Gran Torino
1 Maggio 2009
Mario Cubeddu
Raramente capita di vedere un film così limpidamente “di sinistra” come Gran Torino, diretto e interpretato da Clint Eastwood. Talmente didascalico da candidarsi a diventare uno di quei film che riassumono lo spirito di un’epoca. Dell’era della crisi, e del risvegliodell’America di Barack Obama dal sonno della ragione degli anni dei Bush. Walt, vecchio operaio delle fabbriche d’auto in pensione, seppellisce la moglie davanti ai figli che non ama e non apprezza e rimane solo nella sua casa di periferia. In garage conserva come orgoglio di lavoratore e sintesi della sua esperienza di vita una Ford Gran Torino. E’ il suo bene più prezioso, insieme alla rastrelliera con gli attrezzi del fai da te. Per questo attira l’interesse della banda dei teppisti di quartiere. Nella casa a fianco vive una famiglia asiatica senza padre, molte donne, e un ragazzo in cui problemi personali dell’adolescenza si uniscono alle difficoltà di inserimento tra i coetanei e nella società americana. Il vecchio Walt sembrerebbe la persona meno adatta a trovare un punto d’incontro con una famiglia di immigrati, ma dopo essere intervenuto a difendere la sua proprietà, salvando con quell’atto il ragazzo da una banda, gli risulta impossibile contenere l’assillante gentilezza dei vicini. La ragazza Sun riesce a a farlo uscire dalla sua solitudine e dai pregiudizi spesso diffusi per abitudine e inerzia nei ceti popolari. Quelli di Walt sui “musi gialli” sono speculari a quelli della vecchia nonna asiatica. Per soddisfare un debito di riconoscenza che la comunità Mong sente nei suoi confronti per aver salvato il fratello, la ragazza si impegna a dare senso alla sua vita coinvolgendolo in rapporti umani ricchi del senso che non riesce a trovare nei rapporti familiari. E’ meno difficile del previsto, perché tutto sommato Walt è più contiguo nell’esclusione sociale che ha scelto di patire insieme ai suoi vicini Mong che non alla vita “normale” dei figli che vivono nel quartieri alti. “Accidenti, ho più cose in comune con questi musi gialli che con i miei figli”, scopre Walt il giorno del suo compleanno. E sarà l’inizio di un percorso che lo vede affrontare un compito di educatore, di padre, che forse non era stato capace di svolgere con i figli. L’amicizia con la ragazza e il rapporto educativo col fratello crea vincoli di affetto che finiscono per diventare il tallone d’Achille di Walt, la situazione affettiva e le persone attraverso cui può essere colpito. Se il personaggio interpretato da Clint Eastwood rappresenta l’America di oggi, il mondo che essa pretende di proteggere non ha molto da stare allegro, vista la sua debolezza. C’era un tempo in cui si cullava nel mito della forza. “Per sconfiggere la violenza bisogna usare una violenza ancora maggiore” diceva la pubblicità de “I falchi della notte”, film interpretato da Silvester Stallone. La risposta di oggi sorprende lo spettatore e dimostra la capacità di una certa America di saper restare al centro ideale del mondo contemporaneo. Il messaggio di Clint Eastwood è tanto più forte in quanto espressione di un’America profonda. L’orgoglio patriottico non è finito. La ragazza Sun contrappone ciò che Walt può fare per il fratello ai limiti dell’educazione paterna. Di fronte alla protesta di lui per i suoi fallimenti dice: “ma tu sei americano”. L’America ha imparato la lezione, sembra dire Clint Eastwood. In un film di grande bellezza, con dialoghi perfetti, come quelli della scena in cui due vecchi figli di immigrati, un italiano e un polacco, insegnano al nuovo arrivato come ci si parla tra maschi in America. Il vecchio eroe dei film western sembra dire: è un mondo dove c’è ancora speranza se il giovane immigrato asiatico può alla fine del film percorrere le rive del lago Michigan alla guida della Gran Torino con il cane di Walt accucciato al suo fianco.