Elogio del sistema proporzionale
16 Settembre 2019[Livio Pepino]
Insieme alla riduzione dei parlamentari voluta dal M5S e ormai in dirittura d’arrivo (dopo i passaggi parlamentari intervenuti durante il precedente Governo) è entrata nell’agenda della maggioranza la modifica della legge elettorale, necessaria per evitare le storture che, altrimenti, la riduzione dei parlamentari comporterebbe (cfr. https://volerelaluna.it/rimbalzi/2019/09/12/il-maggioritario-farlocco-di-romano-prodi/). Ma quale modifica? I rumors parlano di un ritorno al proporzionale puro in sostituzione del sistema misto attualmente previsto dal Rosatellum. Tanto è bastato a mandare in fibrillazione i mentori di sempre del maggioritario: in particolare, in casa PD, Prodi e Veltroni. Per il resto è tattica. Poco o nessun interesse di sistema e ricerca della soluzione che, qui e ora, può dare maggiori vantaggi elettorali, così che a un Renzi improvvisamente convertito al proporzionale si contrappone un Salvini giunto a prospettare un referendum per realizzare il maggioritario mediante l’abrogazione dell’attuale quota proporzionale. Meglio mettere da parte i proclami da pasdaran e le conversioni per convenienza e provare a ragionare. Intorno alla domanda centrale: perché sostenere il proporzionale?
Primo. Il sistema proporzionale è il metodo più democratico di scelta dei parlamentari: per la decisiva ragione che disegna le assemblee elettive a immagine e somiglianza del Paese, cioè del mitico “popolo” da tutti evocato (naturalmente se e quando conviene). Con esso, infatti, se una forza politica ha il 10% dei consensi nel Paese avrà il 10% dei parlamentari e altrettanto accadrà per chi ha il 40 o il 70% dei consensi. Non è così con i sistemi maggioritari in cui il partito che ha più voti viene premiato, seppur con tecniche e modi diversi, per il semplice fatto di essere il più forte. Nei Paesi in cui vi è un radicato bipolarismo ciò non altera significativamente la rappresentanza, ma in quelli (come il nostro) caratterizzati da grande frammentazione politica e da una pluralità di forze in competizione gli effetti distorcenti sono massicci. Addirittura può accadere – ed è anzi un’eventualità niente affatto remota – che un partito con il 30% dei voti (e dunque, considerato l’astensionismo, con il consenso del 15 o del 20% dei cittadini) abbia la maggioranza assoluta in Parlamento. Nessuno accetterebbe una soluzione siffatta in un condominio, in un consiglio di classe o in una bocciofila. Ma quando si tratta del Parlamento le cose cambiano.
Secondo. Si dice, infatti, che il maggioritario è necessario per garantire la governabilità consentendo di «sapere la sera del voto chi ha vinto e ha i numeri per governare». A conferma, si cita la grave crisi politica di Paesi con sistemi elettorali più o meno proporzionali, a cominciare dalla Spagna, in cui è estremamente difficile formare governi stabili, al riparo dalle incertezze e dai veti interni alle potenziali coalizioni. L’argomento è solo all’apparenza consistente. Anzitutto perché la governabilità non è un valore assoluto: se così fosse, la miglior forma di governo sarebbe quella – credo non auspicabile – dell’uomo solo al comando, foriera della massima rapidità decisionale e del minimo confronto politico. E, poi, perché governabilità e maggioritario non sono affatto sinonimi. Se, infatti, è lapalissiano che una maggioranza parlamentare corrispondente a una maggioranza politica reale favorisce la formazione di governi stabili (qualunque sia il sistema elettorale utilizzato), non è vero che un effetto analogo sia raggiungibile con operazioni di ingegneria elettorale quando quella maggioranza politica non esiste. I fatti sono eloquenti nel dire, proprio in questi giorni, che è più governabile la Germania (dotata di un sistema elettorale tendenzialmente proporzionale) che non la culla del maggioritario: quel Regno Unito costretto a chiudere il Parlamento per cercare di risolvere la crisi della Brexit. Non per caso ma perché la governabilità è un fatto politico e non il frutto di tecniche elettorali produttive di maggioranze fittizie e prive di riscontro nella realtà. Non solo ma anche le coalizioni tanto demonizzate dai sostenitori del maggioritario, lungi dall’essere un portato del proporzionale, sono, in tutti i sistemi non bipolari, una necessità politica che le diverse tecniche elettorali si limitano a collocare prima o dopo il voto (come dimostrano, nel nostro Paese, le grandi manovre in atto in questi giorni, sia a destra che a sinistra).
Terzo. I sostenitori del maggioritario continuano, peraltro, affermando che la frammentazione conseguente al sistema proporzionale paralizza il Parlamento e il Governo e osta a un’attività legislativa e amministrativa all’altezza dei bisogni di una società complessa. Anche questo rilievo, pur all’apparenza suffragato da alcuni esempi recenti, è in realtà infondato, quantomeno nella sua radicalità. Basta guardare alla nostra storia nazionale dei decenni passati. Nel 1970 ad esempio, vigente un sistema elettorale proporzionale puro, Camera e Senato approvarono, nell’arco di soli sette mesi, un complesso di leggi che cambiarono letteralmente il volto del Paese: l’attuazione dell’ordinamento regionale ordinario, lo Statuto dei lavoratori, la legge regolatrice del referendum abrogativo, la previsione di termini massimi di carcerazione preventiva, il divorzio. A tali riforme seguirono poi, nel volgere di pochi anni, altre leggi fondamentali come quelle sugli asili nido e sulla scuola elementare a tempo pieno, sull’obiezione di coscienza al servizio militare, sulla disciplina della custodia cautelare, sul nuovo processo del lavoro, sulla protezione delle lavoratrici madri, sulla tutela della segretezza e della libertà delle comunicazioni, sulla delega per il nuovo codice di procedura penale, sul nuovo ordinamento penitenziario, sulla riforma del diritto di famiglia, sulla fissazione della maggiore età a 18 anni e via elencando. E ciò avvenne – merita ricordarlo – non in presenza di un diffuso comune sentire ma all’indomani dei sommovimenti del Sessantotto e dell’autunno caldo e nel permanere di una situazione di elevata conflittualità politico-sociale. Fu una stagione di riforme e di scelte incomparabile con quella dell’ultimo ventennio, caratterizzato dal susseguirsi di leggi elettorali tendenzialmente maggioritarie. A dimostrazione che gli ostacoli e le difficoltà di funzionamento di Governo e Parlamento, quando ci sono, hanno natura politica e non tecnica.
Quarto. Si dice, ancora, che il sistema elettorale in vigore nel nostro Paese sino alla fine della prima Repubblica ha prodotto una frantumazione patologica della rappresentanza e l’incancrenirsi del clientelismo e della corruzione, diventati un male endemico soppiantabile solo con un sistema drasticamente maggioritario. La tesi è, a dir poco, paradossale ché il Parlamento eletto con il Porcellum (caratterizzato da un forte premio di maggioranza) ha conosciuto manifestazioni di trasformismo senza precedenti nella storia nazionale e la caduta verticale del costume amministrativo intervenuta nelle Regioni e nei Comuni ha fatto seguito alle riforme elettorali in senso maggioritario introdotte per tali enti nel 1995 e nel 2000 (che ne appaiono evidente concausa, se non altro per la riduzione del controllo politico che hanno prodotto).
Quinto. Ma c’è, a favore del proporzionale, una ragione ancor più profonda. I diversi sistemi elettorali, lungi dall’essere neutri, rimandano a diverse concezioni della democrazia prefigurando l’uno (il maggioritario) una democrazia di investitura, l’altro (il proporzionale) una democrazia rappresentativa e partecipativa. Il discrimine tra i due sistemi è netto. Nella democrazia rappresentativa – come è stato detto – «la sovranità popolare si esercita attraverso l’elezione di organismi rappresentativi, ma anche attraverso la partecipazione a partiti, movimenti, associazioni, che rimangono strumenti indispensabili per dar forma e voce alle istanze avanzate dalla società». Nella democrazia immediata o di investitura, al contrario, «il potere dei cittadini si esprime e si esaurisce nella scelta di capi di governo, che si relazionano direttamente con masse di individui atomizzati, senza l’intralcio di partiti e altri soggetti collettivi». In questa sorta di “democrazia del tinello” i cittadini cessano di essere protagonisti per diventare spettatori e limitarsi, come in un gioco televisivo, a esprimere periodicamente un voto di gradimento per gli aspiranti leader, fondato non sull’analisi di programmi articolati ma su emozioni indotte da tecniche di pubblicità commerciale. Con il corollario che «chi vince prende tutto» e che il «grande manovratore» così selezionato non deve, poi, essere disturbato, durante il mandato, né da partiti o movimenti né, tantomeno, dagli elettori che lo hanno scelto. Detto in altri termini, il proporzionale investe sulla politica mentre il maggioritario spoliticizza la società, rompe la coesione sociale e accresce i fenomeni di isolamento, insicurezza, conflittualità. Certo, se manca la politica anche il proporzionale non funziona, ma la colpa non è dello strumento.
da volerelaluna.it