Fenomenologia di un nuraghe subacqueo [8]
27 Gennaio 2025[Alfonso Stiglitz]
Ci eravamo appena liberati dall’iper-nuraghe di Monte Urpinu a Cagliari, la reggia di Aristeo come venne denominata da autorevoli studiosi, abbattuto dai moschetti francesi (maledetti, anzi maudits!) ed ecco riemergere dalle limacciose profondità dello Stagno di Cabras (Mar’e Pontis per noi indigeni) un nuraghe, anzi sei nuraghi, non sia che siamo meno di Cagliari.
La straordinaria scoperta è stata portata all’attenzione dell’opinione pubblica da due paginoni fitti fitti pubblicati dalla Nuova Sardegna dell’8 gennaio scorso, alle pagine 8 e 9 e presentati con questi titoli e sottotitoli:
- La “La scoperta a Cabras «Sotto lo stagno ci sono sei nuraghi». La rivelazione di Gaetano Ranieri, padre del georadar «Sono a 11 metri di profondità. Uno è enorme e intero» (pagine 8 e 9)
- “La teoria sulla fine dei nuragici «Civiltà distrutta dagli uragani innescati dal clima impazzito» (pagina 9)
Articoli firmati dal giornalista della Nuova Claudio Zoccheddu, di Cabras, caratterizzati dall’alternarsi di narrazione giornalistica (“) e di intervista virgolettata («»). Molti mi hanno chiesto cosa ne pensassi, da archeologo. Qui, però, non rispondo ma mi limito ad analizzare i due articoli, in modo da fornire a chi mi leggerà gli strumenti per comprendere, cum grano salis, la notizia e per formarsi una risposta – anche perché molta è la confusione in quelle due pagine e non tutta a carico del giornalista. Sono tre gli aspetti importanti da tenere in conto per valutare.
Il primo è dato dalle modalità e dal clamore della notizia che hanno portato tutti, me compreso, a intendere che si trattasse di una scoperta di questi giorni, visto che contemporaneamente sono in corso indagini nello stagno da parte di alcune Università e della Fondazione Mont’e Prama. In realtà, leggendo tra le righe è chiaro che si tratta di una ‘scoperta’ di circa dieci (DIECI) anni fa, quando il prof. Ranieri operò nello stagno; ma, come riporta il giornalista, “il risultato di quello sguardo [è] rimasto segreto fino a oggi” (pag. 8) e, “i risultati, per lo meno per il momento, non ha intenzione [il prof. Ranieri] di divulgarli” (pag. 9). In altre parole, dopo circa dieci anni non abbiamo a disposizione nessun elaborato sul quale poter valutare scientificamente i risultati dello studio. Questo pone problemi di etica professionale: dobbiamo credere alle affermazioni importanti contenute nei due paginoni per semplice fede. Potremmo aggiungere che non è chiaro cosa abbia portato il giornale a uno scoop di queste dimensioni a scoppio ritardato, ma non voglio indulgere nel retropensiero.
Il secondo assunto è legato alle cause della posizione dei sei (ipotetici) nuraghi sul fondo dello stagno, coperti da metri di sedimenti. L’ipotesi o, per meglio dire, l’idea del prof. Ranieri – per definirla ipotesi ci mancano i dati scientifici – è che «i nuraghi sarebbero sprofondati a seguito di un cataclisma o di eventi climatici particolarmente forti o impattanti [che] potrebbero tranquillamente causare lo sprofondamento di un nuraghe sotto la spinta del suo stesso peso», parole dello studioso. Uno sprofondamento ‘controllato’ verrebbe da dire, visto che almeno uno dei nuraghi è rimasto «sostanzialmente completo, con tanto di cupole e guglie [GUGLIE?]» (pag. 9). Cataclisma che lo studioso collega agli eventi climatici che colpirono la terra tra il 1200 e il 1100 a.n.e., ipotizzando per la Sardegna venti da circa 250 chilometri all’ora che avrebbero portato al crollo dei nuraghi e anche alla “distruzione delle ipotetiche città nuragiche […] dunque, a distruggere la civiltà nuragica, o perlomeno a confinarla nelle aree interne dell’isola”, sottolinea il giornalista (pag. 9). L’unica prova sarebbero i crolli constatati su un campione di 120 nuraghi analizzati tra Sarcidano, Trexenta e Marmilla (pag. 9). Anche qui sarebbe interessante avere uno straccio di relazione scientifica da valutare.
Il problema a monte è che, in realtà, non si hanno tracce di distruzione della Civiltà nuragica nelle coste, né altrove. Nella stessa area dello Stagno di Cabras, dopo il 1110, abbiamo un fiorire di insediamenti di notevole importanza, pensiamo a Mont’e Prama e alla sua statuaria, pensiamo a Serra Is Araus con il suo splendido ‘modello di nuraghe’ del 10°-9° secolo; allargando lo sguardo pensiamo all’epopea dei siti comunitari dotati di pozzi, fonti sacre e altri monumenti che continuano a risplendere sino almeno all’8° secolo e così via. Un inesistente crollo di Civiltà, ammesso che le Civiltà crollino, ma sarebbe un discorso lungo.
Terzo aspetto e smetto, il professor Ranieri chiama a testimoni degli eventi catastrofici di quest’epoca (1200 – 1100 a.n.e.) gli studi di alcuni studiosi: Sturt Manning della Cornwell University, Cliff Harris di quella di Edimburgo (?) e Randy Mann di quella di Melbourne (?). Il primo è effettivamente un grande studioso, uno dei massimi esperti di dendrocronologia del Mediterraneo, ma lo studio citato parla di siccità devastanti che sono, secondo lui, una delle cause scatenanti il crollo dell’Impero Ittita. Il problema è che quello che avviene è il crollo dell’Impero Ittita, struttura amministrativa centralizzata e non della Civiltà che infatti continua la sua ‘vita’ sotto altre forme amministrative, dividendosi in stati autonomi, i cosiddetti regni neo-ittiti, che ebbero uno sviluppo straordinario. Incuriosisce, nell’idea di Ranieri, il riferimento all’impero Ittita e non ad esempio ai regni micenei che più contatti avevano con il mondo nuragico, ma andremo per le lunghe. Ribadisco che Manning invita alla cautela nel considerare quello climatico come unico fattore decisivo per questi cambiamenti. Cautela che in Sardegna generalmente scompare as usual.
Il problema nasce con gli altri due ‘studiosi’, Harris e Mann, dei quali non si riesce a trovare neanche uno studio scientifico, fosse anche di poche pagine; di loro circola esclusivamente un grafico di cui non si conoscono né le basi né i dati di riferimento, così come sono sconosciute le competenze degli autori. Entrambi hanno il loro lavoro come redattori di meteorologia in vari organi di stampa e, in generale, sono dei negazionisti climatici, autori di un libro dal titolo significativo “Weather and Bible Prophecy”. Il grafico da loro pubblicato in rete è, notoriamente, considerato un pasticcio, nonché dotato di alcune chicche ‘cronologiche’: ‘l’era della grande migrazione’, ‘l’epoca dell’esodo degli ebrei dall’Egitto’, ‘l’impero greco’; come dire, una cronologia molto scientifica.
Per chiudere, aspettiamo con trepidazione che il professor Ranieri pubblichi la relazione scientifica sulle sue indagini, dieci anni sono sufficienti perché possa fare una valutazione ponderata. Il suggerimento, in generale, è quello di leggere con attenzione gli ‘studi’ che si propongono a sostegno delle proprie tesi.
PS.
Il testo dell’articolo di Sturt Manning su Nature può essere scaricato e letto gratuitamente al seguente link
Il grafico Harris-Mann da questo:
Sul concetto di Fenomenologia come “Descrizione dei fenomeni, ossia del modo in cui si manifesta una realtà” rimando alla prima puntata pubblicata in questa stessa rivista: