Gott mit uns
1 Novembre 2014Silvana Bartoli
La Russia del 2014 adora Putin; se ancora non lo definisce “grande guida e maestro”, “geniale scienziato”, come avveniva per Stalin, o “padre del popolo”, com’era per lo zar, il patriarca Kirill non esita ad indicarlo come “un miracolo mandato da Dio”. Dopo gli scontri in Ucraina l’approvazione popolare è arrivata all’80 per cento, e molti che prima lo criticavano ora si sentono ben rappresentati dalla sua voglia di imperialismo.
A Mosca una mostra di pittura ha riproposto le 12 fatiche di Ercole collocando Putin nel ruolo di protagonista, senza traccia di ironia.
I pochi che non lo approvano temono l’aria anti occidentale che si respira, l’autoritarismo dilagante, lo strapotere dei militari, la pericolosa alleanza tra servizi segreti e burocrazia, e vedono similitudini col regime fascista di Mussolini (che d’altra parte fu il primo a riconoscere l’Unione sovietica perché, diceva, “siamo entrambi contro la democrazia, contro il liberalismo”).
Due anni fa la popolazione russa è scesa in piazza e ha protestato contro le elezioni truccate; in quei giorni Andrej Mironov era molto allegro al telefono, diceva che tutti ridevano pubblicamente di Putin, lo consideravano politicamente finito.
Andrej è stato ammazzato in Ucraina e di quella ribellione non c’è più traccia.
Il governo di Putin tiene d’occhio gli oppositori, ne controlla i telefoni ma questo è il meno, il problema sono i pestaggi ad opera di provocatori a pagamento che prendono di mira chiunque venga pescato a parlare di diritti. Si dice che, in Russia, per denaro sia possibile tutto (solo in Russia?) e Putin ha immense riserve finanziarie; la conseguenza di un pestaggio è il lager, dove vige un sistema schiavista. Le ribelli Pussy Riot speravano di coinvolgere la popolazione, Putin ha offerto un’altra dimostrazione di potenza che impressiona e gli porta consenso, forse perché, per molti, la cosa più importante è sentirsi protetti dall’onnipotente di turno.
“Quel popolo che non conosce la propria storia è destinato a ripeterla”, dice la saggezza antica, soltanto che non la ripete da solo; il mondo globalizzato ha messo in comune molti vizi ma non la conoscenza, sembra, e la storia continua a ripetersi.
Oggi, il compagno Putin, che molti vedono come unico baluardo alla diffusione di un nuovo nazismo, è affascinato dall’ideologia di Alexander Dugin, sostenitore di un blocco euro-asiatico che unifichi tutti i popoli di lingua e tradizione russa.
Oppositore di Gorbačëv e Eltsin, collaboratore di Zjuganov, Dugin ha fondato nel 1993 il partito Nazional-Bolscevico che esalta lo zarismo, la politica di Stalin, le idee di Evola: il futuro del mondo ha bisogno di un fascismo rivoluzionario e del conservatorismo russo. Le parole guida sono: “nazional-bolscevismo” e “rivoluzione conservatrice”, e il nuovo Impero euro-asiatico sarà costruito per far fronte ai nemici comuni: l’atlantismo, il potere degli USA, il dominio dei “cosiddetti valori liberali”. L’Eurasia di Dugin contiene infatti un progetto di civiltà alternativa: al “nuovo mondo” degli Stati Uniti va opposto il “vecchio mondo” europeo e russo, con le sue tradizioni religiose e sociali, che sono le radici della civiltà. In queste tradizioni non c’è spazio per i “cosiddetti diritti umani”, che sono un concetto razzista, in quanto fanno prevalere il singolo, cioè la minoranza, sul gruppo. Nel modello Dugin il singolo non ha valore, ciò che conta è la collettività, e gli interessi collettivi devono prevalere sulle esigenze dei singoli. Quindi la libertà individuale non può essere considerata un valore assoluto perché ci sono molti, i musulmani ad esempio, che non vogliono essere liberi, ma sottomessi ad Allah.
Tale programma, dice Dugin, ha l’appoggio della chiesa ortodossa russa e delle comunità musulmane, inoltre può affrontare il problema ceceno grazie a un’alleanza con l’Iran, mentre uno stretto legame turco-slavo è apprezzato dai nazionalisti turchi.
Le autorità ucraine non lo amano molto, come quelle georgiane del resto: nel 2008, alla vigilia dello scoppio della guerra, affermava che i russi avrebbero dovuto occupare Tbilisi e subito dopo l’Ucraina e la Crimea, storicamente appartenenti alla Russia.
L’identità di un popolo, dice Dugin, si costruisce sulle sue tradizioni e le tradizioni legano l’Ucraina al mondo russo, non all’occidente americanizzato. Nella tradizione russa i matrimoni gay sono “cattivi e sbagliati”, osteggiarli non è razzismo; è razzismo volerli imporre a tutti, come fanno gli americani. L’unico modo per opporsi è recuperare la dimensione delle sacre tradizioni e della religione, in particolare il cristianesimo ortodosso e l’islam. Questi sono gli ideali ispiratori della repubblica popolare di Donestsk e Lugansk che combatte contro gli ultra-occidentali di Kiev, massacratori di bambini, donne e vecchi. I dirigenti di Kiev sono al servizio del lobbismo americano, per fermarli è quindi utile un’alleanza con i veri musulmani, perché si tratta di una “guerra santa” (lo stesso ideale che sembra guidare i neri combattenti dell’ISIS, i quali sgozzano gli occidentali in diretta, indossando comode scarpette occidentali).
Gli ucraini, continua Dugin, manipolati dagli americani, odiano i russi “senza una vera ragione”. (Sic! Nel centro di Kiev c’è però un imponente monumento alle vittime della carestia dolosa che dal 1929 al 1933 provocò cinque milioni di morti.)
Non è comunque facile orientarsi nell’intricata situazione dell’odierna Ucraina.
Senza ripartire dai Variaghi, fondatori del Rus’ di Kiev nel IX secolo ai quali è dedicato un monumento che domina Maydan, ci sono molti aspetti inquietanti: la realtà quotidiana dell’Ucraina vede una grandissima devozione per divinità, santi e reliquie della tradizione ortodossa, ma chi si riconosce nella chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca non frequenterebbe mai le chiese ortodosse del Patriarcato di Kiev, e viceversa. Nei luoghi sacri di entrambi i patriarcati ci sono gli stessi santi, le stesse reliquie (non esattamente le stesse: se uno ha la mano destra di s.Vladimiro, l’altro ha il piede sinistro) che tutti baciano appassionatamente, esattamente come tempo fa omaggiavano la reliquia di Lenin, e ne traggono forza per disprezzare quelli che fanno la stessa cosa nella chiesa opposta. Basta entrare una volta in queste due chiese per sentire che, in Ucraina, la vera guerra non è ancora cominciata, siamo solo alle prove generali che incoraggiano e usano queste contrapposizioni.
Infine all’aeroporto dei Kiev mi è capitato di incrociare un gruppo di ebrei ortodossi che fingevano di non vedere un gruppo di devoti musulmani inginocchiati verso la Mecca: ognuno pronto a imbarcarsi per il luogo più sacro a Dio, indossando l’abito più gradito a Dio, molti disposti a sacrificarsi e sacrificare per onorarLo; vien da pensare che chi ha inventato le religioni volesse fare un dispetto all’umanità.
Ce la faranno le “sacre tradizioni” di Dugin e dell’Isis a dominare il mondo?
Da Foscolo viene una risposta per gli imperialismi di ogni tempo: “Tutte le nazioni hanno le loro età: oggi sono tiranne per maturare la propria schiavitù di domani”.