Falce e pugnale

16 Maggio 2019
[Cristian Perra]

Sono molto contento che la prima presentazione cagliaritana di Falce e pugnale – per un socialismo di liberazione nazionale pubblicato per Catartica Edizioni si sia tenuta a Sa Domu, nel momento in cui ci presentiamo come spazio, e come laboratorio politico, dichiaratamente indipendentista.

Quello di Cristiano Sabino e di Omar Onnis è il libro giusto al momento giusto, trovandoci in un vero e proprio anno zero, nel quale sempre dove nuove forze giovani si affacciano alla galassia indipendentista, vogliose di lottare per l’autodeterminazione dei propri corpi e dei territori in cui vivono. È il libro giusto al momento giusto anche perché, come scrive Omar Onnis nel suo saggio all’interno del libro, la questione sarda e i contenuti prodotti dalle organizzazioni indipendentiste sta andando sempre più di fronte all’oblio a cui le posizioni indipendentiste sono state condannate, una disattenzione, sia accademica che nel senso comune, la quale ha fatto sì che l’elaborazione politica delle formazioni indipendentiste (pensiamo ad esempio alla partecipazione alla scrittura della carta di Brest di Su Populu Sardu, o alla sparizione delle posizioni di A Manca, sia per la repressione dello stato italiano – leggasi operazione Arcadia – sia per motivi interni all’organizzazione) venisse ridotta al sogno idealistico di alcuni giovani ingenui, o a una pericolosa minaccia per lo stato italiano. Questo libro è la volontà di uscire da quell’oblio contribuendo all’avanzamento teorico e pratico di tutto il movimento indipendentista sardo.

Non possiamo infatti sempre dire “….e allora la Catalogna? o i Paesi Baschi? o il Kurdistan?” ogni volta che parliamo di indipendentismo. Il contesto nel quale noi operiamo è diverso dalle altre realtà di popoli senza stato. Dobbiamo infatti scrivere il lessico e metodo della sarda rivolutzione.

Dobbiamo scrivere un nuovo lessico, il lessico della lotta del popolo sardo per la propria autodeterminazione, un lessico che sia femminista, socialista e indipendentista. Un lessico che abbia in sé l’autogoverno, l’autodeterminazione dei corpi, l’autonarrazione della cultura, della lingua e del folklore, l’autovalorizzazione del territorio e la riappropriazione dei mezzi di produzione.

L’indipendenza è un programma da applicare, non è un processo (che rende sempre più lontano l’obiettivo di questo processo), ma un qui ed ora. È il nostro impegno quotidiano, la nostra militanza, il nostro tentativo di riprendersi ogni centimetro di autogoverno dei nostri corpi e dei nostri territori. Ed è per questo che Falce e pugnale, per un socialismo di liberazione nazionale è un testo così utile, in quanto ci porta subito in medias res, attraverso una breve, ma intesa, ricostruzione storica e attraverso un denso saggio politico-filosofico che precedono la carta di Brest (1974), quella di Algeri (1976) e le ultime tesi di A Manca pro s’Indipendentzia (2013).

Riportare questi testi nel dibattito politico sardo non è una semplice riproposizione archeologica del movimento di liberazione nazionale sardo, lo studio di qualcosa di morto e sepolto a fini di erudizione. Si tratta di rimettere in discussione i nessi storici per costruire il nostro presente, la nostra lotta per l’autodeterminazione del popolo sardo qui ed ora. Obiettivo della storia è infatti quello di rintracciare la genesi ideale dei fenomeni riattualizzando nella coscienza le vicende che la hanno portato ad essere ciò che è.

Quindi la storia, non si costituisce come un qualcosa per il passato, e nemmeno per il futuro, la storia è il costante rapporto dialettico tra quello che ci ha preceduto e quello che noi facciamo. Falce e pugnale, quindi, si costituisce come il tentativo degli autori di riaprire un dibattito, tra le lotte in corso, tra chi fa politica oggi, tra le nuove generazioni che la faranno, tra chi ha la necessità di avere una base da cui partire, non lasciandoli allo sbaraglio senza niente in mano da cui ricominciare.

L’esempio di A Manca pro s’Indipendentzia è particolarmente interessante e indicativo per chi si approccia a qualsiasi livello alla questione nazionale sarda, in quanto mostra come una organizzazione comunista, marxista-leninista, non possa non considerare la questione dell’indipendenza come il modo con cui la rivoluzione socialista possa avvenire in Sardegna.

Già in Marx, che ne dicano quelli che Antonio Gramsci, grande convitato di pietra dell’intero libro, chiamava feticisti dell’unità1 scriveva in una lettera a Sigfried Meyer e August Vogt del 1870, come per alcune popolazioni la rivoluzione proletaria si potesse realizzare solo attraverso l’indipendenza da coloro che li dominavano. Scrive Marx infatti, riguardo l’Irlanda, che l’indipendenza fosse la prima condizione per l’emancipazione sociale.

Da Marx in poi, però, in particolare nello stato italiano, questo lato di Marx non viene più letto, esaltando quel feticismo dell’unità di cui parlavamo poc’anzi. È indicativo, infatti, quello che dice Togliatti, riferito non alla Sardegna, ma alla Sicilia, nel suo intervento al teatro Politeama di Palermo (1946):

Noi siamo contro la tendenza separatista per due motivi essenziali: uno che riguarda tutta l’Italia e l’altro che riguarda la Sicilia in particolare. Il motivo che riguarda tutta l’Italia è questo: che se anche si poteva ammettere, diciamo, settanta od ottanta anni or sono, una soluzione differente del problema siciliano da quella che venne data nel 1860-61, l’organizzazione della regione siciliana come Stato indipendente, e la sua federazione con altre regioni d’Italia o altri Stati mediterranei organizzati secondo lo stesso principio, non è ammissibile nel momento attuale, al punto in cui è stato ridotto il nostro paese, a meno che non si voglia arrecare un danno mortale a tutta l’Italia come stato indipendente e unitario. Ma il secondo argomento credo sia anche più efficace. Immaginatevi in questo Mediterraneo, arena di competizioni tra i colossi dell’imperialismo mondiale, questo piccolo Stato di cinque milioni di abitanti! Dove e come pensate che troverebbe la forza di resistere alla pressione di questi colossi? Lo staterello siciliano non avrebbe altra prospettiva che quella di essere lo zimbello della politica coloniale e imperiale di grandi lupi imperialistici.2

Sembrerebbe quindi che l’argomento addotto da Togliatti per combattere il nemico puro di quel tempo, l’imperialismo, sia quello dell’unità, ricadendo però così, nel volto colonialista proprio dello stesso imperialismo. Mentre da una parte abbiamo Togliatti nel ’46, dall’altra abbiamo il Gramsci del 1923, lo stesso Gramsci che, come scrive in una lettera del 1924 alla moglie Julia, nei suoi anni di gioventù avrebbe voluto gettare a mare i continentali, il quale nella Lettera per la fondazione de L’Unità parla di una Repubblica Federale come modalità della rivoluzione proletaria in Italia3.

Per aggiungere un tassello al nostro puzzle aggiungiamo quanto troviamo scritto nelle tesi del IV Congresso del Partito Comunista Italiano del 1931 che si tenne a Colonia. In esse, ispirate certamente da Antonio Gramsci troviamo non solo la formazione di una repubblica federale in stile sovietico, ma anche il progressivo aumento dell’autonomia di esse fino all’indipendenza. Nelle tesi di Colonia, infatti troviamo scritto:

Allo scopo di accelerare lo sviluppo economico, politico e culturale del Mezzogiorno, della Sicilia e della Sardegna e di soddisfare le aspirazioni delle masse lavoratrici, la rivoluzione proletaria promuoverà una particolare organizzazione autonoma politico-amministrativa di queste regioni, sino alla costituzione di repubbliche socialiste e soviettiste del Mezzogiorno d’Italia, della Sicilia e della Sardegna, nella Federazione delle Repubbliche Socialiste e Soviettiste d’Italia. La rivoluzione proletaria darà alle minoranze nazionali il diritto di disporre di sé stesse sino alla separazione, realizzerà questo diritto nel modo più assoluto, e libererà tutte le popolazioni coloniali dall’oppressione dell’imperialismo italiano.4

È curioso notare come per le tesi di Colonia (e potremmo dire per Gramsci) l’indipendenza sia la soluzione al problema di cui Togliatti avrebbe parlato nel 1946. Ma ai fini della nostra analisi è fondamentale notare come non è solo Togliatti a non aver visto (o non aver voluto vedere) le diverse questioni indipendentista come fondamentali, ma in generale la sinistra, soprattutto quella sarda) non è mai andata particolarmente d’accordo con le istanze di liberazione del popolo sardo.

Ricorriamo ancora a Gramsci, il quale, nell’articolo La rivoluzione contro Il Capitale del 1917, scrive che quella bolscevica fosse una rivoluzione che, almeno sul lato teorico, poteva contraddire quanto scritto, o potremmo dire “profetizzato”, da Marx, data l’assenza di un proletariato industriale e di un vero e proprio capitalismo. Ma quello che Gramsci riconosce a Lenin è il metodo: il fatto che la teoria vada sempre adattata al contesto nel quale ci si trova ad operare.

Su questo le tesi di A Manca sono chiare:

L’indipendentismo non è la nostra ideologia ma il nostro programma per permettere ai lavoratori sardi di elevare la propria condizione di vita salvando l’isola dalla decadenza e riorganizzando le forze e le risorse in un’ottica di razionalizzazione e sviluppo, sottraendoci al secolare embargo italiano e aprendoci finalmente al resto del mondo.5

La composizione a cui si riferiscono le tesi è chiaramente quella dei lavoratori sardi, in quanto fondamentalmente i militanti di A Manca si sono chiesti: chi detiene i mezzi di produzione in questo momento in Sardegna? Ecco, la risposta è chiara: non i Sardi. Quindi si risale storicamente alla stratificazione di domini che si sono susseguiti in Sardegna e che hanno fatto sì che la nostra terra si costituisse economicamente sempre nell’interesse dei dominatori lasciando, al loro abbandono dei nostri territori, cattedrali nel deserto, o inquinamento e morte.

La Sardegna sarà una colonia fino a quando le sue forze produttive verranno inibite da una economia di dipendenza etero-diretta. In questo si vanno a inserire tutte le contraddizioni, e in particolare quella capitale-lavoro e capitale-territori. Questo è probabilmente l’origine, il fenomeno originario, se consideriamo come da ciò scaturiscano, tutte le altre determinazioni che stiamo andando ad analizzare criticamente. Questo fenomeno è l’essenza del colonialismo, o meglio dei colonialismi che prima gli aragonesi, poi i Savoia, poi lo stato italiano hanno operato in Sardegna.

La carta di Brest è esplicita sui livelli nel quale il colonialismo agisce. Dal piano economico, dal detenere da parte delle classi dominanti i mezzi di produzione si passa a quello politico e alla distruzione e assimilazione culturale. Il colonialismo, come si legge nelle tesi di A Manca non è solo in alcune politiche, ma è sistemico: è in ogni espressione economica, politica e culturale che avviene in Sardegna. Esso è un sovrapporsi del capitalismo sullo strato sociale del feudalesimo. Sia l’uno che l’altro sistema economico vengono portati da fuori, da agenti economici stranieri in cerca di rendita, del tutto indifferenti del contesto sardo. Non si tratta solo di un dominio diretto da parte dello stato italiano, ma della mancanza di autonomia di corpi e territori e di una serie di rivoluzioni passive che si sono susseguite nella storia sarda. In particolare, il Piano di rinascita si costituisce come l’ultima delle rivoluzioni passive in quanto, oltre ad aver stabilito una nuova modalità produttiva in Sardegna ha provveduto ad importare con ancora più forza il modello culturale italiano.

La lettura gramsciana della rivoluzione passiva è fondamentale per comprendere la storia sarda e quello che le tesi di A Manca chiamano feudalesimo non è altro che il susseguirsi delle diverse dominazioni sulla Sardegna senza intervento alcuno delle classi subalterne.

Seguendo sempre l’itinerario gramsciano che è in nuce nel corso del libro entra in gioco – a nostro avviso un nodo problematico della trattazione – la questione meridionale. Possiamo abbozzare, per adesso, per poi magari discuterne durante il dibattito, su come di fatto la questione meridionale si costituisca come una questione settentrionale. Il meridione, e le due isole, la Sicilia e la Sardegna non sono ontologicamente più arretrate, ma la loro arretratezza economica è frutto della deliberata scelta politica del nascente stato sabaudo di privilegiare il nord (basti pensare a Cavour che si dice non fosse mai sceso oltre Firenze). Non è un caso che Gramsci veda il fenomeno del risorgimento come uno degli esempi più calzanti di rivoluzione passiva. C’è da chiedersi però, partendo dal problema posto nelle tesi di A Manca, se la questione sarda possa essere o no inscritta nel paradigma della questione meridionale e se effettivamente il colonialismo italiano in Sardegna sia davvero atipico rispetto alle definizioni classiche del fenomeno.

Un altro dei problemi che crea questo fenomeno è quello dell’insediamento in Sardegna di una borghesia che non è borghesia nazionale produttiva (in quanto la borghesia produttiva che opera nell’isola è quella italiana) ma borghesia compradora che si occupa fondamentalmente dell’ambito di servizi o burocrazia rendendo impossibile qualsiasi blocco storico. In questo rimane presente la struttura feudale della società sarda dal momento che si tratta esclusivamente di vassalli, valvassori e valvassini che fanno gli interessi all’imperatore tricolore.

Non è un caso che da questa dominazione crei un dislivello culturale, se lo consideriamo come lo considerava Alberto Maria Cirese, non a caso un altro gramsciano, il quale in Cultura egemonica e culture subalterne: rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale (1984), nota come esso si costituisca attraverso due fenomeni complementari.

  1. La discriminazione culturale nei confronti dei gruppi subalterni
  2. L’acculturazione coatta in seguito a imposizioni civilizzatrici dei ceti egemonici.

Questi fenomeni creano quella che Placido Cherchi in un intervento del 1998 avrebbe chiamato paralisi da inaccessibilità

noi siamo rimasti senza parola e senza passato, vittime di quella stessa “paralisi da inaccessibilità” che giocò le civiltà precolombiane, quando la rozzezza dei conquistadores le fece precipitare in un abisso di non-senso prima che in un lago di sangue. Annullati dallo sgomento, a poco a poco ci siamo spogliati delle nostre ricchezze, perché ritenute inutili, e abbiamo incominciato a recitarci imitando le inflessioni delle truppe d’ occupazione acquartierate nei nostri paesi. A partire da questo punto, la disgregazione dell’identità non avrebbe potuto non essere fatale, come lascia capire la miscela esplosiva di mimetismo e dissimulazione di sé che la falsa coscienza è venuta innescando. La condizione primaria per una buona riuscita della mimesis diventava, naturalmente, il distacco dalle radici e l’insofferenza per tutto quello che rischiava di tradire le nostre origini.6 

Cancellare il passato, cancellare storia, cultura e identità significa perdere il potenziale politico che sta dietro ad esse. Perdere l’occasione di far sentire le masse che vogliamo muovere come realmente parte di un popolo e di un percorso: quella di essere pocos, locos y mal unidos non è una categoria ontologica, ma è frutto del colonialismo. Così, come dicono le tesi di A Manca il colonialismo crea una cultura della rinuncia e una mentalità della dipendenza che si esprime in tutti campi: il foklore diventa folklorismo forzato, si creano dinamiche orientalistiche ed esotistiche mentre continuiamo a parlare di una Sardegna del tutto mitologica. La subalternità della lingua diviene la subalternità di un popolo: il colonialismo crea una vera e propria immagine del mondo, dove rinuncia e dipendenza la fanno da padrone.

Anche l’indipendentismo stesso, se non prende la radicalità della lotta, in un momento in cui anche le forze più reazionarie, propugnano un vuoto autonomismo o un indipendentismo di facciata, rischia di diventare folkloristico. Per questo dobbiamo riprendere in mano i mezzi di produzione, i nostri corpi, i nostri territori, la nostra storia, la nostra cultura, la nostra identità, non limitandosi alla descrizione amorfa dei fenomeni, ma provare a trasformarla. Parafrasando l’XI delle Tesi su Feuerbach marxiane: i filosofi hanno solamente interpretato in molti modi la Sardegna, si tratta ora di trasformarla!

Bibliografia

  • Alberto Maria Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne: rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Palumbo, Palermo, 1982
  • Placido Cherchi, Due o tre cose, per decidere di essere sardi, in L’ora dei Sardi, a cura di Salvatore Cubeddu, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari, 1998
  • Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di Valerio Gerratana, Einaudi, Torino, 2014
  • Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1957
  • Omar Onnis, Cristiano Sabino, Falce e Pugnale – per un socialismo di liberazione nazionale, Catartica Edizioni, Sassari, 2019
  • Palmiro Togliatti, La questione siciliana, a cura di f. Renda, edizioni Libri siciliani, Palermo 1965.
  • Programma d’azione del PCI. Cfr. Il IV congresso del Partito comunista d’Italia (aprile 1931), Tesi e risoluzioni, Parigi, Edizioni di cultura sociale, 1931.

1 Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, a cura di Valerio Gerratana, Einaudi, Torino, 2014, Q. I, p. 36

2 Il discorso si trova in P. Togliatti, La questione siciliana, a cura di f. Renda, edizioni Libri siciliani, Palermo 1965.

3 Lettera per la fondazione dell’Unità, in Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti, Roma, 1957

4 Testo completo in Programma d’azione del PCI. Cfr. Il IV congresso del Partito comunista d’Italia (aprile 1931), Tesi e risoluzioni, Parigi, Edizioni di cultura sociale, 1931.

5 Tesi Politiche A Manca pro s’Indipendentzia, in Omar Onnis, Cristiano Sabino, Falce e Pugnale – per un socialismo di liberazione nazionale, Catartica Edizioni, Sassari, 2019, p. 104

6 Placido Cherchi, Due o tre cose, per decidere di essere sardi, in L’ora dei Sardi, a cura di Salvatore Cubeddu, Edizioni Fondazione Sardinia, Cagliari, 1998

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI