Fenomenologia di un nuraghe [1]
2 Febbraio 2022[Alfonso Stiglitz]
La fenomenologia è un utile strumento di analisi per ragionare di archeologia e, soprattutto, del rapporto che intercorre tra la realtà scientifica e la formazione degli immaginari dei cittadini, degli appassionati e financo degli specialisti. Per non parlare della mitopoiesi, vero o presunto diritto genetico e insindacabile dei sardi (purtroppo non ancora inserito in Costituzione).
Il grande clamore, un po’ sguaiato (voglio essere magnanimo), suscitato dal nostro maggiore quotidiano, l’Unione Sarda, alla notizia della ri(forse)scoperta, vera o eventuale, dei resti di un nuraghe sul colle di Monte Urpinu a Cagliari rappresenta un perfetto esempio per iniziare un percorso nel quale cercheremo di illustrare il formarsi del cortocircuito mediatico, ma anche politico, ogni volta che avviene una vera o presunta scoperta scientifica.
Iniziamo dall’inizio: “A Monte Urpinu la reggia nuragica di Cagliari”, così L’Unione Sarda con un articolo a tutta pagina (la n. 17, con richiamo in prima) dava la notizia dell’eccezionale ritrovamento. In prima pagina un virgolettato del prof Giovanni Ugas: “reggia nuragica più grande della Sardegna”. L’articolista prosegue dicendo che potrebbe “riscrivere una pagina di storia di Cagliari e della Sardegna intera”. L’archeologo poi si lascia andare a una sequenza di racconti letterari, leggendari, riportati dagli scrittori classici greci (sempre pronti ad appropriarsi della nostra storia), che in un crescendo lirico trasforma il colle nella sede di Aristeo ‘Signore di Cagliari’, ipotizzando che “già in età nuragica, Aristeo era il corrispondente di un re e allora Cagliari doveva essere già il più importante centro della Sardegna, come ci conferma il nuraghe di Monte Urpinu”. Con la qualcosa abbiamo definitivamente chiuso la querelle che contrapponeva Cagliari a Sassari per la primazia nell’isola, iniziata mezzo millennio fa, anno più anno meno. E pensare che bastava una passeggiata a Monte Urpinu e ci saremmo risparmiati qualche migliaio di poveri martiri, le cui ossa furono prelevate dalle loro tombe nelle quali dormivano in tranquillità, nella fede del loro Dio, per essere trasferite nelle cripte delle Cattedrali. Pensa tu.
Ma per restare nel campo scientifico, a quello mediatico dedicheremo altri interventi, cosa sappiamo concretamente? In realtà abbiamo solo l’annuncio giornalistico e niente più. Quindi aspettiamo pazientemente l’edizione scientifica delle indagini per valutare meglio, come in un normale percorso scientifico; in fin dei conti se quel nuraghe esiste, è lì da svariati millenni e quindi possiamo aspettare ancora un po’. Invero, ci saremmo aspettati le indagini prima dell’annuncio, ma non si può essere troppo schizzinosi, di questi tempi. Cerchiamo, allora di contestualizzare un po’, perché il problema non è un derby tra nuraghe si – nuraghe no, ma di capire di che cosa stiamo parlando e di come ne parliamo. Andiamo con ordine (anche se schematicamente).
Che esista una Cagliari nuragica non solo è stranoto da almeno un secolo, ma anche pubblicato in ambito scientifico e oggetto di miriadi di iniziative di divulgazione (e nel mio piccolo, tutti i miei lavori scientifici su Cagliari ne parlano). A miglior precisazione sono cinque le località che nell’ambito urbano di Cagliari hanno restituito materiali nuragici, finora: Capo Sant’Elia (in realtà più aree del colle), Monte Urpinu, il Colle di Bonaria; il Colle di Tuvixeddu-Tuvumannu, il Colle di San Michele e, infine, Via Brenta, forse il centro più importante, come suggerito dal rinvenimento di una matrice in pietra per la realizzazione di strumenti in bronzo. Abbiamo, poi, la notizia, per ora solo giornalistica, di un possibile ‘pozzo sacro’ a Monte Claro; anche in questo caso grande clamore mediatico, senza che sia stato prodotto alcun lavoro scientifico in merito (aspettiamo fiduciosi).
Gli insediamenti nuragici rinvenuti a Cagliari mostrano l’esistenza, tra l’Età del bronzo e quella del Primo Ferro, di un insediamento sparso lungo la direttrice della linea di costa occidentale, in connessione con gli approdi naturali (Golfo di San Bartolomeo, Su Siccu, Santa Gilla), a differenza di Monte Urpinu e di Monte Claro. Insediamento sparso che non trova definizione nel modello di uno spazio urbano, la cui presenza è, per ora attestata, con certezza dalla fine del VI sec. in poi., con caratteri fenici secondo il modello cartaginese (anche qui, se volete, andate a leggere i miei lavori scientifici con tutti i dati e la bibliografia di riferimento; sono liberamente accessibili). Resta da capire quale fosse la realtà insediativa dei secoli precedenti, nei quali in alcuni dei siti e, soprattutto in quello di via Brenta, si nota, dalla seconda metà dell’VIII secolo la presenza di persone fenicie e greche, in particolare commercianti e artigiani, che andarono a insediarsi all’interno dell’insediamento nuragico, in sintonia con questo, secondo un modello evidenziato in altre parti dell’isola e del Mediterraneo centro occidentale, per non parlare di quello orientale e dell’Atlantico.
Purtroppo, a causa della presenza della città attuale, non vi sono allo stato attuale evidenze di strutture, in particolare nuraghi, ricollegabili a questa fase della nostra storia. In alcuni casi perché probabilmente non c’erano, come nel colle di Sant’Elia nel quale stiamo portando avanti le ricerche da molti anni (non tutti i promontori avevano un nuraghe), in altri, perché spazzati via dalle nuove urbanizzazioni durate almeno tre millenni. Si aveva, però, notizia di un possibile ‘nuraghe’ sul Monte Urpinu: nel 1926 Antonio Taramelli scrive che Filippo Nissardi, suo stretto collaboratore, gli aveva segnalato l’avvistamento di “una reliquia molto probabilmente di un edificio nuragico” (non specificamente di nuraghe). Nissardi era un ottimo archeologo e la sua segnalazione, non seguita da alcun approfondimento, ci dice della scarsità e della non chiarezza dei resti che, peraltro, probabilmente non sono quelli dell’area del ‘ritrovamento’ attuale, visto che ai suoi tempi il forte sabaudo era decisamente molto ben visibile e, quindi, non avrebbe mancato di definirne meglio l’ubicazione. Nel Monte Urpinu, invece, sono più concretamente noti frammenti ceramici nuragici frammisti a un’ampia messe di materiali prenuragici, provenienti dalle campagne di prospezione effettuate dal prof Atzeni a partire dagli anni ’50 in poi.
Nell’area del ritrovamento di questi giorni è nota la presenza di un forte settecentesco, uno dei cinque (vado a memoria) realizzati a fine settecento sul colle, le cui murature hanno un andamento simile a quello della pianta ricostruita del ‘nuraghe’, come attestato da varie carte d’archivio, peraltro edite. Sul forte sabaudo venne realizzata, durante la seconda guerra mondiale, una batteria antinave, che è quella che si vede oggi. I filmati e le foto pubblicati dagli scopritori mostrano un lungo muro il cui paramento ha una tessitura che lascia perplessi sulla effettiva rispondenza ai canoni nuragici dell’epoca dei nuraghi. Lo stesso spazio di occupazione del monumento è assai ristretto per presumere un quadrilobato dell’ampia estensione ipotizzata, che in parte si troverebbe nello strapiombo, con un salto di quota assai elevato, anche se ipotizzassimo una estesissima cava.
Mi sono dilungato troppo, dovrei parlare del battage giornalistico, con annunci sempre più roboanti, un pessimo uso di photoshop e cascami mitologici vari, ma a questo tema sarà dedicato un altro intervento, più specifico.
Per chiudere, resta chiaro che la (eventuale) scoperta del nuraghe, di un nuraghe nell’area urbana, non cambia la storia di Cagliari, né dell’isola, né del Mediterraneo, per il semplice fatto che, come detto tutti gli studi degli archeologi che si sono occupati della città (sottolineo degli archeologi, non di appassionati, storici autoproclamati o passanti) hanno certificato la fase nuragica di Cagliari, così come la presenza di testimonianze neolitiche, eneolitiche, fenicie, romane ecc. Certificazione che ha sempre dato per scontato la presenza di nuraghi anche in assenza di vestigia, con la ragionevole certezza che prima o poi qualche testimonianza sarebbe stata trovata. Se il caso di Monte Urpinu verrà confermato, con analisi scientifiche e non a sentimento, esso andrà a inserirsi in un quadro consolidato, senza modificarlo ma integrandolo.
In sostanza, qui a Cagliari, non ce l’abbiamo più grande, il nuraghe (cosa vi stavate immaginando…); anche perché il rischio potrebbe essere quello di scoprire un nuraghe savoiardo, absit iniura verbis.
PS. Il titolo non vuole competere con Hegel, ovviamente; non ho letto la Fenomenologia dello spirito e temo che questa lacuna resterà tale. Molto più modestamente va inteso nel senso della definizione che ne dà l’Enciclopedia Treccani: “Descrizione dei fenomeni, ossia del modo in cui si manifesta una realtà”.
PPS. Il numeretto che accompagna il titolo indica che questo è il primo di una serie di interventi di numero indefinito: saranno le sorprese giornalistiche che ci accompagneranno in questi prossimi mesi a determinarlo.
Nota finale: i miei articoli scientifici sono scaricabili gratuitamente al link: https://independent.academia.edu/astiglitz
Nell’immagine il complesso nuragico di Barumini