I nuovi reati ambientali ed i 100 passi di Impastato
16 Marzo 2015Giuliana Mura
“Cento passi ci sono da casa nostra”. I Modena City R. gli dedicarono il pezzo che Tullio Giordana portò in pellicola nelle sale cinematografiche”. Nel 1978 – da defunto- fu eletto consigliere comunale, un voto alla memoria come gli attivisti ingombranti soli in vita ma accompagnati dalle folle in feretro quando non sono più. Il nesso tra la storia di Peppino Impastato e quella attuale mi induce a considerare l’introduzione dei quattro reati ambientali nel codice penale un considerevole punto di arrivo e partenza. Il disegno di legge n.1345 il 4 marzo è stato approvato dal Senato e dopo aver subito modifiche a Palazzo Madama torna all’esame della Camera per la terza lettura. Concordo con Andrea Orlando sul fatto che l’approvazione del ddl “rappresenta una risposta alle molte ferite del Paese”. A condizione che costituisca un incipit di un tragitto nella modifica delle mentalità legislative correlate ad aggravamenti in reati quali la corruzione o falsi in bilancio o in istituti come le prescrizioni. Che sottendono responsabilità politiche prima che giuridiche. La vedo dura con questa classe politica preesistente e resistente sia ai reati ambientali che a Impastato. L’introduzione ha la sua importanza perché a tutt’oggi non si rinviene nella ricerca delle norme da applicare un corpo unico alla voce “A” come “Ambiente”. Bisogna addentrarsi nei titoli del codice penale che disciplinano, per citare alcune ipotesi, i delitti contro la pubblica incolumità, di comune pericolo mediante violenza (quali strage o incendio ) o colposi di danno, altrimenti si obbliga alla ricerca con indice cronologico anziché alfabetico- tipologico. Esempio: anno 2010 A come Amianto A come Atmosferico Inquinamento A come Antimafia prevenzione misure di con richiamo in nota ad A come Appalti pubblici ed E come Edilizia e U come Urbanistica. Comprendete se tolto il muso dai codici continuo a viaggiare con crisi di identità mentre al bar sorseggio un caffè all’amianto o mangio una triglia alla diossina in ristorante. Il problema nei riti è individuare e far rientrare i fatti concreti negli elementi oggettivi di reato (azioni ed omissioni) soggettivi ( dolo colpa) e nessi di casualità con l’evento. In tale prospettiva il ddl rende le fattispecie generali ed astratte di “raccoglimento” più definibili. Andiamo in sintesi ad individuare le ipotesi al vaglio della Camera. Disastro ambientale: prevede la reclusione per coloro che alterano gravemente o irreversibilmente l’ecosistema o compromettono la pubblica incolumità. Inquinamento ambientale: statuisce la reclusione per chi deteriora in modo rilevante la biodiversità (anche agraria) o l’ecosistema o lo stato del suolo, delle acque o dell’aria. Se non vi è dolo ma colpa, le pene sono diminuite e scattano invece aumenti di pene se fatti commessi in aree vincolate o a danno di specie protette. Traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività:colpisce con la pena del carcere chi commercia e trasporta materiale radioattivo o chi se ne disfa abusivamente. Impedimento di controllo: rischia la reclusione chi nega o ostacola l’accesso o intralcia i controlli ambientali. Sono contemplate: l’aggravante eco mafiosa – sconti di pena nel caso di ravvedimento operoso – raddoppio delle prescrizioni per la specificità dei delitti ambientali – obbligo di confisca dei beni come prodotto o profitto del reato – ripristino dello stato dei luoghi a carico del condannato. In assenza di danno o pericolo per le ipotesi contravvenzionali si ricorrerà alla c.d. “giustizia riparativa”. Per chi afferma come alcune associazioni ambientaliste che il ddl n.1345 è peggiorativo rispondo che l’Italia è stata diverse volte richiamata dalla UE per una riforma non adeguata ed unitaria. Alcuni fatti di cronaca – tra tutti i processi Ilva ed Eternit – testimoniano la carenza, permanendo il giusto principio di irretroattività che garantisce la certezza del diritto e del dovere (tralasciamo i procedimenti in corso in Sardegna violata da Nord a Sud). Nel caso Ilva i magistrati in mancanza della fattispecie di disastro ambientale hanno proceduto in base al reato di “Crollo di costruzioni” e “Getto pericoloso di cose”, supplite con analogia di carattere giurisprudenziale per evitare la impunibilità di condotte gravissime. Nel caso Eternit la prescrizione ha prevalso rispetto alla gravità dei fatti ed offese alle vittime. Sfatiamo il mito dell’Italia ultra garantista che protegge, secondo dichiarazioni leghiste destra forziste e di più “ solo i delinquenti e extracomunitari che rubano e violentano e meritano la pena di morte”. Quando si tratta di “vil danaro” e “poteri forti” la bilancia pende prevalentemente da una parte. Per l’appunto il disegno di legge prevede un riequilibrio con limiti prescrittivi più lunghi ed una legge dai contorni definiti ed applicabili; credetemi, è uno strumento più civile ed efficace delle pene di morte che già le mafie utilizzano da secula seculorum. Non c’era bisogno dei leghisti e governi meta centristi, bastava guardare “Salvatore Giuliano” a Portella della Ginestra di Rosi o farsi un giretto vacanza al tritolo con Falcone e la scorta verso Capaci il 23 maggio 1992. Quando si dice l’imbarazzo della scelta. Permettete che dopo lustri di navi di veleni, inquinamenti di mari e fiumi e cave abusive di scorie, morti prenatali per malattie comuni diffuse nel territorio (il nord Sardegna ha un triste primato) lutti vari connotati da inerzia di “Stato” l’introduzione dei delitti contro l’ambiente è urgente ed in ritardo. Altrimenti a chi “fa impresa” è tacitamente consentito di scaricare sull’ambiente – che per generazioni rimarrà insalubre – i costi di produzione ed incentivare l’economia di sfruttamento controllato dalle mafie e “cupole e cupolette” della finanza e lavoro in nero. La Carta vede tra le tutele fondamentali gli art. 9 e 32. Peppino Impastato citava l’ incompiuta Costituzione quando dalla radio ridicolizzava Badalamenti spiegando come per una strada che, putacaso, poteva essere spianata con facilità si traforavano invece monti colline e terre dei contadini dignitosi non asserviti ai latifondisti. Nelle lacune e indefinitezze delle leggi, nelle solitarie paure dei fratelli ed arroganza del regime di sempreverde violenza padronale. Pro faeddare cumente manigo, proitte/perché: ritornando a Peppino, del quale ospitammo il fratello Giovanni insieme ai ragazzi siculi di Libera ed ai sindaci della Sardegna che subiscono attentati ed ai lavoratori disoccupati per scelte politiche sbagliate o giacché non raccomandati “ a cento passi vivi nella stessa strada bevi nello stesso caffè alla fine ti sembrano come te” è ’ vero, deabberu este “ se la mafia è una montagna di merda” il silenzio connivente e compiacente pure.
16 Marzo 2015 alle 21:56
…e gai est.