Fenici portrait

1 Novembre 2007

FENICI IN SARDEGNA
Antonio Mannu

FenicinSardegna: “progetto necessariamente composito, stratificato, determinato dalle epoche e dalle culture che si sono succedute senza elidersi” che “guarda all’oggi di queste terre per suggerirne la salvaguardia, la valorizzazione” “comunicarne le peculiarità, non sempre facili da leggere e da assaporare senza adeguati interventi capaci di attrarre, di restituire atmosfere oltre che dati”; un progetto di Anna Laura Trombetti, Università di Bologna, che si articola nella proposta di 7 itinerari sui principali siti fenici dell’isola di Sardegna, itinerari descritti in poche pagine su una pubblicazione che presenta le altre “proposte in cartellone”: spettacoli di musica, danza e teatro “che interagiscono con i siti fenici e con i luoghi del teatro antico”, quindi “i sapori antichi della cucina e l’arte dei maestri della ceramica e dell’oro”. “Poi il fashion design che caratterizza i gadget (…) indossati sulle spiagge sarde come di altri mari: Fenici che ritornano ad essere viaggiatori, antichi approdi che divengono segni, appoggiati alle spalle e legati ai fianchi dei turisti.” Ed altro ancora per questa iniziativa della Regione Sardegna: proposte per gli operatori del turismo, indagini di marketing turistico-territoriale, interventi nelle scuole, ricerche di storia dell’alimentazione, e sul mondo islamico, il dvd rom bilingue che “varcherà certamente molte frontiere”. Infine la mostra fotografica e di artigianato The Fenici Portrait: “una lettura degli itinerari fatta da quattro artisti che dialogano con la storia e l’ambiente della Sardegna dei Fenici.” che “intende riscoprire il mondo dei Fenici in Sardegna utilizzando vari strumenti (…) la fotografia, per la lettura dei luoghi e delle atmosfere, e alcune tecniche artigianali per la lettura delle permanenze fenicie nell’artigianato sardo” .
La sezione dedicata alle opere degli artigiani sardi è la più interessante ed evocativa, non del tutto convincente per quanto riguarda i lavori di oreficeria. Ci sono piaciute soprattutto le terrecotte, ma l’artigianato, pur interessandoci, non è di nostra competenza. La mostra fotografica ci ha lasciato perplessi. Quattro lavori che dovrebbero raccontare i Fenici e la Sardegna, quattro “grandi interpreti di fama internazionale.”
Di sicura fama internazionale tra loro c’è Franco Fontana, fotografo modenese molto noto e discusso. Il suo contributo è costituito da immagini scattate a Tharros, Nora e Monte Sirai: un mare livido e ventoso, cieli infuocati di tramonto, cieli azzurri con nubi incombenti, giustapposti sopra antiche rovine. Peccato che di fenicio e punico ci sia poco. E’ vero che le testimonianze più visibili delle antiche città fenicie e puniche dell’isola sono romane, ma non mancano, né a Nora né soprattutto a Tharros, testimonianze dell’epoca fenicia. Pensiamo alle stele visibili nell’area del tofet o, prima delle false colonne, tutta l’area dei templi urbani punici: il tempio delle semicolonne doriche, con le vicine belle cisterne a ‘bagnarola’. Anche a Monte Sirai qualche suggestione visiva fenicia non sarebbe mancata: come le grandi tombe a camera, alcune decorate. Forse la stratificazione delle epoche e delle culture è apparsa eccessiva, sia al fotografo che agli eventuali specialisti che lo hanno informato e guidato nella ricerca delle tracce fenicie: meglio dedicarsi a ciò che è più immediatamente visibile, avvolgere il tutto in una confezione di rovine sospese, cieli incalzanti, un albero piegato dal maestrale che fa tanto Sardegna; il gioco è fatto: finto e stucchevole come una caramella sintetica.
Il lavoro di Claudio Porcarelli, “una delle firme più prestigiose e famose del panorama internazionale il cui nome è legato a star intarnazionali (così sul testo, ndr) quali Harrison Ford, Timothy Dalton, Gerard Depardieu” e si prosegue con Celentano, Patty Pravo, Ligabue e Zucchero. Un fotografo di chiara fama che ha realizzato diverse mostre insieme a Laura Villani, curatrice del Fenici Portrait. Il suo lavoro documenta la presenza di due modelli, una lei ed un lui, truccati e abbigliati, con alle braccia e al collo gioielli che evocano il fenicio che è in noi: lui impugna una ridicola lancia. Questi raffinati epigoni di chi a Roma si traveste da legionario in zona Colosseo, Porcarelli, o chi per lui, decide di fotografarli davanti alle rovine romane del tempio di Antas, che ebbe una sua fase punica oggi non visibile, ancora a Tharros, sempre in mezzo a vestigia romane, a Buggerru, dove i fenici andavan per metalli. Un redazionale di moda non male, lancia a parte, per una rivista del settore, realizzato non troppo felicemente da un professionista, che nulla racconta sui fenici in Sardegna, e niente comunica sulle peculiarità dell’isola “non sempre facili da leggere e da assaporare senza adeguati interventi”.
Il terzo autore è Maurizio Galimberti, noto per l’uso della Polaroid e per la creazione di mosaici fotografici. Curriculum ricco di grandi nomi anche per lui: Rolex, l’Oreal, Ferrari, Telecom, Cartier Magazine e Nestlé tra gli altri; anche lui ha già collaborato con Laura Villani. Fotograficamente il suo è il lavoro più interessante. Attraverso la tecnica del mosaico Galimberti fotografa appunto mosaici, con effetto incisivo, assembla paesaggi-frammenti di Sardegna, muri, arbusti, cieli e colonne, fiori e piante giunte sull’isola in tempi recenti dal Sudafrica, maschere, leoni di Sulky, altri oggetti-soggetti, anche qui un valente arbusto di Sardegna, piegato dal maestrale. Peccato che i mosaici siano romani, tardo impero, e così le colonne. Conclude Anna Marceddu, unica sarda che ha partecipato all’impresa. Meno ricca di nomi e di prestigio la pur doviziosa presentazione, non viene ribadito che siamo di fronte ad un grande interprete di fama internazionale.
Di Anna Marceddu é detto che è di origine sarda, in realtà è nata, vive e lavora in Sardegna, e quindi il suo lavoro “si carica di valenze diverse, fa intendere i luoghi con una carica più autobiografica”. La Marceddu presenta scatti di sabbia, acqua, muri, un’anfora, una stele ed altro, su cui campeggiano lettere dell’alfabeto fenicio. I titoli sono “alfabeto morenico”, “frammenti di stele”, “l’impronta dell’anello”, “analogia dell’anfora”. Forse non capiamo il suo modo di esprimersi fotograficamente ma non riusciamo a cogliere nella sua proposta il lavorio di “un vissuto che fa intendere i luoghi con una carica più autobiografica”. Le lettere dell’alfabeto però sono fenicie: è già qualcosa. Che dire? Ci sarebbe molto da dire, perché il progetto FenicinSardegna é nato all’interno del progetto La Rotta dei Fenici, a sua volta uno dei trenta Itinerari Culturali Europei promossi venti anni or sono, dal Consiglio d’Europa. Ma abbiamo visto solo la mostra, che non ci è piaciuta e con i fenici ha poco a che fare. E se l’intero itinerario di promozione turistico culturale sui fenici in Sardegna è stato curato con il rigore e l’ attenzione della mostra, forse è fallito l’obiettivo di avviare un progetto di valorizzazione delle peculiarità fenicio puniche nell’isola, attraverso un intervento orientato a migliorare la fruizione dei territori e a incrementarne l’ attrattività (così sui documenti regionali), producendo un effetto benefico sui flussi turistici. Non sappiamo come sia stato realizzato il progetto nella sua interezza, per cui non possiamo estendere il giudizio negativo che riserviamo alla mostra fotografica. Segnaliamo che i gadget dedicati all’epoca fenicia, previsti dal bando regionale, sono stati realizzati da Elio Fiorucci, Marta Marzotto e Francesco Nioi (probabili origini sarde, forse piegato dal maestrale, il meno noto dei tre). Aggiungiamo che la Vittoria Capelli s.r.l di Bologna si è aggiudicato il compito di realizzare il progetto vincendo una gara d’appalto con un importo complessivo di 560.000 euro+IVA. Che su qualcuno il progetto FenicinSardegna abbia prodotto effetti benefici non vi è dubbio.

1 Commento a “Fenici portrait”

  1. Salvatore Ligios scrive:

    Graciela Iturbide direbbe “orribile”. Perché si è venduto per mostra fotografica un allestimento di poster – peraltro tecnicamente “orribili” (quelli visti negli spazi espostivi di Alghero) – che di fotografia hanno solo una traccia persa con gli effetti speciali grandi grandi grandi.
    Purtroppo di fotografie non ne ho viste.

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