I manganelli, l’inquisizione e la guerra civile
1 Dicembre 2009M. L.
La disoccupazione si contrasta anche con i manganelli. Questa è la strada scelta dal governo nei confronti dei lavoratori sardi. Il Ministro degli interni non è più Scelba ma Maroni ne rispetta l’ispirazione e ne riproduce i comportamenti: così, secondo i suoi intendimenti, la protesta di chi perde il lavoro deve essere repressa innanzitutto con le dimostrazioni di forza di chi detiene il potere, non deve estendersi e non deve agire da dispositivo capace di provocare nuove contestazioni. Per due volte in pochi giorni le forze dell’ordine hanno affrontato in tenuta antisommossa i lavoratori dell’Alcoa e li hanno presi a manganellate. Eppure gli operai, giunti nella capitale dopo una notte di viaggio, intendevano chiedere al governo il rispetto delle promesse fatte da Berlusconi durante la campagna elettorale. Ma le manganellate non hanno intimidito i lavoratori e la loro mobilitazione ha ottenuto un primo risultato: sono state ritirate le procedure della cassa integrazione e si è scongiurato il fermo della produzione. Al tempo stesso il governo e i rappresentanti della multinazionale sono stati costretti ad assumere l’impegno per un nuovo incontro da effettuare il prossimo 9 dicembre. Al centro dello scontro rimane il prezzo dell’energia: perché l’Alcoa resti in Italia è necessario che i suoi costi vengano ridotti. Tutti, dal governo all’Enel all’Alcoa, hanno eluso sinora qualsiasi decisione creando un clima di incertezza e precarietà; è pertanto doveroso che il governo assuma impegni precisi e intervenga sui gruppi Enel e E.on,. Il problema non è dunque risolto, troppe volte gli aggiornamenti delle riunioni sono stati usati come pretesti per rinviare le decisioni di chiusura degli stabilimenti. Sono queste le ragioni per cui i lavoratori di Portovesme, nonostante il ritiro delle procedure della cassa integrazione, continuano l’occupazione della fabbrica. Chiedono la garanzia che le attività produttive non vengano interrotte.
Il ministro Sacconi critica spesso la CGIL e la considera legata al passato, a metodi di lotta che non sono consoni all’organizzazione del lavoro così come si è configurata nella fase del capitalismo moderno. Forse il ministro non esprime per intero le sue opinioni perchè in più di una occasione ha mostrato insofferenza per le lotte dei lavoratori e soprattutto verso il sindacato che maggiormente ne rappresenta gli interessi e contrasta le sue posizioni. Non escludiamo che fra le sue aspettative ci sia quella di una crisi definitiva della CGIL, così potrà dialogare di modernità con interlocutori più disponibili come CISL e UIL. Però è curiosa la sua critica agli avvenimenti del ventesimo secolo e l’esaltazione della modernità intesa come superamento delle pratiche e delle conquiste che il mondo del lavoro ha ottenuto nel novecento. È curiosa perché nel suo concetto di modernità è presente l’accettazione di una procedura arbitraria lesiva dei diritti e della dignità della donna, procedura che risale ad un’epoca ben precedente il ventesimo secolo essendo propria dell’Inquisizione. Qual è lo spirito con cui è stata bloccata, con Sacconi uno dei protagonisti, l’immissione in commercio della pillola Ru486, che alleggerisce l’effetto dell’aborto chirurgico? Il ministro si era già distinto in operazioni analoghe quando aveva cercato di opporsi alla sospensione dell’alimentazione forzata nel caso Englaro. Lo stop che è stato imposto è dunque un atto intimidatorio, un pretesto per fermare la circolazione della pillola e imporre alla donna l’obbligo a sottoporsi a procedure sgradevoli e al no degli obiettori. Non un’iniziativa di modernità ma un tentativo di ridimensionare, attraverso il potere dello stato, i diritti della persona.
Il Presidente del Consiglio ha parlato di rischi di guerra civile attribuendo le responsabilità di questo evento alle provocazioni di alcuni magistrati, politicizzati e comunisti. Le esternazioni del Premier non sono una novità, i suoi sensi di colpa sono molteplici e cerca di anticipare gli interventi della magistratura manifestando vittimismo e aggressività. La sua ultima dichiarazione non è comunque cosa da poco. Sono evidenti il tentativo intimidatorio condotto contro le istituzioni e il convincimento che chi vince le elezioni sia autorizzato non solo a governare ma anche ad esercitare il potere sulla magistratura. La gravità della dichiarazione del Premier non è sfuggita all’attenzione del Presidente della Repubblica il quale ha sentito il dovere di inviare un messaggio al paese, soprattutto ai rappresentanti delle istituzioni perché non alimentino tensioni. Spesso il Presidente della Repubblica viene criticato perché non assume una posizione netta nei confronti del governo; talvolta chi fa questa critica attribuisce al Presidente il ruolo di leader dell’opposizione. Così non è. In questa circostanza riteniamo però che l’intervento di Napolitano non sia stato equilibrato. La dichiarazione di Berlusconi andava ripresa in modo inequivocabile e solo così l’invito ad una maggiore sobrietà rivolto alla magistratura sarebbe stato più convincente. In tempi non lontanissimi, in situazioni analoghe, il Pci invitava alla vigilanza. Non era mai chiaro in che cosa consistesse la vigilanza. Ma se attualizziamo quell’invito potremmo dire senza essere fraintesi che occorre intensificare il nostro impegno per far valere la democrazia e i diritti delle persone.