Costi quel che costi, è democrazia
16 Novembre 2007Francesco Cocco
La battaglia referendaria del 21 ottobre a favore del Si è stata condotta con un’evidente mistificazione della realtà. Gli aspetti negativi sono stati presentati come momenti virtuosi della legge. Così il sostanziale aumento del numero dei componenti la classe politica è stato spacciato come diminuzione della stessa, la disciplina del conflitto d’interessi come una positiva novità della Sardegna nel complessivo ordinamento giuridico italiano, la limitazione dei diritti costituzionali come un allargamento delle possibilità d’intervento referendario dei cittadini. A mo’ d’esempio prendiamo il conflitto d’interessi. Non è affatto vero che la legge statutaria sia una novità nella disciplina di tale conflitto. E’ vigente la cosiddetta “legge Frattini”, una legge berlusconiana del 2004. Quando venne approvata, fu unanime il giudizio negativo espresso da tutto l’arco delle forze di sinistra. Un tale giudizio negativo era ampiamente meritato, anche se a dire il vero la legge Frattini non arriva all’impudicizia del conflitto d’interessi contenuto nella statutaria. Non si capisce proprio perché quel che non andava bene se fatto a Roma, diventi – anche per certa sinistra – un fatto progressivo quando lo si disciplina nell’aula del Consiglio regionale. La cosa ha naturalmente irritato la coscienza democratica di tanti comunisti, socialisti, sardisti che si sono coerentemente ed attivamente schierati nel fronte del No. Ma il rovesciamento della verità ha raggiunto vertici inusitati dopo il 21 ottobre. Il costo del referendum è diventato per certi operatori dell’informazione (meglio sarebbe dire disinformazione) una grave colpa da parte di chi ha voluto il referendum e non già di chi, con evidente arroganza verso il popolo, pretendeva che norme di discutibile contenuto venissero accettate passivamente dai sardi. Per altro verso la solfa non è nuova: l’accusa dell’alto costo della democrazia ha radici antiche ed è stata sempre invocata da chi, più o meno consapevolmente, mirava ad indebolirla. Questo non significa sostenere che lo strumento del referendum debba essere usato con leggerezza. Ma usarlo quando sono in ballo norme che disciplinano l’assetto istituzionale di una comunità è certamente l’uso migliore che è dato farne. Oltretutto nel nostro caso, pur in tempi ristretti, è stato possibile convocare centinaia e centinaia di assemblee, si è discusso di temi importanti, si è attivata una mobilitazione che ha assunto i caratteri di una grande campagna di educazione democratica. Per questi motivi, gli organi istituzionali avrebbero dovuto favorire al massimo una tale campagna. Ecco perché meraviglia che non si sappia, o non si voglia, più distinguere tra costo della democrazia e costo dei privilegi. E’ assurdo che chi ha combattuto per la democrazia venga accusato di scarsa attenzione al danaro pubblico, mentre chi ha agito per blindare i privilegi della casta sarebbe un difensore dell’interesse della comunità, un alfiere dello spirito pubblico. Siamo alla falsificazione della realtà, al rovesciamento d’ogni logica, all’offesa del senso comune. E’ importante, anche alla luce di questi fatti, che i democratici che si sono impegnati in questa campagna di democrazia e libertà, lottando contro i nuovi baroni dell’autonomia, mantengano viva la loro mobilitazione.