Enervitabio contro s’Arrieddu
1 Dicembre 2012Mario Cubeddu
Un mostro di cemento, vetro e ferro, 1614 serre da 200 metri quadrati ciascuna, a occupare più di 64 ettari di terreno su cui sono stati impiantati 33.300 plinti da un metro cubo, quasi 3 ettari e mezzo di cemento armato. Tutto questo a s’Arrieddu, un angolo di campagna fertile nel territorio di Narbolia, nella pianura irrigata ai piedi del Montiferru. Queste scatole sono state costruite per metterci sopra pannelli fotovoltaici che produrranno un guadagno di 3 milioni e mezzo di euro dalla vendita della corrente elettrica, a cui vanno aggiunti 7 milioni di incentivi all’anno per vent’anni. Un incasso assicurato di 200 milioni di euro a fronte di un investimento di un quarto di questa cifra. Questo enorme progetto industriale per la produzione di energia elettrica è stato impiantato con la semplice autorizzazione di un tecnico comunale, “senza intervento della Regione sarda e senza valutazione di impatto ambientale, senza un vero piano di dismissione, smaltimento e ripristino e senza un vero e credibile piano agronomico che dimostri la prevalenza agricola dell’intera operazione.” Le osservazioni del Comitato “S’Arrieddu per Narbolia” sono state le base per una denuncia all’opinione pubblica e alla magistratura dell’ultima impresa truffaldina che si è riversata sui nostri territori: si costruisce una fabbrica per produrre energia, lucrando dagli incentivi concessi alle fonti alternative, facendola passare per un’impresa agricola ed evitando così controlli e vincoli ambientali. L’impianto di Narbolia arriva dopo che è stato terminato ed ancora non è entrato in funzione l’altro mostro costruito in un vicino angolo del Campidano, alle porte di Milis. E’ evidente che gli imprenditori ravennati e i finanziatori cinesi che hanno promosso l’iniziativa non hanno nessun interesse a mettere in produzione decine di ettari di serre. E infatti in un primo momento avevano presentato un piano agronomico risibile. Solo le pressioni del Comitato e la denuncia alla magistratura hanno costretto gli imprenditori alla redazione di un nuovo piano più credibile, almeno sulla carta. Ma le poche decine di braccianti previste non sono nulla rispetto a quanto richiederebbe la messa in produzione di più di 1600 enormi serre. Questa vicenda è solo una delle tante prodotte dall’invasione di iniziative speculative in campo energetico. Viene dopo che l’assalto dell’eolico era stato in qualche modo fermato e ridimensionato dalla reazione di settori dell’opinione pubblica e dalla politica della giunta Soru. Siamo di fronte a un problema gravissimo che vede coinvolti vari protagonisti. In primo piano c’è ovviamente la politica sarda. Anzitutto la cattiva politica della speculazione e dell’accettazione inerte. Queste grandi mobilitazioni di denaro non possono avvenire se chi le fa non è sicuro di avere sul territorio una copertura politica. Sembra che in questo caso essa sia garantita dal centro destra che, anche se in agonia, continua a fare i suoi affari e a produrre i danni conseguenti. Un’altra forma di complicità è quella di chi non muove un dito per controllare, condizionare, fermare la speculazione. La battaglia contro le serre fotovoltaiche è condotta come al solito nell’oristanese da comitati spontanei, da minoranze virtuose che sacrificano tempo, denaro spesso parte della propria esistenza.
Non possiamo dimenticare Andrea Atzori e tutti coloro che hanno combattuto la guerra ventennale per il rispetto della legge a Is Arenas. I grandi partiti democratici fanno finta di niente, quando non sono esplicitamente a favore di queste iniziative. Fanno pura e semplice politica di potere. Ai seggi delle primarie non vedrete certo manifesti che chiamino almeno alla riflessione, se non alla mobilitazione per problemi così gravi. La buona politica è fatta dalle minoranze. Esse trovano però molte difficoltà nel farsi sentire e nell’operare.
Nell’assenza di chiari indirizzi politici chi è costretto a subire l’impatto più violento di queste iniziative sono i Comuni. Gli enti locali e la popolazione sono smarriti, confusi, impotenti. Privi di guida politica, come sempre. Il risentimento prodotto dalla frustrazione porta a formulare giudizi impietosi sulla passività generale, sulla fiducia credula in qualsiasi iniziativa capace di portare insignificanti vantaggi momentanei e sicuri disastri futuri, sulla disponibilità a farsi corrompere degli amministratori e dei funzionari locali. Non crediamo in quest’ultima ipotesi, almeno sino a prova contraria. Il contesto in cui opera la politica locale è sempre più difficile. L’assenza di una politica seria e credibile, l’assenza di qualsiasi politica, non può che far scegliere i minimi vantaggi del presente e mettere in secondo piano i reali interessi del territorio e delle popolazioni che lo abitano. Il comitato di s’Arrieddu lotta contro la speculazione energetica in nome di una gestione trasparente e democratica di beni comuni come la terra e l’energia. E’ questa la questione di fondo. La Sardegna si avvia ad essere una terra senza più un’agricoltura. Le terre migliori sono sacrificate al cemento e al vetro, o si prospetta per loro l’altra ipotesi da incubo della monocultura del cardo, prodotto per la chimica verde. I pericoli connessi alla costruzione della grande centrale a biomasse a Porto Torres, con la prospettiva di destinare 100.000 ettari di terra sarda alla produzione della materia prima che dovrà alimentarla, sono stati denunciati dal movimento “No Chimica Verde” sull’ultimo numero di questo giornale. Siamo al paradosso di proposte che nascondono sotto termini positivi, “vita, bio, verde”, il ritorno dell’ennesima manifestazione di una politica coloniale che trova in Sardegna infiniti modi per manifestarsi. La situazione è gravissima, richiede capacità di analisi e la ricerca di soluzione nuove. Richiederebbe una forte mobilitazione politica di cui si sono colti i primi segni nell’assemblea dei movimenti ai primi di novembre di fronte al palazzo della Regione a Cagliari. Il dialogo e la collaborazione in embrione dovrebbero però continuare e crescere. Chi ha a cuore il futuro della terra e dei beni comuni in genere non può più permettersi divisioni e contrapposizioni sterili.