Federalismo e pacifismo: il messaggio di Lussu
1 Marzo 2015Francesco Casula
Il 5 marzo prossimo ricorre il quarantesimo anniversario della morte di Emilio Lussu. Ebbene in Sardegna, la sua terra, nessuna pubblica istituzione né partito pare che intenda ricordarlo. Gli è che i politici – ma anche le istituzioni culturali, le Università per esempio – sono impegnati in ben altri riti. Lussu rimane ancora un personaggio “scomodo” e disadatto ad ogni incorporazione storica dei vincitori, anche post mortem. Così, anche quando lo si celebra e lo si ricorda, si cerca di sterilizzare il suo pensiero, la sua eredità morale, politica e persino letteraria. E’ successo così negli ultimi decenni, in cui dopo anni di colpevole silenzio, molti, troppi in Sardegna si sono scoperti e riconosciuti “sua figliolanza” (l’espressione è della moglie Joyce). Magari quelli stessi che in vita hanno combattuto Lussu e le sue idee. Ed hanno cercato, tutti, di tirare Lussu per la giacchetta, cercando di “convertirlo”, di purgare le parti più scomode del suo pensiero, per mitizzarlo e imbalsamarlo. Una volta sterilizzato e ridotto a “santino”, innocuo e rassicurante, si può anche “mettere nella nicchia” (anche quest’espressione è di Joyce) per diventare dio protettore dei sardi e della Sardegna.
Si dimenticano costoro chi era Lussu, uomo di parte. Sempre dalla parte del popolo lavoratore sardo, pacifista e federalista, nemico giurato dello Stato burocratico e accentratore, degli ascari e mediatori locali e delle clientele, della politica ridotta a mera gestione del potere. Nel 1945, quando era Ministro del Governo Parri, Vittorio Foa suo compagno di partito, una volta andò a chiedergli di mettere una firma sotto un’autorizzazione per aiutare finanziariamente il suo Partito. Lussu rispose: “puoi chiedermi di montare a cavallo ed andare in via Nazionale a rapinare l’oro della Banca d’Italia e io, per il Partito, lo faccio subito. Ma mettere una firma sotto una cartaccia mai!” Questo era Lussu, sempre e non solo nel 1945. Rientrato nel 1919 dal fronte, viene trattenuto in servizio di punizione alla frontiera iugoslava per aver dimostrato che un generale si era arricchito vendendo cavalli e altri beni dell’esercito. Una bella lezione a molti politici di oggi, immersi nell’affarismo e nella melma della corruzione.
Scomodo è anche il suo lascito ideale, culturale e di pensiero: ad iniziare dalla sua teoria federalista che si coniuga in modo inscindibile con i valori forti della libertà e dei diritti, della democrazia diretta e dell’autogoverno, della partecipazione e del controllo popolare. Scrive in un saggio del 1933, pubblicato nel n. 6 di «Giustizia e Libertà»: ”Frequentemente accade di parlare con uno che riteniamo federalista perché si professa autonomista e scopriamo invece, che è unitario con tendenze al decentramento”.
E precisa: ”Ora la differenza essenziale fra decentramento e federalismo consiste nel fatto che per il primo la sovranità è unica ed è posta negli organi centrali dello Stato ed è delegata quando è esercitata dalla periferia; per l’altro è invece divisa fra Stato federale e Stati particolari e ognuno la esercita di pieno diritto”. Quando Lussu parla di sovranità “divisa” fra Stato federale e Stati particolari – o meglio federati, aggiungo io – di “frazionamento della sovranità”, pensa quindi alla rottura e alla disarticolazione dello stato unitario “nazionale” che deve dar luogo a una forma nuova di Stato di Stati, in cui “per Stati non si intendono più gli Stati nazionali degradati da Enti sovrani a parti di uno stato più grande, ma parte o territori dello stato grande elevati al rango di stati membri”: l’intera frase virgolettata è tratta da «Federalismo” di Norberto Bobbio, “Introduzione a Silvio Trentin».
Altra lezione a chi oggi, lungi da imboccare la strada della riforma dello Stato in senso federalista, attacca le Autonomie locali e, delirando, pensa di abolire le Regioni, per ritornare a uno Stato centralista e centralizzatore.
La terza lezione lussiana è quella pacifista. Oggi quanto mai attuale e opportuna, specie in un momento in cui nuove inquietanti fosche e minacciose avvisaglie di guerra sembrano apparire nell’orizzonte.
Interventista convinto e “chiassoso” – parteciperà alla Prima Guerra con entusiasmo, giustificandola “moralmente e politicamente” – al fronte sperimenterà sulla propria pelle l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili. Ma soprattutto con l’olocausto degli uomini sfracellati e le foreste di crani nei cimiteri militari; con i 13.602 sardi morti su 100 mila pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati..
La retorica patriottarda e nazionalista sulla guerra come avventura e atto eroico, va a pezzi. “Abbasso la guerra”, “Basta con le menzogne” gridavano, ammutinandosi con Lussu, migliaia di soldati della Brigata Sassari il 17 Gennaio 1916 nelle retrovie carsiche, tanto da far scrivere allo stesso Lussu – in «Un anno sull’altopiano» – “Il piacere che io sentii in quel momento, lo ricordo come uno dei grandi piaceri della mia vita”. Anche perché, in cambio dei 13.602 sardi morti in guerra, (1386 morti ogni diecimila chiamati alle armi, la percentuale più alta d’Italia, la media nazionale infatti è di 1049 morti) – per non parlare delle migliaia di mutilati e feriti – ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta- Raspi – “non sfamava la Sardegna”.
Nascerà dalla sua esperienza sul fronte l’opposizione netta, radicale, decisa di Lussu alla guerra:” Di guerre non ne vogliamo più – scriverà – e vogliamo collaborare e allontanare la guerra vita natural durante nostra e dei nostri figli e a renderla impossibile per sempre, disarmandola”.
2 Marzo 2015 alle 13:30
I sardi non dimenticano…almeno non tutti…http://eventi.centenario1914-1918.it/it/evento/un-anno-sullaltipiano-al-festival-exviral-theatre
1 Dicembre 2019 alle 10:30
[…] pari pari dal manifesto sardo uno scritto di Francesco Casula sull’autonomismo di […]