Helmar Schenk, un sardo
1 Luglio 2012Ignazio Camarda
Helmar Schenk per mezzo secolo ha percorso la Sardegna in lungo e in largo, a piedi e con i mezzi pubblici. Per dire il coraggio della lentezza. Poiché i nostri mezzi pubblici hanno un orologio che spesso scandisce il tempo in modo non necessariamente allineato con Monte Mario e poiché la rete ferroviaria ha conservato quasi sempre le caratteristiche ottocentesche, a volte, sicuramente non faceva differenza rispetto all’andare a piedi.
Ma questo ha i suoi vantaggi. Quello che potrebbe sembrare tempo perso, per chi sa approfittare del tempo, consente non solo di guardare il paesaggio, ma di osservarlo con la possibilità di coglierne l’essenza come camminando a piedi. Il camminare con lentezza è la prima virtù del ricercatore ed Helmar sapeva regolare il suo passo lungo per osservare una macchia e l’avifauna che la popola, fermarsi per ore e giorni nascosto in un anfratto per studiare il comportamento dell’aquila reale, pazientare ai bordi di uno stagno per studiare come tante specie diverse di uccelli si dividono territorio e risorse nutrendosi a livelli trofici specifici, per immortalare in un canneto un’immagine del raro pollo sultano o semplicemente per ammirare in silenzio la bellezza del volo dei fenicotteri o il corteggiamento garrulo della gallina prataiola. Helmar, più di altri, e grazie alla rete di amici appassionati che aveva in ogni parte della Sardegna, ha saputo trasmettere interesse e passione, che ha tradotto in studi e progetti, diversi dei quali hanno visto la luce grazie a lui, anche se troppo spesso la nostra memoria è corta. Nel lavoro egli rifuggiva dalla grossolanità ed improvvisazione a cui abbiamo assistito con più esempi portati avanti con operazioni maldestre di reintroduzioni di avifauna. Metodo e scrupolo che, nella collaborazione che ho avuto in molte occasioni con lui, ho sempre apprezzato giovandomi delle sue conoscenze specifiche sia sulla fauna che sugli ecosistemi.
Cinquanta anni sono tanti per uno che lascia la propria terra e sceglie di vivere in un’altra realtà ambientale e culturale, ma di sicuro non ha dimenticato la sua terra, e di sicuro è stato un vero sardo. Qualche riflessione, in proposito, si può fare riguardo a quanti vengono in Sardegna, la capiscono, la amano e la proteggono e quanti arrivano speculano, stravolgono gli ecosistemi, e quando non c’è altro da rosicchiare vanno via lasciando la terra impregnata di veleni tra i rottami delle industrie abbandonate, il deserto come nelle tante cave abbandonate del tutto irrecuperabili all’ambiente naturale. O rispetto a quanti banalizzano dune, pinete e scogliere, macchie e graniti con costruzioni pseudo-mediterranee o peggio banalizzando il tutto con pseudo monumenti dell’antica Grecia o nuragici. Ma naturalmente in questa categoria di distruttori di Sardegna sono ampiamente rappresentati anche i sardi.
L’esempio dell’opera di Helmar Schenk è anche un invito a tutti affinché l’attenzione al bene più prezioso che, nel mondo di oggi, possiede l’Isola con la sua fauna, le sue piante endemiche e monumentali, le sue foreste, le sue coste, le dolci colline della Marmilla e del Barigadu, le sue aspre montagne, i fiumi e i suoi stagni. Ma oggi mala tempora currunt per l’ambiente, vittima sacrificale sull’altare dello sviluppo che non sviluppa e distrugge.
9 Luglio 2012 alle 14:23
Un caloroso ringraziamento per questo composito ricordo di un amico prezioso.
“Helmar Schenk, un sardo.”
Sono sicuro ch’egli avrebbe gradito e apprezzato questa “adozione” sul campo – un tacito onore ricevuto già prima dai troppo pocchi amici sinceri in Sardegna. Helmar era diverso, non tanto per la sua discendenza tedesca quanto per i suoi valori umani. Il suo lavoro era sempre indirizzato verso la soluzione di un problema ambientale e mai verso se stesso preoccupandosi non di autopromuoversi ma a capire e studiare l’intorno quale esigenza inscindibile dalla sua competenza scientifica. Un’assenza da questo momento in poi che la Sardegna può comprendere elencando i tanti suoi progetti polverizzati dalla grettezza di chi gli fu avverso. Ma al contrario di questi in tutti i quarant’anni in cui ho frequentato Helmar non l’ho mai sentito parlar male di altre persone, nemmeno delle persone che sono riuscite ad annientare in poco tempo il lavoro di anni. Rancore e ostilità non erano requisiti del suo carattere. Rispetto al “combattimento tra galli” perseguiva sempre la via della comprensione e dell’elevazione a beneficio di una maggiore coscienza ambientale.
Se ne sentirà tanto, ma tanto, la mancanza……