I giovani i vecchi il Manifesto

31 Dicembre 2010

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Antonello Murgia

L’attuale generazione dei ventenni ha aspettative di qualità della vita peggiori delle generazioni precedenti e la cosa è fonte di frustrazioni e anche di aggressività. Non mi preoccupa perciò se, come accaduto a Cagliari in occasione della serata pro Manifesto un giovane espone la sua critica in modo duro e poco dialettico; la prendo come uno sfogo, ma anche come una richiesta d’aiuto, poco garbata ma da non sottovalutare. Perché il suo desiderio è anche il mio: un giornale che sappia parlare ai giovani e che sappia essere strumento di confronto per un’azione politica democratica che abbia speranza di diventare maggioritaria. E se non sa parlare ai giovani, ha poco senso che esista.
Ci sentiamo offesi quando ci dicono che non abbiamo futuro, che siamo quasi morti; noi abbiamo pagato di persona la nostra coerenza, abbiamo preferito avere di meno ma non scendere a patti col diavolo, abbiamo cercato di essere coerenti con le nostre idee.
Eppure, se dal nostro particolare andiamo al generale, non possiamo negare che oggi la sinistra vive una crisi grave e ha difficoltà non solo ad assumere un ruolo egemone, ma anche semplicemente ad esprimere una proposta coerente di trasformazione progressista della società.
Forse siamo anche noi espressione di certa cultura cattolica: non abbiamo peccato, di cosa ci si può accusare? Ma il problema non è se abbiamo peccato; il problema è se riusciamo a mettere in piedi un’alternativa credibile alla scellerata gestione del potere attuale. Questo interessava sicuramente al giovane e a noi vecchi, ma ci siamo arroccati invece di provare a discuterne. Io credo che la nostra generazione abbia goduto di trattamenti che non avevano la copertura finanziaria e ci sono stati garantiti con l’indebitamento dello Stato e contando sulla crescita illimitata del numero degli occupati/contribuenti (riscatti “generosi” degli anni di studio, possibilità di pensionamento dopo 16-24-30 anni di lavoro, etc.). Per non parlare del mondo del lavoro autonomo e della sua gigantesca evasione fiscale.
I giovani, che oggi hanno davanti a loro una prospettiva di disoccupazione, sottocupazione, precariato a lunga scadenza e pensione incerta o al massimo dimezzata (a parità di condizioni) rispetto alla nostra, vivono tale condizione con rabbia ed anche con risentimento nei nostri confronti. Se poi consideriamo la classe dirigente dei partiti della sinistra, possiamo notare una scarsa disponibilità a passare il testimone, che si è concretizzata in una serie di atti (numero di legislature possibili per ciascun eletto, meccanismi di accesso alle cariche di partito, adesione di fatto al “porcellum” in quanto fenomenale strumento di controllo del partito, candidatura di inquisiti/condannati, etc.) che rendono i giovani diffidenti nei confronti delle generazioni precedenti.
E il sindacato? Credo che la CGIL abbia fatto meglio di altri e che abbia mostrato sensibilità, ad esempio, nell’organizzare la manifestazione nazionale del 27 novembre proprio sul tema dei giovani e del precariato. Però non possiamo far finta di non vedere quante volte in questi anni il sindacato ha firmato accordi che sacrificavano i giovani sull’altare degli anziani: ne ha parlato fra gli altri Marco Simoni in un articolo apparso su L’Unità il 30 novembre. Dunque, i giovani sono arrabbiati e non si fidano; e hanno ragione di non fidarsi, perché le generazioni precedenti hanno spesso fatto dichiarazioni a loro favore, ma altrettanto spesso hanno preso decisioni contro di loro (non solo a destra, ma anche a sinistra).
La critica del giovane all’Adriano io l’ho letta così; magari un po’ ingenua e ingenerosa nei confronti dei presenti, ma testimonianza di una frattura generazionale vera che occorre riparare se si vuole avere la speranza di un’uscita da sinistra dalla crisi.
E allora che fare? Occorre dare prova di una solidarietà reale nei confronti dei giovani, aiutarli a combattere il precariato che ruba loro il futuro, dare loro (e a tutti) il potere di scegliere i candidati nelle elezioni, stabilire regole per una rappresentanza democratica (nel sindacato, per es. si discute da qualche anno di una sorta di “quota verde” cioè l’attribuzione di una quota minima nei direttivi e nelle segreterie ai giovani).

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