Europa?
16 Aprile 2014Gianfranca Fois
Si avvicinano le elezioni europee e noi siamo impreparati. L’Europa ci appare come matrigna. E’ lei che ha deciso le misure di austerità che stanno impoverendo sempre più i ceti medio-bassi, ma arricchendo gli altri, misure che i nostri governanti da Berlusconi via via sino a Renzi hanno fondamentalmente accettato, inseriti tutti nell’ideologia neoliberista, anziché costruire strategie di contrasto alla crisi che non si risolvessero con l’indebolimento della legislazione democratica e lo smantellamento del welfare.
E’ lei che ha emanato direttive che ci appaiono stupide, e certe lo sono, entrando ad esempio in modo pignolo e asfittico nei nostri cibi e nella nostra cultura alimentare. Ricordo soltanto, per noi sardi, il divieto di vendita del “casu marzu”, alimento che fa parte da secoli della nostra cultura. In un episodio della serie inglese l’ispettore Barnaby, trasmesso da un canale televisivo italiano, alcuni delitti erano dovuti anche al tentativo di coprire un traffico illegale di “casu marzu” (!).
E’ lei che si è resa complice degli interessi di grandi multinazionali a svantaggio dei cittadini. Insomma l’Europa ci appare nel suo lato peggiore, anche perché così ci viene presentata dalla politica e dall’informazione nei rari casi in cui ne parla, infatti niente questa fa per far conoscere la realtà della Comunità europea nella sua complessità fatta di luci e ombre.
Questa situazione sta facendo sì che in molti paesi si stiano affermando movimenti antieuropei di stampo xenofobo e razzista e spesso anche nazifascista e movimenti ultranazionalisti. Fanno leva su cittadini disperati per la mancanza di prospettive di lavoro, di vita dignitosa. Ma fanno leva anche sull’ignoranza e la scarsa informazione.
La sinistra europea, ma soprattutto quella italiana, ha accettato passivamente l’idea di riforme strutturali, riforme che l’ideologia neoliberista ha svuotato del loro significato originale (cambiamenti effettuati per rendere la società più giusta) appiattendolo sulle necessità del mercato, e ha appoggiato perfino l’inserimento nella Costituzione del così detto pareggio di bilancio.
Uno dei tanti modi, ma forse il più perverso, di mantenere le fasce povere o impoverite nella miseria e nelle difficoltà e ipotecare anche il futuro delle nuove generazioni.
Intanto in Europa anche a sinistra si sta sviluppando il dibattito tra quanti sostengono che l’unica via d’uscita sia il ritorno agli stati nazionali con pienezza di poteri e quanti, pur concordi nell’individuare i fondamenti della crisi nella deregulation dei mercati finanziari, invece ritengono che sia possibile un’unione europea veramente democratica. Questo presuppone naturalmente un cambio di prospettiva, anzitutto la formazione da parte dei paesi che aderiscono alla moneta unica di un vasto progetto politico comune che superi, nel programma, e soprattutto nei fatti, la sudditanza degli esecutivi nazionali al mercato finanziario ad esempio con “trasferimenti economici e responsabilità in solido tra gli Stati coinvolti” ( Habermas) e inoltre le modifiche dei trattati di Lisbona che consentano una partecipazione paritaria di Parlamento e Consiglio alla legislazione e una Commissione che risponda a entrambe le istituzioni.
Questa valorizzazione del Parlamento europeo sarebbe importante per la democraticità dell’Europa perché al momento le decisioni principali, che poi si riverberano sulla vita quotidiana dei cittadini comuni, sui loro diritti, vengono prese dalla Commissione europea che non è un organo elettivo.
Personalmente concordo con questa seconda ipotesi perché ritengo antistorico il ritorno alle sovranità nazionali di fronte ad un capitale finanziario che supera confini e corre per il mondo. Ma credo che anche le società civili e l’opinione pubblica europee potrebbero fare la loro parte anziché rischiare di farsi travolgere da populismi di varia natura, da quanti cercano di far passare l’idea che la colpa della crisi sia degli altri stati, dell’euro e non invece del capitalismo finanziario che sta mostrando il suo volto più feroce e ferino.
La crisi infatti per il mondo della finanza è utile per scardinare i diritti civili e sociali conquistati col sacrificio di intere generazioni, imponendo una democrazia formale e un’ingiustizia sociale sempre più forte, ma anche svilendo ed eliminando dal nostro orizzonte culturale quei valori di uguaglianza, libertà, solidarietà, fraternità che costituiscono il più alto grado di elaborazione del pensiero europeo.
Il percorso per ribaltare la situazione è sicuramente lungo e difficile anche se, stando ben attenti, qualche tentativo, piccolo e debole, c’è, ma d’altra parte i percorsi e i cambiamenti storici sono stati sempre lunghi e complessi. Soltanto meno di settanta anni fa molti dei paesi che formano la Comunità europea si trovavano in guerra, intenti ad uccidersi a vicenda, il fatto che oggi, anche se tra mille difficoltà e contraddizioni, collaborino in pace e con la prospettiva di creare una comunità anche politica mi sembra, nonostante tutto, un bel passo avanti.