Germania “potenza di centro” e il futuro dell’Europa
1 Giugno 2016Gianfranco Sabattini
La Germania è nata in ritardo come Stato nazionale; sin dalla sua origine, essa si è trovata ad essere potatrice della “sindrome dell’accerchiamento”, dovuta al fatto che, nonostante fosse dotata di un proprio potenziale economico e culturale, si trovava collocata all’interno di un mondo già da molto tempo diviso tra le vecchie potenze coloniali.Queste, sin dal primo momento, hanno mal sopportato le pretese avanzate dalla potenza ultima arrivata. Le rivendicazioni tedesche hanno così incrinato l’equilibrio di potenza costruito nel corso dei decenni precedenti, soprattutto ad opera dell’Inghilterra e dalla Francia. Di qui, il tratto oggettivamente aggressivo attribuito alla politica estera tedesca dopo la proclamazione del Reich nel 1871; tratto conservato negli anni successivi e giunto alla nemesi storica nel 1945.
La consacrazione di potenza geopolitica della Germania è avvenuta pochi anni dopo l’unificazione, compiutasi nell’estate del 1878, quando è stato convocato a Berlino, sotto la direzione di Otto von Bismarck, il congresso delle potenze europee per disinnescare le cause del conflitto scoppiato tra Russia e Impero ottomano. Nel corso del congresso, Bismarck è riuscito a ridimensionare le pretese russe e ad affermare il ruolo di grande potenza della Germania, assicurando il prolungamento del periodo di pace, iniziato in Europa con il Congresso di Vienna, ma inducendo la Germania a scoprirsi “potenza di centro” che, nelle intenzioni del “Cancelliere di ferro”, implicava un’egemonia tedesca in Europa costruita, come afferma Gian Enrico Rusconi, nella forma di un’“egemonia vulnerabile”, in virtù di una sua presunta fragilità e debolezza.
Inizia così, dopo il 1878, il fatale cammino della Germania, che la porterà alla catastrofe della prima guerra mondiale e, successivamente, anche della seconda. Con questi due conflitti, e la successiva risistemazione del secondo dopoguerra, è stato sconvolto irreversibilmente il precedente equilibrio di potenza tra i vecchi Stati europei, rendendo irrilevante la dimensione geopolitica della «posizione di centro» tedesca. Soltanto dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca, seguita dall’allargamento dell’Unione europea verso Est, la questione della Germania “potenza di centro” è tornata ad essere attuale.
Nel 2015, in occasione della celebrazione del bicentenario della nascita di Bismarck, afferma Rusconi, a Berlino si è avuto “un risveglio di interesse per i grandi paradigmi geopolitici”; tale risveglio ha spinto “la Germania di oggi a riprendere consapevolmente e in modo nuovo il ruolo di “potenza di centro”. Sebbene il contesto storico e politico della Germania di oggi sia inconfrontabile con la Germania bismarckiana, soprattutto per l’esistenza dell’Unione Europea della quale la Germania è parte, la riacquisita “posizione di centro” l’hanno spinta quasi naturalmente ad esercitare la sua egemonia, dentro e fuori l’Unione, ma anche “oltre i confini del Vecchio Continente”, inducendo i popoli europei a temere che la centralità tedesca finisca col sovrapporsi a quella dell’Unione.
Secondo molti commentatori tedeschi, a causa del ritardo sulla via dell’integrazione politica dell’Europa, la «potenza di centro della Germania» ha teso a confondersi con la «potenza di centro dell’Europa». Sennonché, pur non intendendo sostituirsi all’autorità formale della Unione Europea, di fatto la Germania ha interpretato la sua ritrovata posizione centrale come il presupposto per sancire il suo ruolo politico e la sua funzione supplente dell’Unione. Si è trattato di un salto di qualità, rispetto al potere condizionante che la Germania ha potuto sin qui esercitare nell’ambito meramente economico-monetario.
La prospettiva dell’esercizio di una benevole egemonia tedesca ha però subito un’improvvisa battuta di arresto con l’esplosione del fenomeno della migrazione di massa e della sua apparente ingovernabilità. La politica di accoglienza voluta dalla Cancelliera Angela Merkel non è stata condivisa, non solo in Germania, ma anche e soprattutto dai Paesi membri dell’Unione, i quali hanno negato l’adesione ad una politica migratoria comune. Ciò che era stato possibile evitare durante la crisi economica – osserva Rusconi – si è registrato con la crisi dei flussi migratori.
Berlino, di fronte ai crescenti flussi migratori, ha perso la capacità di svolgere con efficacia il ruolo di orientamento politico, con “contraccolpi sulla sua posizione egemonica costruita negli anni precedenti”, i cui effetti si sono ribaltati immediatamente sulla strategia a livello geopolitico; la perdita del ruolo di orientamento ha messo alla prova anche la “sindrome di Bismarck”, che prefigurava, sia pure in un diverso contesto storico, la possibilità che la Germania potesse “orientare, se non a guidare, l’Europa, nonostante (o proprio per) le sue differenze di interessi, di cultura e di peso geopolitica”.
Nel dibattito in corso viene sviluppato, sulla base dei due processi di unificazione, un parallelismo storico tra situazioni molto diverse: la Germania bismarckiama e quella attuale; quella occorsa con la proclamazione del Reich del 1871 e quella realizzatasi nel 1990, dopo la caduta del Muro di Berlino. E’ a partire dalle date citate che è stata configurata per la Germania la posizione di “potenza di centro”; in altri termini, una posizione che le ha consentito di esercitare, sulle base di condizioni diverse, una posizione egemone, dotata però in entrambi i casi di un’intrinseca fragilità; fragilità connessa al fatto che la Germania, indipendentemente dalla sua volontà, ha sofferto, e continua a soffrire, dell’esistenza di alcuni condizioni obiettive che l’hanno spinta, e continuano a spingerla, ad essere riluttante nell’assumersi le responsabilità implicate dall’essere stata, e dell’essere divenuta ancora, potenza egemone.
Infatti, ai tempi di Bismarck, la Germania risultava troppo piccola per esercitare un ruolo egemone in Europa, ma troppo grande perché potesse contribuire a conservare l’equilibrio di potenza esistente; fatto, questo, che ha spinto il “Cancelliere di ferro”, Otto von Bismarck, ad affermare che la Germania doveva convincere il mondo che un’egemonia tedesca in Europa avrebbe potuto agire “in modo più utile, imparziale e meno dannosa per la libertà degli altri che non un’egemonia francese, russa o inglese”.
Come la Germania di Bismarck, quella di Angela Merkel, per via della potenza economica raggiunta, è stata costretta a un esercizio soft del ruolo di potenza egemone, per via del fatto che la forza economica acquisita è fondata su regole immodificabili sottoscritte da tutti i Paesi dell’Unione Europea. Questa situazione di fatto – afferma Rusconi – ha esonerato il governo tedesco dall’assumere l’onere di una responsabilità di leadership che avrebbe potuto condurla a comportamenti più solidali verso i partner in difficoltà. “Se è così, – continua Rusconi – allora la riluttanza tedesca non nasce semplicemente dalla rigidità delle proprie convinzioni di ordine economico-finanziario, ma dall’insicurezza nell’affrontare i rischi politici connessi a un ruolo di autentica leadership europea”. E’ in questo modo che si ripropone oggi la vulnerabilità dell’egemonia tedesca.
I due processi, quello della unificazione del 1871 e quello della riunificazione del 1990, si collocano in contesti europei diversi: nel primo caso, le grandi potenze europee (soprattutto Inghilterra, Francia e Russia) hanno assistito con diffidenza alla politica bismarckiana; mentre, nel secondo caso, la riunificazione tedesca è stata realizzata, oltre che a seguito dell’implosione dell’ex URSS, anche grazie a un’operazione politico-diplomatica “all’interno di una dinamica internazionale ed europea interattiva”, per essere stata promossa e supportata dal “rapporto speciale” che nel frattempo si è instaurato tra la comunità Europea e la Germania. Fatto, questo, che, a parere di Rusconi, avrebbe dovuto fugare ogni motivo di un “’impero inquieto’ di stile bismarckiano o postbismarckiano”.
Perché, allora, la riluttanza della Germania ad assumere una qualche forma di condivisione di responsabilità nella soluzione dei problemi degli altri Paesi dell’Unione, per via di una presunta vulnerabilità della sua benevola egemonia, che avrebbe dovuto svolgere in virtù della sua primazia economica? Od anche, perché, nonostante la natura benevola della sua egemonia, sono crescenti i sentimenti di ostilità di molti Paesi dell’Unione nei confronti della Germania?
Per rispondere agli interrogativi, occorre tenere presente che la mancata integrazione europea in senso federale ha imposto all’Europa un governo delle interdipendenze dei governi degli Stati membri, con cui ciascun Stato ha conservato un residuo di sovranità, soprattutto nel campo della politica fiscale. Ciò, tuttavia, non ha escluso che la Germania potesse esercitare, con “stile assertivo”, una leadership nei momenti cruciali della crisi scoppiata nel 2007/2008 nei confronti dei Paesi membri dell’Unione, attirandosi per questa via l’accusa di volere un’”Europa germanizzata”, anziché una “Germania europeizzata”.
Sarà vero che, come afferma Rusconi, la Germania “non è direttamente responsabile della crisi che ha attanagliato l’Europa”; ma, al di là dell’opinione di molti analisti (ma non solo loro) che essa abbia tratto vantaggio dei “difetti di costruzione” dell’Unione, in generale, e dell’Eurozona in particolare, resta il fatto che, durante gli anni cruciali della crisi, la Germania ha accumulato avanzi della sua bilancia commerciale; questi, anche se al lordo delle perdite in conto capitale per i prestiti concessi ai Paesi destinatari delle sue esportazioni, vengono negati da molti analisti tedeschi, favorevoli all’uscita della Germania dall’euro, i quali affermano che a trarre vantaggio non sarebbe stato il loro Paese, bensì quelli che hanno male amministrato i loro conti pubblici.
Giustamente, Rusconi conclude affermando che, al contrario, malgrado i difetti di costruzione dell’Unione e dell’Eurozona, la Germania “si è sviluppata aumentando gradualmente il divario con altri Stati membri strutturalmente più deboli”. Nonostante ciò, la potente Germania, assurta di nuovo a “potenza di centro”, anziché prestare la necessaria solidarietà ai Paesi in crisi, ha preferito, sia pure in termini assertivi, assegnare loro “compiti a casa”, evitando di assumersi la responsabilità di creare le condizioni all’interno dell’intera Eurozona, come l’esperienza degli accordi di Bretton Woods avrebbero dovuto suggerirle.
In conclusione, malgrado la riacquisita posizione di potenza di centro, non solo sul piano politico, la Germania ha preferito svolgere il ruolo di potenza egemone riluttante, optando egoisticamente per il disimpegno, ammantato di ordoliberismo, che è valso a rendere la Germania, se non proprio responsabile della crisi, certamente a peggiorarla a livello europeo.
Nell’immagine: Jackson Pollock – 1943 The she wolf