Oltre i corporativismi
1 Luglio 2014Giuliana Mura
Salvemini sosteneva: ”Durante il mezzo secolo in cui ci fu in Italia un governo libero sorsero associazioni di ogni genere, circoli politici, religiosi, sportivi, ricreativi, educativi, filantropici, società di mutuo soccorso, cooperative di consumo, associazioni d’industriali, proprietari terrieri, tutte vivevano in libera concorrenza tra loro sotto l’egida delle più svariate etichette politiche e religiose. Oggi Mussolini e i fascisti possono dire, coma Sganarello, nous avons changé tout cela”. E’ fondamentale nel legame tra democrazia, pluralismo e partecipazione al cambiamento delle regole il superamento del “corporativismo” che nasconde cristallizzazioni di forme burocratiche desuete e di casta. All’epoca del Salvemini era fondamentale il ruolo nel riformismo dei nascenti partiti “popolari”, soffocati, se dissenzienti,dal nascente regime dittatoriale. Regime, ad onore del vero, diffuso ed avvallato dalle moltitudini. Niente si può se la “moltitudine ” più o meno consapevolmente, sapientemente guidata( e/o manovrata) non giustifica ed approva. Nell’attualità i c.d. “tradizionali partiti di massa”, in crisi di rappresentatività’, tra le tante cause, per incoerenza, inadeguatezza di strategia comune, se vogliono considerarsi “tali ovvero non una totalità di individui con interessi precipuamente individualistici di “corporazione” (consentitemi questa vetusta terminologia) ma soggetti collettivi e che si organizzano con ideologie e progetti,oggi più che mai, nelle specificità’ di competenza e nella generalità super partes degli obiettivi riformistici, devono e possono condividere, formare il programma con iniziative comuni ed intessendo vincoli reciproci – non solo prima ma soprattutto dopo il voto – tenendo conto e valorizzando il fenomeno dell’associazionismo delle categorie, ordini professionali e di varia natura e grado. Non solo elettori ma cittadini che decidono. Decidono perché in prima linea nell’affrontare quotidianamente le problematiche pertinenti la propria professione od esistenza, in caso di disoccupazione, fattispecie non rara ed eventuale.
Ritengo, non perché colpita da elevato grado di protagonismo ma per opinione comprovata, che il grado di maturità’ di una democrazia c.d. di “massa”si misuri nella civiltà’ seppur diversità di pensieri e nella proficuità, costruttività del dialogo su larga base:in primis per la tutela dei diritti dei soggetti “deboli” quale rimedio per il divario tra diseguaglianza sostanziale ed uguaglianza formale. Fu un principio di carattere liberale, prima che socialista e gramsciano.
Tanto premesso è perché ho di recente partecipato, quale ospite e socia “onoraria”, ad alcune assemblee e convegni organizzati dall’Avvocatura, che si definisca o meno di Base o con varie sigle, una vasta gamma , egualmente dignitosa preparata tenace. Mi perdonino gli addetti ai lavori se ho dimenticato involontariamente qualche logo ma per tutte queste rappresentanze, anche non condividendo sempre e totalmente, la “politica legislativa”, nutro stima e rispetto per l’impegno e la partecipazione congiunta alla costruzione di una nuovo “edificio istituzionale” . Quale tratto comune contraddistingue, pur nella diversità statutaria e di natura, tali organismi? La volontà manifestata per promuovere, oltre il sacrosanto esercizio di difesa, oltre il diritto e dovere dell’art. 24 della Costituzione, la centralità del “soggetto debole”. Con la partecipazione , tramite un approccio multidisciplinare, ad un confronto, nel rispetto dei propri ruoli, con tutte le professionalità, allo studio, ricerca, formazione, divulgazione del diritto(cui corrisponde sempre un dovere)per creare nel cittadino, non solo “cliente” , il senso di correttezza, consapevolezza e responsabilità reciproca. A tal fine su tutto il territorio ed a vari livelli vengono svolte, tra l’altro, attività di promozione per l’instaurazione di rapporti di collaborazione con la magistratura, servizi sociali, insegnanti, comunità, varie istituzioni, enti aventi finalità analoghe e complementari. La priorità nelle analogie è partecipare attivamente al superamento delle barriere di “casta” che disuniscono e che in ogni categoria tendono alla conservazione di privilegi – per pochi – e si oppongono al cambiamento – per molti – di quelle regole rivelatesi oramai inadeguate. Leggasi non più idonee, per dirne una, a rispondere ad una necessità di giustizia efficiente, celere, amministrata in nome del popolo tutto. Popolo cui non solo la magistratura deriva la “legittimazione” avendo il nostro ordinamento da un pezzo superato la “discendenza” di carattere nobiliare o divina. Anche questo è scritto nella nostra Carta fondamentale, anche se avrei voluto inventarlo io……
Le predette associazioni crescono, si confrontano attraverso articolazioni territoriali e divengono nella realtà sociale concretamente rappresentative in un cambiamento prima che tecnico giuridico “culturale”. Tanto e’ vero quest’assunto che mi preme ricordare, mi si consenta un momento personale ma esemplare, come venni in contatto, quale membro del gruppo giuridico “Bobbio” per la divulgazione delle norme di convivenza sociale e della Costituzione, con una Avvocatessa con quale divenimmo amiche e compagne solidali nell’avventura della legalità. Raimonda Fois, prematuramente scomparsa nel giugno 2013, ferma e sensibile sostenitrice del rispetto e tutela del soggetto debole tra i deboli il “Minore”, da Lei considerato e ritenuto come “persona a tutto tondo e soggetto di diritto” seppur infante e di non fortunata nascita. Mi citò, appena La conobbi il film “I 400 colpi” – Les Quatre Cents Coups diretto da Truffaut nel 1959, al suo primo e autobiografico cortometraggio, incentrato sui bisogni affettivi e inquietudini adolescenziali di Antoine Doinel, alter ego del regista. Mi piacque la citazione e allora Le parlai de “Gli anni in tasca” – L’Argent de poche, movie di Truffaut anno1967. Nelle sequenze del film la routine della lezione scolastica, con il compito di mostrare la mitezza dello stile pedagogico del maestro e l’apparente “normalità’” nella vita del paese, che vengono scalfite dal dramma, evitato miracolosamente, della caduta dal nono piano del suo appartamento del piccolo Gregory, lasciato solo dalla mamma, affettuosa ma annoiata, distratta, uscita nel momento per cercare il portafoglio perduto. Nel finale si rende conto dei maltrattamenti invece subiti da Julien e dalla sua solitudine che porterà, durante una visita medica scolastica alla scoperta degli abusi subiti dal ragazzino.
Truffaut, tramite il discorso conclusivo per bocca del maestro, arringa sui compiti d’integrazione sociale della scuola, sui diritti dell’infanzia e fornisce i segni di un rapporto dissociato tra giovani e adulti di reciproca incomprensione. Dove la famiglia se non aiutata può fallire ma l’essere umano è in grado di trovare nutrimento sentimentale.