Fuori dai manicomi, 46 anni dalla Legge Basaglia
16 Dicembre 2024[Alessandro Montisci]
Pubblichiamo l’intervento di Alessandro Montisci, psichiatra e attivista dell’Asarp al convegno del 12 dicembre 2024 organizzato dallo Cgil di Cagliari, dallo Spi Cgil di Cagliari e dal Coordinamento donne dello Spi Cgil dal titolo Fuori dai manicomi, 46 anni dalla Legge Basaglia.
Confesso di provare una certa emozione dovendo esplicitamente parlare di Franco Basaglia e della legge 180; infatti mi sento profondamente coinvolto sia a livello personale riguardo alle gravi motivazioni che mi hanno portato a scegliere la psichiatria al secondo anno del corso di laurea in medicina nel 1976, sia a livello professionale rispetto alla determinante esperienza fatta nel 1981 a Trieste lavorando come volontario nel Centro di Salute Mentale di via Gambini, esperienza che ha segnato profondamente i miei successivi 40 anni di lavoro nei servizi di salute mentale territoriali. E questo continuo intreccio del personale con il professionale ha contribuito a rendermi quello che sono: uno psichiatra atipico, ovvero, credo, profondamente e autenticamente basagliano.
Prima di iniziare a trattare il tema specifico del convegno credo che sia opportuno fare un brevissimo cenno sulle tappe principali/fondamentali della mia attività nei servizi pubblici.
Dal Centro di Salute Mentale di Ales al Centro di Salute Mentale di Cagliari Ovest
Questi due servizi territoriali di salute mentale, Ales negli anni ’80 in ambito rurale e Cagliari Ovest a Cagliari sino al 2019, rappresentano forse in Sardegna i servizi dove la 180 è stata più fedelmente e consapevolmente applicata e dove si è riusciti a mettere al centro del lavoro quotidiano non la malattia ma il malato, cioè una persona inserita nel suo specifico contesto familiare e sociale, portatore di diritti e di una insopprimibile dignità; dove il sanitario e il sociale costituivano veramente due facce della stessa medaglia; dove è stata consapevolmente messa in discussione la psichiatria clinica accademica, ospedalocentrica fondata sul binomio inscindibile Diagnosi/Terapia farmacologica.
Su queste due significative esperienze esistono le relative testimonianze: 1) Csm di Ales il volume degli atti del convegno tenutosi ad Ales nell’ottobre del 1985: “L’assistenza psichiatrica pubblica in Sardegna dopo la riforma” che ha coinvolto operatori provenienti da tutte le zone della regione con la generosa partecipazione di Franco Rotelli, Maria Grazia Giannichedda e Rocco Canosa, volume pubblicato nel 1987 dalla USL 14 di Ales con la preziosa prefazione di Franca Ongaro Basaglia; 2) CSM CA OVEST il DVD con gli atti del convegno tenutosi a Cagliari nell’ottobre 2018: “Il lungo percorso dalla psichiatria alla salute mentale in Sardegna”, sempre con l’importante partecipazione di Franco Rotelli e ricca partecipazione di operatori impegnati su tutto il territorio regionale.
L’Asarp, l’associazione sarda per l’attuazione della riforma psichiatrica
Nel 1986 sono stato con Gisella Trincas e altri uno dei soci fondatori di questa associazione di familiari operatori e utenti che ancora oggi svolge un ruolo fondamentale culturale e politico nel difendere e diffondere i principi della legge 180 e che costituisce un importante riferimento per familiari e malati che devono fare i conti con un sistema di servizi sempre più incapaci di dare risposte adeguate e che oggi vivono la drammatica situazione che tutti conosciamo e che trova la sua principale causa nella perenne mancanza di politiche di salute mentale da parte dei governi e delle giunte regionali, con l’unica eccezione della Giunta Soru Dirindin che approvò un Piano Sanitario Regionale 2006-2008 con un eccellente Progetto Obiettivo per la Salute Mentale.
Riflessioni storiche sulla Legge 180 nel centenario della nascita di Franco Basaglia
Parlo di riflessioni “storiche” perché intendo soffermarmi soprattutto sui primissimi mesi in cui è entrata in vigore la legge, convinto che proprio lì sia più facile comprendere i nodi che hanno caratterizzato l’attuazione della riforma psichiatrica che sono ancora presenti e più gravi.
Innanzitutto, chiariamo perché questa legge dello stato italiano è conosciuta come legge Basaglia. Sicuramente Basaglia è stato il principale artefice della sua approvazione in Parlamento, infatti fin dalla metà degli anni ’60 egli si era convinto e lo aveva pubblicamente dichiarato che il manicomio non poteva essere riformato, andava distrutto e basta, ma aveva dovuto anche prendere atto, dopo l’esperienza goriziana e soprattutto dopo la breve esperienza a Colorno nel manicomio di Parma, che la trasformazione operata all’interno dell’istituzione doveva andare in parallelo con la trasformazione della società che di quella istituzione non poteva fare a meno. Tale trasformazione necessitava di essere sostenuta e guidata da pratiche, ancora tutte da scoprire e verificare, che dovevano dimostrare la possibilità di poter curare i malati senza il loro violento e disumanizzante internamento in manicomio. Grazie all’azione del movimento basagliano fin dagli anni ’60 era stata svelata all’opinione pubblica la reale violenza sui malati che si celava dietro la facciata dell’”Ospedale Psichiatrico”, si andavano così diffondendo le lotte anti istituzionali che però si trovavano di fatto ad operare nell’illegalità stante in vigore la legge 36 del 1904 che, nonostante le importanti modifiche apportate con l’approvazione nel 1968 della legge 132 detta legge Mariotti, restava obbligatorio l’internamento in Ospedale Psichiatrico dell’”alienato” mentale che veniva privato della libertà personale, interdetto non poteva sposarsi, fare testamento, testimoniare, gestire beni di ogni tipo, inoltre veniva marchiato a vita con lo stigma di inguaribile, incomprensibile e imprevedibile, quindi incapace di intendere e volere, pericoloso per sé e per gli altri.
Basaglia, che a Trieste di fatto aveva già in buona parte superato il manicomio gradualmente sostituito da servizi chiamati Centri di Salute Mentale aperti 24 ore e non ambulatori, e che da un decennio godeva di una fama internazionale in quanto la sua battaglia per la liberazione dei matti era diventata il simbolo per coloro che lottavano per la liberazione di tutti gli oppressi, fu certamente il principale artefice della sua approvazione, frutto comunque di un compromesso e in buona parte determinato dal contesto particolare che si verificò in quei giorni: l’imminente minaccia del referendum promosso dai radicali per l’abrogazione della legge del 1904 già fissato per l’11 giugno e che avrebbe aperto scenari ingestibili e, soprattutto, la recente scoperta del corpo di Aldo Moro. Il 13 maggio 1978 fu così approvata la Legge n. 180: << Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori >> che, abrogando la legge del 1904 (“Disposizioni sui manicomi e gli alienati”) e i corrispondenti articoli del Codice civile e penale, restituiva la piena cittadinanza, dignità e diritti al malato di mente e decretava il definitivo e graduale superamento del manicomio. Prevedeva inoltre precise modalità garantiste per i trattamenti sanitari obbligatori -necessità dell’ordinanza del sindaco e approvazione del giudice tutelare- da attuarsi nei servizi territoriali e, SOLO “ove necessiti la degenza”, negli specifici servizi psichiatrici di diagnosi e cura che le regioni dovevano attivare negli ospedali generali entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge.
Proviamo a calarci in quel contesto storico: 1) con l’uccisione di Aldo Moro saltava il compromesso storico che avrebbe dovuto portare per la prima volta il PCI al governo; le brigate rosse costituivano la principale minaccia per lo Stato che si apprestava a mettere in atto misure repressive mai viste prima; 2) si attribuiva alle Regioni l’assistenza psichiatrica che da oltre 70 anni era stata di esclusiva competenza delle amministrazioni provinciali, enti assistenziali e non sanitari, che con uno specifico assessorato gestivano l’ospedale psichiatrico di competenza; 3) non essendo ancora stata approvata la riforma sanitaria non esistevano le unità socio sanitarie locali.
Quei primi mesi furono cruciali e costituiscono una prova esemplare di come noi italiani sappiamo approvare leggi straordinariamente all’avanguardia nel difendere i diritti sanciti dalla nostra bellissima Costituzione, leggi che però raramente trovano una loro puntuale applicazione. Gli ospedali psichiatrici che contavano oltre cento mila internati diventavano per legge di competenza sanitaria ma ancora non c’era la riforma sanitaria, i servizi territoriali di assistenza previsti dalla legge non esistevano salvo pochissime eccezioni (Trieste, Arezzo, Perugia, Reggio Emilia); la degenza ospedaliera sino ad allora di esclusiva competenza delle amministrazioni provinciali veniva trasferita alle regioni che incaricarono gli enti ospedalieri. Inizia così quel balletto indegno, durato ben venti anni, di accuse reciproche tra regione, amministrazione provinciale e l’ente ospedaliero che si scaricavano a vicenda la responsabilità dei ritardi e delle gravissime carenze dei servizi che davano fiato ai detrattori della legge.
Per preparare questa relazione mi sono riletto dopo tanti anni gli articoli che conservo de L’unione Sarda pubblicati in quel periodo sulla riforma psichiatrica. Vediamo dai titoli che tutti inizialmente si dichiaravano favorevoli e pronti ad applicarla, poi subito dopo il tono cambia.
<< La legge per la chiusura dei manicomi non è giunta di sorpresa a Villa Clara. Il “nuovo corso” dell’ospedale psichiatrico era stato avviato da alcuni anni >> 15/06/78.
<< Devasta il pronto soccorso mentre attende il trasferimento all’ospedale psichiatrico >> 20/06/78
<< Tempi lunghi per la chiusura dei due ospedali psichiatrici >> 02/08/78
<< Dietro la libertà agli ammalati lo spettro dei vecchi manicomi. Non è facile in Sardegna applicare il “nuovo corso” >> 03/08/78
<<In corriera via dal “nido del cuculo” dal manicomio di Dolianova a Cagliari i matti verso la libertà>> 05/05/78
<< Chiuso l’ospedale di Dolianova: già trasferiti in città i pazienti. Escono dalle sbarre i matti da slegare >> 05/08/78
<< Aumentato per favorire l’esodo da Villa Clara il sussidio alle famiglie dei malati di mente >> 09/09/78
<< Venti malati nel vecchio padiglione dei lebbrosi non stanno certamente meglio che a Villa Clara. Come è stato risolto all’ospedale di Is Mirrionis il problema del “Servizio Psichiatrico” >> 24/09/78
<< Si uccide al Bastione uscito dal manicomio >> 25/09/78
<< Il nuovo “Servizio Psichiatrico” deve fare i conti col sovraffollamento a Is Mirrionis. I trenta malati ricoverati sono stati sistemati anche nei corridoi >> 08/10/78
<<Dieci ambulatori psichiatrici nei programmi della Provincia. Mentre continuano a svuotarsi i reparti di Villa Clara >> 15/10/78
<<Rischia di diventare un manicomio il centro psichiatrico di Carbonia >> 21/11/78
<< L’atroce delitto di Meana Sardo fa discutere: si poteva evitare? La legge sui manicomi tra il parere di esperti e le reazioni emotive>> 07/12/78
Tra gli articoli de L’Unione ho trovato anche un bellissimo e lungo reportage pubblicato su L’Espresso del 17/12/78 a firma di Serena Rossetti:
<< Uscì dal manicomio, e impazzì. Sei mesi dopo la riforma / viaggio in Italia fra i matti liberati con il principale promotore della riforma >> . Abbiamo così la possibilità di sentire le parole di Basaglia che, accompagnato dalla giornalista, visita sei città (Bari, Roma, Bologna, Milano, Venezia e Trieste) per rendersi conto di persona se e come è stata applicata la legge, e ci sono spezzoni di dialogo fra Basaglia e gli altri psichiatri molto significativi, ne riporto solo alcuni. Ad uno che chiedeva se forse si erano illusi per l’impegno profuso per fare approvare la legge, rispondeva: <<Che cosa pensavi? Che, chiusi i manicomi, con un colpo di bacchetta magica, i matti non sarebbero più stati considerati tali e i nostri colleghi psichiatri avrebbero cambiato mentalità e metodo da un giorno all’altro?>>.
Ad un docente universitario direttore della clinica psichiatrica di Bari che lo accusava di volere sostituire il sapere psichiatrico con il sociale rispondeva: <<La psichiatria è una scienza che non esiste. Io non dico che i matti non esistono ma solo che non sappiamo che cosa sono. La risposta ci può venire solo dal contatto continuo con loro e la sola terapia è di non isolarli dal resto del mondo. Se tu continui a studiarli quando sono chiusi nella tua clinica-laboratorio capirai ben poco delle loro reazioni a contatto con la gente>>.
Analizzando i dati nazionali constatava che il numero complessivo dei ricoverati era rimasto più o meno lo stesso, mentre i ricoveri “coatti” i trattamenti sanitari obbligatori erano praticamente crollati e questo perché sotto lo stimolo della nuova legge i medici sono assai più restii ad autorizzarli, e azzardava <<probabilmente anche le famiglie sono meno propense di prima a far rinchiudere il loro “matto”. Credo che quando la sensibilità sociale su questo problema si sarà estesa, i trattamenti sanitari obbligatori finiranno per scomparire quasi del tutto>>.
Alla fine del viaggio, considerando non solo i dati delle sei città visitate, tracciava un bilancio abbastanza positivo dei mutamenti che già c’erano stati e riteneva che il nuovo meccanismo difficilmente si sarebbe fermato, ma concludeva con una affermazione ancora oggi validissima: <<Io non so se i legislatori che hanno votato la legge e tutti gli operatori che sono chiamati ad applicarla si siano resi ben conto del suo significato. Non so, soprattutto, se l’abbia capito l’opinione pubblica>>.
Per raccontare la storia della 180, inserita nelle riforma sanitaria approvata il 23 dicembre 1978, sino alla recente seconda conferenza nazionale autoconvocata tenutasi a Roma il 6 e 7 dicembre scorsi, ci vorrebbero altri convegni mentre io ho preferito soffermarmi sul primissimo periodo di entrata in vigore della legge che ben dimostra come essa vada ben oltre l’orizzonte del mondo psichiatrico, che invece di aprirsi e trasformarsi è rimasto arroccato sulla sua presunta “scienza” separata dal resto del mondo così che ancora oggi bisogna lottare per difendere i principi democratici della legge 180 e denunciare tutte le violazioni dei diritti umani che si compiono non solo in psichiatria ma nelle altre istituzioni: carceri, CPR, strutture residenziali, RSA, istituzioni che sono lo specchio della nostra società sempre più violenta e che inconsapevolmente precipita verso l’autodistruzione sia per la minaccia sempre più forte della guerra atomica sia per il continuo aggravarsi della crisi climatica.
Concludo citando l’intervento di Rosy Bindi nella recentissima Conferenza Nazionale quando considera la riforma psichiatrica il paradigma della riforma sanitaria, perché sta nel suo dna mettere al centro la persona e non la sua malattia, promuove e sperimenta l’efficacia del lavoro in équipe multiprofessionali, spontaneamente svolge buona parte della sua attività a domicilio e nei contesti di vita delle persone, considera prioritario il benessere concreto della persona piuttosto che il rispetto della formalità tecnica dell’intervento. Analogamente Nerina Dirindin nel suo intervento conclusivo della stessa conferenza ha affermato che la salute mentale è sì la cenerentola della medicina ma ha presentato e presenta ancora bellissime esperienze cui dovrebbero ispirarsi tutte le altre discipline mediche.
E adesso proprio perché siamo riusciti a difendere la 180 nonostante i continui attacchi (vedi anche l’attuale ddl di Fratelli d’Italia in discussione in parlamento) è possibile produrre e diffondere docufilm come “Profondo Nero” di Roberto Pili.