Politica, attenta al territorio!
16 Maggio 2007di Sandro Roggio
E’ lungo l’elenco delle vertenze, nel territorio del Paese, che oppongono interessi locali a convenienze più generali. Tanto ricorrenti che appare singolare che non si provi a parlarne prima, per evitare la grande confusione che regna in estemporanei dibattiti ogni volta che qua o là scoppia il caso. Le sinistre radicali non hanno avuto dubbi e si sono schierate dalla parte delle comunità locali minacciate da una malintesa idea del progresso. Ma non mi pare che ci sia stata tra le forze politiche un’attenzione costante su questi temi. E’ mancata la determinazione ad esserci nel momento delle scelte, quando servirebbe che la politica facesse fino in fondo il suo mestiere, per non dire quindi della partecipazione solo teorizzata. In genere non c’è la fase del confronto sulle decisioni a monte, quelle che produrranno prima o poi gli esiti in questo o in quel luogo. Un atteggiamento che muta quando un gruppo locale prende coscienza e si rivolta con clamore.
Forse per questa intermittenza nell’azione, il partito dei Verdi conta su un’ adesione esigua e gli esponenti che si richiamano a temi ambientali nelle altre formazioni sono scarsamente influenti, contano nulla nelle platee congressuali.
Di valori ambientali, di temi urbanistici si discute troppo poco in proporzione al rilievo che nel Paese hanno paesaggi naturali e urbani e beni storico-artistici. Non suscita apprensioni nella politica che il sistema territoriale, su cui si fonda buona parte della nostra ricchezza, sia ampiamente compromesso da incuria, favori alle rendite, abusi. Questi temi sono sempre stati (e sono) in un angolo dei programmi del centrosinistra, ridotti a pochi enunciati con molte ambiguità. C’è confusione. Potrà accadere ancora che brutti provvedimenti presi al centro vengano revocati, o solo mitigati, per sollevazioni popolari. Ma sta anche accadendo che esigenze di rigorosa tutela poste, ad esempio, dal governo regionale sardo, trovino all’opposizione sindaci intenzionati a cedere alle pressioni di costruttori di case in riva al mare. I casi controversi sono destinati ad ampliarsi – sempre di più in assenza della politica come nel caso del Piano paesaggistico sardo – e una riflessione nel merito non può essere rinviata. La stessa assunzione di Soru che allunga lo sguardo oltre le consuete mediazioni della politica (senza Soru avremmo il Ppr?) merita un dibattito meno reticente.
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Colpisce il modo occasionale con cui nei dibattiti televisivi si trattano questi argomenti, salvo lamentare la bruttezza delle città costruite in questi decenni. Gli organi d’informazione dedicano grande attenzione alle manovre di ogni legge finanziaria. Si riflette continuamente sulle scelte della sanità, sulla famiglia. Ma di periferie urbane si discute solo in occasione delle emergenze, quando le banlieus si rivoltano. Il paesaggio fa notizia solo quando si scopre un ecomostro. L’economia fa girare il mondo, le scelte economiche possono produrre danni molto gravi (i ricchi più ricchi, i poveri più poveri), in qualche misura reversibili (lasciando strascichi seri, si capisce). I provvedimenti sbagliati che si riflettono nella forma del territorio, sono più resistenti e possono fare molto male per generazioni ai ceti più deboli.
C’è l’aspetto che riguarda l’intreccio fra transazioni immobiliari (l’urbanistica c’entra qualcosa, mi pare) e i patrimoni che vengono accumulati dai palazzinari e giocati nella roulette della finanza creativa. Non si sottolinea che le fortune di cui si è parlato per mesi, per come è emerso da opa, scalate, ecc., hanno spesso un’origine nel mercato edilizio (lo stesso Berlusconi nasce come imprenditore edile nella sua Milano ed è nominato cavaliere da Giovanni Leone per l’abilità nel commercio di appartamenti). Le rendite che hanno consentito le cordate degli imbroglioni di questo decennio sono tutte prodotte da investimenti nell’edilizia (Ricucci sottoscrive il primo contratto di una lunga catena grazie a una variante personalizzata al piano regolatore del suo paese). La domanda che occorre riproporre, a partire da questi fatti, è se nella pianificazione urbanistica i governi locali, anche quelli progressisti, siano stati attenti a non cedere, oltre la soglia raccomandabile, alle pressioni di pochi nel nome della modernizzazione. La domanda non è nuova e conosco la risposta, grosso modo. Ma può essere che nel frattempo le cose siano peggiorate, proprio in linea con l’idea di mediare al ribasso su tutto?
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Veniamo infine alla superiorità morale della sinistra (su cui ogni tanto sono avanzate riserve), con riguardo alle scelte urbanistiche. Chi tra noi decideva di stare da questa parte – dopo il ’68 – anche per occuparsi di queste cose, immaginava che il Progetto potesse aiutare i gruppi sociali più sfortunati a vivere meglio. E abbiamo auspicato leggi e scelte per governare bene il territorio, e qualcosa è pure andata per il verso giusto nei pressi di Bologna. Magari è capitato che qualche piano di qualche città guidata dalla sinistra avesse qualche difetto (sovrabbondanza di compromessi verso i costruttori: niente di rilevante sul piano penale), e non sono mancate le piroette per contrordini venuti da Roma. C’è poi l’epoca del craxismo, quando si chiese che i vincoli morali fossero recisi di netto per andare spediti verso la emancipazione e la ricchezza, con spregiudicatezza e con ripercussioni negli atti amministrativi (quelli urbanistici si prestano). Il messaggio è penetrato, disorientando pure quelli orgogliosi della diversità di sinistra. Nonostante il mito Berlinguer la cui intransigenza (il richiamo all’austerità fu associato all’urbanistica nei titoli di qualche libro) era apparsa eccessiva pure nel Pci. Le cose sono andate come sappiamo e oggi la nascita del Partito Democratico fa riflettere, e si capisce che occorre fare qualcosa; perché abbiamo – ammettiamolo – qualche pregiudizio su linee che saranno verosimilmente accomodanti proprio su questi temi.
Non serve richiamare i vecchi principi cari alla sinistra, o scomodare Gramsci per dire che è bene combatterli gli affari che fanno più ricchi i ricchi. L’orizzonte è interessante e possiamo provare a fare qualche passo in avanti, magari fosse con la sinistra unita. Ma se non riusciamo subito a volare ( “nel cielo infinito” come cantava Modugno) possiamo decidere di organizzarci con chi ci sta e impegnarci con i piedi in terra, per smascherare evidenti incertezze e le ambiguità che sul governo del territorio sono davvero tante.
14 Settembre 2007 alle 22:17
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