I bambini nella pandemia
1 Dicembre 2020[Amedeo Spagnuolo]
L’impatto che ha avuto il coronavirus sulle nostre vite è stato ed è, sicuramente, devastante.
Nelle società occidentali come la nostra, nelle quali siamo governati non da una visione politica di prospettiva, ma dall’economia capitalista, tra le altre cose, cattiva ed egoista, la preoccupazione maggiore che sembra assillare la nostra classe dirigente e i nostri politici, è la tutela della possibilità di continuare ad arricchire chi è già molto ricco e il terrore che il sistema in qualche modo si possa inceppare. Siamo ben consapevoli del fatto che, seppur si tratti di un sistema economico terribilmente cinico, a tante persone questo può importare veramente poco poiché ogni giorno devono fare i conti con i problemi della vita quotidiana, pagare le bollette, il mutuo, la scuola ai propri figli ecc. ecc. In questo articolo, infatti, non s’intende assolutamente tornare a discutere sul capitalismo selvaggio e sulla tesi piuttosto consistente che anche il coronavirus sia il prodotto di tale forma di capitalismo completamente sordo alle esigenze e al rispetto della natura, qui si vuole semplicemente mettere in risalto il dramma che sta vivendo una fondamentale porzione della nostra popolazione, quella dei bambini, ai quali questa inaspettata pandemia sta provocando forse i danni peggiori. Soffermiamoci un attimo sulle conseguenze psicologiche della pandemia che da ormai otto mesi ci sta devastando la vita. Gli studi più recenti parlano di risposte molto preoccupanti di tanti bambini che molto spesso derivano anche dal modo in cui reagiscono e stanno reagendo i loro genitori. È ovvio che un genitore molto ansioso e poco resiliente non può fare bene al proprio figlio, ma anche supponendo la presenza di supergenitori resistenti come l’acciaio è impossibile che ai bambini ai quali di punto in bianco si vieta la socializzazione non accadrà nulla. Uno dei primi effetti di questa tragica situazione sui bambini è la loro preoccupante regressione, è come se piano piano stessero perdendo tutto ciò che negli anni precovid avevano imparato e nel loro sviluppo psico – fisico stessero camminando all’indietro, senza rendersene conto, e da lì a qualche metro potrebbero rischiare di cadere nel baratro della povertà culturale che appunto, camminando all’indietro, risulta molto difficile da vedere e da evitare. Nell’era del covid, mi sta capitando di osservare con più attenzione come vivono i bambini (forse per sentirmi meno solo in questo periodo di autolockdown) e qual è l’aspetto dominante della loro vita ebbene, pur rendendomi conto della scarsa validità scientifica di un’osservazione rivolta a poche decine di bambini, sono rimasto impressionato dall’uniformità dei loro comportamenti e del loro modo di vivere. Certo l’entusiasmo per la vita, la curiosità e la meraviglia tipiche di quella fascia d’età le ho rilevate anche adesso, ciò che mi sembra essere il fatto nuovo presente nel vissuto di questi bambini accerchiati dalla pandemia è la facilità con la quale scivolano piuttosto velocemente in una dimensione oscura, preoccupata, in un mondo popolato da fantasmi che incrinano le loro certezze di bambini. È come se le ossessive e comprensibili paure e incertezze dei genitori stiano lentamente trasferendosi nella psiche di questi bambini che in maniera del tutto innaturale stanno introiettando una dimensione esistenziale che normalmente li avrebbe dovuti interessare da adulti e che invece li sta investendo ora andando a scontrarsi col meraviglioso mondo della gioiosa fantasia infantile e, in questo modo, rischiando di danneggiare quel mondo in maniera irreversibile e provocando in quelle giovani vite traumi dai quali sarà molto difficile uscire quando, in età adulta, indurranno in loro effetti molto deleteri sulla loro vita interiore e non solo. Tutto questo sta accadendo anche perché nel nostro paese, per troppi anni, la scuola è diventata una specie di zavorra dalla quale i nostri governanti hanno cercato in tutti i modi di liberarsi non riuscendo a capire che la civiltà di un popolo si misura proprio partendo dall’attenzione che esso rivolge al futuro dei suoi bambini e al luogo principale nel quale si formano, appunto la scuola. Per esplicitare meglio il concetto mi soffermerò ancora un po’ su questa affermazione. Senza voler andare troppo indietro nel tempo, diciamo dunque dai colpi di piccone che sono stati assestati alla scuola pubblica in Italia a partire almeno dall’inizio degli anni ’90, la scuola in Italia è stata individuata come il settore principale sul quale lo stato avrebbe potuto fare cassa e trovare quelle risorse economiche utili a soddisfare settori economici molto più potenti e influenti dell’istruzione pubblica. Negli altri paesi europei, invece, negli stessi anni, aumentavano gl’investimenti sul mondo scolastico per cui come conseguenza di quelle scellerate scelte fatte dai nostri governanti in anni non molto lontani, oggi la scuola italiana è del tutto impreparata ad affrontare la crisi sanitaria che ci ha travolto tant’è che l’Italia è uno dei pochi paesi in Europa che tiene ancora adesso molte scuole chiuse. In Sardegna, ad esempio, uno dei problemi che maggiormente sta condizionando la didattica in presenza sono i trasporti, problema che non esiste o è molto ridotto in altri paesi europei che, grazie ai considerevoli investimenti sulla scuola, sono riusciti a dotarsi di un sistema di trasporti specifico per la popolazione scolastica che non ha costretto i politici di quei paesi a chiudere per così tanto tempo la scuola. Intanto una volta che riusciremo, con linguaggio giornalistico, a vedere la luce in fondo al tunnel, dovremo, tra i tanti problemi di varia natura, affrontare anche quello del trauma di tanti nostri bambini che a causa del covid e del terrore da esso provocato, ma anche a causa dell’egoismo e del cinismo della nostra classe politica, sono stati costretti ad abbandonare troppo presto il fantastico mondo della curiosità, della meraviglia e del sogno per approdare, ancora impreparati, nel mondo cinico e nevrotico degli adulti.
Fonte immagine: La Pressa