Grazie ragazzi, la libertà dell’arte

2 Febbraio 2023

[Francesca Pili]

Grazie ragazzi è un film che ha come centro e ambientazione il carcere.

Negli ultimi anni, in Italia, se ne sono visti diversi: Ariaferma, film del 2021 di Leonardo Di Costanzo, ad esempio.

Ma se in Ariaferma il tono è drammatico, i colori saturi e cupi, e la sospensione tutta interna – l’intera vicenda narrata ruota attorno a pochi detenuti e dodici secondini  – in un ambiente già noto sempre più claustrofobico – pochi metri quadrati di carcere –, qui la vicenda ha un tono più leggero e da commedia, colori vivaci e variegati, ed è l’esterno che incontra l’interno: è un attore in crisi, solo, con una figlia lontana e un matrimonio fallito alle spalle, che per campare doppia film porno, che si ritrova in carcere a fare lezione a dei detenuti.

E a questo punto, così, comincia l’avventura; Antonio (Cerami nel film, Albanese nella realtà) insegna loro a tirar fuori ciò che hanno dentro, a mettersi in gioco e a credere di nuovo in qualcosa, regala loro entusiasmo, libertà, nonostante le sbarre del luogo in cui si trovano.

Ma è soprattutto lui a scoprire nuovi modi di guardare al teatro, una nuova forza, una speranza, uno scopo.

È l’importanza dell’arte e del suo potere catartico, trasformativo.

E salvifico.

Riscopre, con i suoi cinque allievi (i bravissimi Giacomo Ferrara-Aziz, Giorgio Montanini-Mignolo, Andrea Lattanzi-Damiano, Bogdan Iordachioiu-Radu, Vinicio Marchioni-Diego), un’umanità che aveva quasi dimenticato.

È lui che grazie a quest’esperienza si ritrova.

Ritrova il teatro.

L’entusiasmo.

La sua passione.

Ritrova Godot.

Il regista, Riccardo Milani, dirige e adatta (insieme a Michele Astori, entrambi autori di soggetto e sceneggiatura) il film francese Un Triomphe di Emmanuel Courcol, a sua volta tratto dalla storia vera dell’attore svedese Jan Jonson, che mise effettivamente in scena Aspettando Godot di Beckett con un gruppo di detenuti.

E lo fa con un film che, certamente, non ha vocazione da film d’essai, d’autore, di nicchia; è, invece, chiaramente un film pensato per il grande pubblico, ma con un altrettanto chiaro intento sociale, raccontato con disarmante semplicità.

Grazie ragazzi è un film che, al netto di qualche semplificazione e di qualche cliché evitabile (tipo il pubblico di parenti e amici cafoni dei detenuti che entra mangiando e alzando la voce in teatro alla prima dello spettacolo), racconta bene uno spaccato di vita, della vita solita e di una vita alternativa, sospesa, all’interno del carcere italiano, e, in questo, pur, come già detto, con registro e tono differenti, si unisce al film di Di Costanzo e, in un certo qual modo e ancora prima, a quello di Alessio Cremonini, sebbene lui, con il suo Sulla mia pelle, nel 2018, si concentri sulla vicenda di un solo detenuto, Stefano Cucchi, e nel periodo di fermo, immediatamente precedente all’arresto e, quindi, alla reclusione.

Grazie ragazzi è un film che riempie il cuore, che emoziona, che regala più d’un sorriso, che ci fa riflettere su ciò che pensiamo di sapere su libertà e detenzione, e anche sull’importanza dell’arte.

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