di maggiore empatia nelle nostre comunità urbane. Volevo esprimere la mia sofferenza nel vedere le persone che mi circondano sempre a testa bassa, immerse nell’isolamento, nella freddezza e nel silenzio delle proprie mura. Forse il mio essere paesana, mi ha fatto comprendere meglio i recinti sociali imposti dai ritmi della nostra società che porta le persone a diffidare l’una dall’altra e ad ammalarsi di incomunicabilità. Principalmente voglio comunicare e stimolare una reazione. Il cosa dipende strettamente dalla mia quotidianità.

Nelle tue azioni di yarn bombing ci sono momenti dedicati all’attivismo culturale e sociale, e anche alla condivisione collettiva.

Ho partecipato a delle collettive promosse dalla biblioteca gramsciana di Ales attraverso delle opere in memoria di Antonio Gramsci. Ad Alghero, in occasione del Sardegna Pride 2014, ho realizzato un intreccio all’uncinetto che sboccia nel porto di Alghero su una delle tante casematte di cemento delle nostre coste, cicatrici dei conflitti mondiali del secolo scorso. In questa occasione è stata favorita l’interazione con la comunità di Alghero che ha partecipato all’installazione: un grande cuore realizzato con cordame gentilmente prestato dai pescatori del porto mentre i petali esterni sono stati realizzati con gomitoloni ottenuti riciclando vecchi maglioni infeltriti.

Fusilla è un progetto che ha sostenuto la battaglia per i diritti civili del Movimento sardo LGBT.

Sì, con A blossom above human insanity ad Alghero sono voluta partire proprio da un casermone di cemento armato in mezzo al porto che veniva utilizzato come strumento militare, per far comprendere come il veleno della follia, della separazione tra popoli e  culture, possa trasformarsi in una medicina fatta di accoglienza e interazione. Quell’installazione ha voluto generare  riflessione per far si che i nostri occhi vadano oltre queste grandi “torte” di cemento armato e possano vedere, e immaginare il vivo ricordo della degenerazione umana e ricordare quanto siano importanti per il nostro futuro l’amore, il rispetto, l’accettazione del prossimo e la parità di diritti e e di libertà d’espressione proprio nell’occasione in cui tutti questi valori, spesso dimenticati, sono riassunti in un momento di festa e rivendicazione di diritti, il Pride.

Il progetto Fusilla è attivo anche nella difesa dei diritti umani nel mondo, il tuo progetto ha sostenuto la mobilitazione internazionale degli artisti per Gezi Park.

Ho provato molta rabbia nel vedere le immagini della grande rivolta popolare partita a difesa di uno dei pochi parchi rimasti ad Istanbul che veniva soffocata dalla violenza della polizia contro cittadine e cittadini inermi. Questa grande mobilitazione, trainata dai giovani in lotta per i diritti civili e la democrazia, mi ha fatto conoscere il simbolo forse più potente di quelle giornate, la foto che ha fatto il giro del mondo, quella della ragazza turca vestita di rosso che ha affrontato gli idranti della polizia in assetto antisommossa.

Con quale azione ti sei connessa al movimento internazionale degli artisti?

In un passaggio pedonale, in un cartello stradale di Sassari, avevo fatto un’installazione con l’alberello sul cartello e l’omino che attraversa con la bandiera della Turchia, sostituendo il simbolo con il cuore. Sono stata ispirata dall’artista italo-francese Abraham Clet, famoso per le azioni sui cartelli della segnaletica stradale di tutto il mondo.

 

Video di Elena Cabitza
musiche Tre Allegri Ragazzi Morti – Signorina Primavolta

La foto è di Antonio Sini, da liberi ritratti _LAFS il laboratorio di fotografia sperimentale svolto presso l’Ex Q.

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