Guerra e diritti fondamentali
16 Dicembre 2015Andrea Pubusa
Pubblichiamo la sintesi della relazione di Andrea Pubusa alla giornata conclusiva della quarta edizione del Mese dei Diritti Umani del 10 dicembre 2015.
C’è una precisa tendenza delle Costituzioni democratiche del secondo dopoguerra: ad estendere il catalogo dei diritti e a ricomprendervi tutte le persone. L’uomo in quanto tale senza alcuna distinzione. La Guerra è il fatto che nega al nemico qualsiasi diritto, primo fra tutti il diritto a vivere, oltre alle altre libertà. I trattati internazionali assicurano un trattamento umano ai prigionieri, che per il resto sono privati di ogni diritto. La Guerra è dunque il fatto che da sempre restringe al massimo i diritti.
Sorge spontaneo un quesito: può la guerra determinare la creazione dello “stato di eccezione”? E’ ammessa nel ns. ordinamento la sospensione dei diritti fondamentali?
Insomma può l’esecutivo assumere i “pieni poteri”, o detto in altri temini dichiarare loo “stato di necessità”, il “martial law”, gli “emergency powers” degli inglesi?
La Costituzione della Repubblica di Weimar dell’11. 8.1919, all’art. 48 lo prevedeva, assegnandolo al Presidente del Reich.: “Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali …”.
La Costituzione di Weimar com’è noto ha avuto grande influenza sui costituenti del secondo dopoguerra. Nel nostro Paese l’Assemblea Costituente ha discusso sulla questione, ci fu una proposta in questo senso, ma non fu mai posta in votazione. In Italia, dunque, non è possibile sospendere i diritti fondamentali. Secondo un eminente costituzionalista, Pizzorusso, “una dichiarazione di ‘stato d’assedio’ avente una portata del tipo di quelle che si ebbero durante la monarchia costituzionale o di quelle previste da ordinamenti di altri paesi non è ipotizzabile e che le situazioni che potrebbero giustificare provvedimenti siffatti debbono essere fronteggiate con provvedimenti ordinari, a cominciare dai decreti legge, ora disciplinati dall’art. 77 della Costituzione e dall’art. 15 della legge del 23 agosto 1988, n. 400, i quali non possono peraltro derogare alle norme costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali di libertà e la forma di governo attualmente vigente”. … E’ “comunque certa la competenza del Parlamento ad adottare ogni decisione definitiva in proposito (v. Pinna, 1988, pp. 203 ss.)”.
Comunque molti studiosi hanno messo in luce le controindicazioni più evidenti alla dichiarazione dello “stato di eccezione”. Fin dagli anni ’30 un autore come H. Tingesten, Les pleins pouvoirs., Paris, 1934, osservò che lo stato di eccezione finisce per sopprimere la democrazia. Dal canto suo, Carl J. Friedrich, Constituional governement and Democracy, Boston 1950 (ed. It. Neri Pozza) ha affermato che non c’è alcuna garanzia che i pieni poteri siano volti a restaurare la democrazia.
In realtà, come comprova la lotta al terrorismo in Italia, l’attacco alle libertà si combatte con un esercizio massimo delle libertà Negli anni ’70 la lotta al terrorismo nostrano è stata vinta con una ampia mobilitazione di massa a partire dalle fabbriche e dalle scuole, insieme ad una forte compatezza sul punto delle forze democratiche. Il contrario di quanto ha disposto Hollande in Francia nei giorni scorsi.
E cosa dice la Costituzione sulla guerra? C’è com’è noto l’art. 11 che ha una formula forte “l’Italia ripudia la guerra”. Come spiegò RUINI, Pres. Commissione dei 75, nella seduta del 27.3.1947, “ripudia” fu preferito a “rinuncia”, che presuppone la rinuncia ad un bene, ad un diritto, il diritto alla guerra, e a “condanna” che ha solo valore etico. “Ripudia” è più un termine energico ed implica sia la condanna che la rinuncia. Ruini sottolineò anche che l’Italia intendeva rifiutare la guerra “come strumento di offesa della libertà altrui”, della libertà degli altri popoli.
Ecco il punto se la guerra non è difensiva, si traduce immancabilmente in “strumento di offesa della libertà altrui”, perché importa una invasione dei territori altrui, un assoggettamento degli altri popoli. E ammessa dunque solo legittima difesa “solo per respingere un attacco altrui” (A. Cassese).
Cosa s’intende per guerra? Non solo la guerra in senso tecnico, formalmente dichiarata, ma “qualunque forma massiccia di violenza armata (che non sia usata per fini difensivi)”. Non è ammessa rappresaglia o la guerra difensiva preventiva. E’ vietato, tra l’altro “venire militarmente in aiuto ad un movimento di liberazione nazionale” (A. Cassese)
Come si vede, c’è un nesso fra i diritti fondamentali e il ripudio della guerra, ed è rinvenibile nel fatto che questa è uno “strumento di offesa della libertà altrui”. Ecco che vengono in risalto ancora una volta i diritti fondamentali che sono incomprimibili sempre ed in ogni caso e, dunque, stanno alla base del ripudio della guerra come uso della forza non giustificata da esigenze difensive. Difesa – si badi – proprio del nostro ordinamento costituzionale e delle libertà ch’esso riconosce e proclama.
Il ripudio della guerra comprta anche il ripudio dell’attività preparatoria o volta a favorire la guerra e la violenza armata, com’è la produzione di armi non difensive e la vendita di armi a paesi che fanno la guerra e violano le libertà dei propri e degli altri popoli. Non è vero che la produzione d’armi è ammessa perché rientra nella libertà d’impresa, come ha detto il nostro ministro della difesa. E’ vero che l’art. 41 della Costituzione afferma che “L’iniziativa economica privata è libera”. Ma soggiunge: “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Come si vede, la libertà e la dignità umana costituiscono argine invalicabile anche all’attività produttiva, e certo l’esportazione di bombe alle autocrazie arabe non va in questa direzione.
Sono bandite anche le guerre “per esportare la democrazia”. La seconda parte dell’art. 11 non è in contraddizione o una limitazione o un temperamento della prima, ma si fonda sugli stessi motivi posti a base del ripudio della guerra. “Affermare l’esigenza della cooperazione pacifica fra Stati e in particolare l’instaurazione di un assetto internazionale a carattere democratico – come afferma giustamente Antonio Cassese – è anch’essa espressione della proiezione sul piano dei rapporti interstatuali delle istanze del pacifismo, del divieto di operare in senso contrario ad esse, nella seconda proposizione sono poste in termini positivi, mediante l’enunciazione di linee di azione programmatica, volte a realizzare fattivamente questi postulati”.
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