Gli strafalcioni dell’accecante odio anticomunista
16 Gennaio 2019[Luciana Castellina]
Ricordate la famosa frase di Alfred Rosenberg, teorico hitleriano: «Quando vedo un intellettuale tiro fuori la pistola»? Attaccare gli intellettuali è una costante dei fascismi ed è allarmante che la pratica stia dilagando a ritmi sempre più intensi, coinvolgendo nella valanga di calunnie e strafalcioni storici persino moderati organi di stampa.
Il culmine si è avuto ieri con La Verità – ma questo non meraviglia – che ha pubblicato una isterica invettiva di Marcello Veneziani (di intellettuali ce ne sono di tutti i tipi, naturalmente) in cui se la prende con tutta la cultura italiana e francese, ma, con particolare accanimento con il sessantotto e, segnatamente, con il manifesto.
SUI TERMINI il Veneziani non fa sconti: fra i «criminali ideologici» e «cani morti del comunismo» che non si sarebbero mossi per Jan Palach o, se lo hanno fatto, è solo per amore di quell’altro criminale di Mao Tse Tung, vengono annoverati: Moravia, Macciocchi, Collotti Pischel, Pisu, Sanguineti, Fo, Jacoviello, Basaglia, Cavallari, Colombo (Furio e Vittorino), Bellocchio, La Valle, Zaccagnini, Sartre, de Beauvoir, Goddard, Althusser, Garaudy, più, naturalmente, l’intero manifesto, il Movimento studentesco con Capanna e Michele Santoro.
L’occasione dello sfogo è, per l’appunto, la commemorazione di Jan Palack che i fascisti avrebbero il diritto di ricordare, in quanto notoriamente paladini della libertà – gruppi nazirock e fascisti lo vogliono fare domani a Verona con l’avallo di molte istituzioni pubbliche.
L’odio anticomunista è così accecante che fra chi avrebbe sostenuto quelli che l’eroe cecoslovacco intendeva denunciare dandosi fuoco a Praga, ci saremmo anche noi, che – come è superfluo ricordare perché fin troppo noto – fummo radiati dal Pci proprio perché ritenevamo troppo debole la condanna che dell’invasione dei carri armati sovietici era stata pronunciata da quel partito.
Veneziani peraltro, come del resto moti altri, dimentica che quei carri armati inviati da Mosca non si erano mossi per rovesciare un governo di destra, ma il governo comunista di Dubcek; e che il Partito comunista cecoslovacco (allora la Cecoslovacchia era, anche per le leggi della Primavera 1968, paese federato e unitario) fu vittima di quell’attacco e costretto a tenere un congresso straordinario in clandestinità in una fabbrica in periferia, protetto da picchetti di operai comunisti armati; e che le Tesi di quel congresso proprio da il manifesto furono in seguito pubblicate.
E CHE JAN PALACH, che amava definirsi «comunista luterano», vedeva la «speranza» nel socialismo dal volto umano di Dubcek del quale era sostenitore. È comunque sulla Cina che Veneziani soprattutto si dilunga mostrando di non sapere nulla di quanto accadde in quel paese e di quali furono le origini della rivoluzione culturale.
Se il Sessantotto incluse Mao Tse Tung fra i suoi punti di riferimento è perché pur agli apici del suo potere ebbe il coraggio di denunciare la burocratizzazione crescente del regime, i privilegi che la «casta» andava accaparrando, la distanza che si stava scavando fra le istituzioni e il popolo.
IL SESSANTOTTO LO AMÒ perché aveva osato denunciare la pericolosa involuzione del suo stesso partito e per aver incitato i militanti comunisti a reagire prima che fosse troppo tardi, attaccando, fra l’altro, alla porta del proprio comitato centrale, il famoso dazibao con su scritto: «Bombardate il quartier generale», una indicazione indispensabile anche fuori dalla Cina.
Mao fu sconfitto, e le cose presero un altro corso, ciecamente sostenuto dai tanti gruppetti Ml (marxisti-leninisti) che pullularono in quegli anni, tristemente sostenuti dall’Ambasciata cinese in Italia che, da quando noi del manifesto avanzammo critiche sul corso degli accadimenti in Cina, troncò ogni contatto con noi.
Quanto alla destra, e alla sinistra ormai burocratizzata, furono contente che i loro quartier generali si fossero salvati per via della disgraziata degenerazione di quella rivoluzione.
L’ARTICOLO DI VENEZIANI, e il tono assunto ormai da molti altri, innanzitutto dai ministri del governo del nostro paese, porta il timbro della stessa cultura fascisteggiante: odio bieco, insulti, calunnie nei confronti dei comunisti e più in generale della sinistra e tanta, ma tanta ignoranza fino all’oscurantismo.
Il tutto serve a occultare il fatto che nonostante le roboanti dichiarazioni iniziali il potere vero, quello responsabile della miseria crescente degli italiani, delle pensioni di fame di tanti e della disperazione dei giovani senza lavoro, quel potere economico, la vera élite, quella non intendono toccarla. A copertura ci si inventa che responsabili di tutto sono i comunisti, e in primis, il manifestoattuale nonché la sua storia! Per fortuna, ora – proclamano – li abbiamo ammazzati: sono ormai solo «cani morti». Adesso, ne sono certi, tutto andrà per il meglio. Auguri !
[da il manifesto]