Fenomenologia del fraintendimento: Öetzi in crisi di identità [7]
13 Luglio 2023[Alfonso Stiglitz]
“Una faccia una razza”. Non ho ben chiara la nascita di questa espressione – rintracciabile probabilmente al tempo dell’occupazione fascista del Dodecanneso, come metodo per far accettare l’occupazione coloniale – ma il suo richiamo ambiguo ci consente di muoverci in equilibrio instabile sul filo steso sopra l’abisso che ancora collega il DNA o, per meglio dire, l’ancestralità alla sua antenata, la razza.
L’occasione la fornisce il periodico ricomparire, come la (super)luna di luglio, di Öetzi il Sardo. Povera mummia, vecchia di cinque millenni, assai maltrattata dai suoi contemporanei ma anche dai nostri: malamente estratta dalla sua tomba di ghiaccio ed esposta al pubblico voyeurismo, attraverso una sorta di ‘buco della serratura’ aperto nella sua cella frigorifera del Museo archeologico dell’Alto Adige/Südtiroler Archäologiemuseum di Bolzano/Bozen.
Periodicamente ritorna nei canali di informazione la notizia che l’aplogruppo G2a del cromosoma Y della famosa mummia è condiviso da alcuni Sardi attuali. L’origine di questo ritorno di fiamma estivo è in un articolo del Corriere del Trentino del 5 luglio: “Ötzi, tutti i segreti dell’Uomo dei ghiacci: «Era sardo, con il colesterolo e 61 tatuaggi: è ingrassato negli ultimi anni»” (Silvia M.C. Senette) (1). L’incipit del pezzo è vertiginoso: «Ötzi non è affatto altoatesino: è sardo». Ancora più vertiginoso il rilancio dell’informazione, alle 14.45 dello stesso giorno, da parte della pagina on line dell’Unione Sarda, “Ötzi era sardo: le curiosità sulla ‘mummia dei ghiacci’” (v.f.) (2), con un’autentica scivolata finale: «E la ricostruzione digitale della sua immagine ci restituisce la “foto” di un uomo dai tratti sardi», degno della vecchia sociologia lombrosiana. Titoli e testo dei due articoli non trovano riscontro nell’intervista a Martina Tauber, anatomopatologa responsabile della conservazione della mummia, alla quale fanno riferimento, ma trasformano in modo sostanziale la dichiarazione (non felicissima di per sé) della studiosa: «[l’aplotipo] paterno è individuato in Sardegna o in Corsica: qualche antenato proveniva da lì».
Immediata la ripresa nella stampa isolana cartacea (stendiamo un caritatevole velo sopra il diluvio social). La Nuova Sardegna del 6 luglio 2023 titola: “Öetzi, il Dna dei sardi del Neolitico nella mummia che incanta il mondo” (Claudio Zoccheddu) e anche qui si attribuisce a Martina Tauber l’affermazione che «Öetzi era sardo e aveva il colesterolo», virgolettata. Lo stesso giorno l’Unione Sarda – aggiustando il tiro rispetto al lancio nel proprio sito web – titola: “Öetzi era sardo? No, ma i sardi sono come Öetzi” (Giuseppe Deiana), ribaltando, quindi, l’assunto e affidandosi direttamente a uno specialista, il genetista Francesco Cucca.
Quindi, (ri)scoppiato il caso mediatico avviene, fatto non frequente, l’immediata presa di posizione scientifica, sia attraverso una smentita del Museo di Bolzano – purtroppo con il ricorso a una espressione non proprio fortunata di questi tempi, «un fraintendimento giornalistico» – sia riportando i dati alla loro concretezza scientifica attraverso le dichiarazioni dei genetisti Paolo Francalacci, dell’Università di Cagliari e Francesco Cucca dell’Università di Sassari. Infine, sulla pagina web del giornale online ‘Open’, in data 6 luglio 2023 si può leggere un’utilissima e informata ricostruzione a opera di Juanne Pili: “No! Ötzi non era sardo. Cosa ci dice veramente lo studio del suo cromosoma Y”, con l’intervista al genetista Francalacci e il link a un suo lavoro scientifico nel quale è analizzato il caso dal punto di vista genetico (3).
In sostanza, affermano i genetisti, Öetzi non è sardo, ma condivide con alcuni, sottolineo alcuni, Sardi attuali un aplogruppo di linea maschile, all’epoca diffuso nell’attuale Europa e, oggi, ancora presente nelle isole, Corsica e Sardegna.
Precisazioni meritevoli, perché c’è una sorta di ritrosia dei genetisti a verificare le conseguenze delle proprie parole, non sempre lineari o preclare; ma anche le precisazioni, oltre agli studi, pongono dei problemi. Non mi riferisco a qualche incauta incapacità di comunicazione, comune a tutti me compreso, ma nell’uso di terminologie specifiche che, se non inserite in un corretto contesto, rischiano di creare perigliose incomprensioni. Ne cito solo alcune, presenti anche, ma non solo, nel dibattito sul nostro “uomo del ghiaccio”.
«L’isola è rimasta un enclave dal DNA incontaminato», così dichiara, secondo l’Unione Sarda, il genetista Francesco Cucca. Mi rendo conto che dal punto di vista meramente tecnico e scientifico il termine utilizzato si riferisca ad aspetti strettamente genetici, ma nel momento in cui i genetisti accordano un valore storico al loro ragionare si crea un autentico corto circuito. In termini storici e culturali, infatti, il termine ‘incontaminato’ rimanda a tristi terminologie essenzialiste e razziste, tuttora presenti e utilizzate, ad esempio, dai suprematisti di vario colore, anche da noi. In termini storici, culturali e sociali non esistono culture incontaminate, ma le società sono frutto di contaminazioni e in continuo divenire. Ai tempi di Öetzi, fine IV millennio inizia l’Età del Rame che vede, alcuni secoli dopo, comparire il fenomeno della ‘Cultura Campaniforme’ che si diffonde in tutta l’Europa, compresa la nostra isola e, da qui, probabilmente verso altre (ad esempio la Sicilia), non come migrazione di popolo (terminologia cara ai genetisti) ma come movimento di pochi, magari specialisti e, forse, di piccole famiglie; movimenti limitati nel numero e, quindi, probabilmente insignificanti dal punto genetico, tali da non ‘contaminare’ il DNA diffuso. Eppure l’impatto di questi movimenti di persone e, soprattutto di idee fu enorme, tale da cambiare il corso della storia, compresa la nostra.
‘Antenato comune’ è uno di quei termini genetici spinosi, quando trasferito tout court in ambito storico. L’antenato comune in senso storico è cosa diversa dall’Antenato comune genetico: quello storico è una persona con la quale ho un rapporto diretto di filiazione (fosse anche solo un bis-bis-bis-bis nonno) reale o ricostruito (mitopoietico); quello genetico è qualcuno con il quale posso condividere qualche pezzo di DNA ma non avere nessun tipo di legame familiare, sociale, culturale reale o ricostruito.
Infine, last but not least, ‘Ancestralità’, un termine sempre più spinoso perché rischia di trasformarsi nell’«alternativa al concetto problematico di razza» mantenendone tutte le opzioni discutibili e «diventando sempre più parte integrante della politica dell’identità» (Stefan Burmeister, traduzione mia) (4). Non mi sembra un caso che il problema se lo pongano gli studiosi tedeschi; brilla l’assenza dell’Italia, che pure i trascorsi razzisti li ha, compresa la Sardegna. Temo che, al di là del sincero rifiuto della razza, in ambito genetico manchi ancora la messa in discussione profonda del modello che aveva nella razza l’elemento più visibile, ma non necessariamente il più importante. Non basta ripetere la giusta affermazione “la razza non esiste”, trasformato sempre più in un mantra.
In conclusione chi afferma la sardità di Öetzi lo fa certamente fraintendendo (volutamente o meno) le parole dei genetisti, i quali non hanno mai detto niente del genere; ma, a mio parere, con l’affermazione “Öetzi non era sardo” siamo in presenza di un fraintendimento speculare e tendenzialmente più insidioso perché accreditato dalla scienza. L’errore, sempre a mio parere, sta nell’identificazione tra il dato genetico antico e una popolazione attuale: Öetzi non era sardo, non era altoatesino e non era europeo. Sardi, Altoatesini ed Europei sono entità moderne frutto di percorsi storici complessi e intricati molto diversi dalla complessa realtà genetica. I Sardi, intesi come attuali abitanti della Sardegna, non sono gli stessi Sardi dell’Età del Rame, nei secoli fedeli custodi dell’ancestralità.
Per farla breve si tratta di fraintendimento, di uso sbagliato di una terminologia o di indifferenza al rapporto tra ricerca e società? La genetista Melissa Wilson Sayres qualche anno fa si è posta in modo puntuale il problema, svelando la non innocenza della genetica (nessuna scienza lo è, innocente intendo): «Come genetisti umani, non possiamo concentrarci solo sulla nostra ricerca. Non possiamo fingere che la nostra ricerca non venga utilizzata in modo improprio. In questo modo si è attivamente complici del suprematismo/nazionalismo bianco» (Traduzione mia) (5). Forse sarebbe il caso di iniziare a ripensare a una opportuna ecologia della parola, una critica della terminologia e non solo. Le parole non sono mai neutre, né innocenti, ma si portano appresso concetti, modelli, pratiche e conseguenze.
Ho l’impressione che da un po’ di tempo a questa parte Öetzi abbia gli aplotipi girati.
PS. Testi citati nel testo e scaricabili
(1) S.M.C. Senette Ötzi, tutti i segreti dell’Uomo dei ghiacci: «Era sardo, con il colestorolo e 61 tatuaggi: è ingrassato negli ultimi anni», Corriere del Trentino, 5.7.2023 https://archive.is/cetrH
(2) v. f., Ötzi era sardo: le curiosità sulla ‘mummia dei ghiacci’ https://www.unionesarda.it/news/italia/otzi-era-sardo-le-curiosita-sulla-mummia-dei-ghiacci-rujwq7av
(3) J. Pili, No! Ötzi non era sardo. Cosa ci dice veramente lo studio del suo cromosoma Y, Open, 6.7.2023 https://www.open.online/2023/07/06/otzi-sardo-studio-cromosoma-fc/
(4) Stefan Burmeister, Does the concept of genetic ancestry reinforce racism?, TATuP – Zeitschrift für Technikfolgenabschätzung in Theorie und Praxis, 2021, n. 30/2: pp. 41–46 (https://doi.org/10.14512/tatup.30.2.41).
(5) Le dichiarazioni di Melissa Wilson Sayres sono riportate in A. Harmon, Geneticists Criticize Use of Science by White Nationalists to Justify ʻRacial Purityʼ, The New York Times del 19.10.2018 (https://www.nytimes.com/2018/10/19/us/white-supremacists-science-genetics.html)