I perché del boicottaggio alla Mekorot
16 Marzo 2016Irene Masala
Il 21 febbraio la MM Accademy (Metropolitana Milanese), azienda comunale responsabile degli acquedotti di Milano, ha firmato un accordo con la Mekorot, società idrica israeliana. La collaborazione, secondo quanto scritto nel comunicato stampa, dovrebbe prevedere un “supporto reciproco per attività di sviluppo, sperimentazione e marketing di tecnologie del settore idrico di interesse comune, al fine di sfruttare i vantaggi competitivi delle singole parti e di promuovere uno sviluppo efficiente ed economico di entrambe le organizzazioni”. Tra gli obiettivi dell’intesa anche quello di rafforzare le reciproche competenze grazie allo scambio di know-how e stage presso l’azienda partner. L’accordo internazionale tra l’azienda italiana e quella israeliana è diventato, però, immediatamente oggetto di una campagna di boicottaggio internazionale per la violazione dei diritti umani.
Il Comitato milanese acqua pubblica ha indetto una petizione per chiedere al comune di Milano di non sottoscrivere l’accordo. “Il sindaco, la Giunta e il Consiglio comunale, sono state messe a conoscenza di questo accordo? Non si tratta di un accordo di poco conto: è stipulato da una azienda di proprietà del Comune di Milano ed è il Comune che dovrebbe dettarne le linee guida.
Se ne erano a conoscenza, è molto inquietante che nessuno sia intervenuto per bloccarlo, perché stiamo parlando di Acqua e di Diritti Umani. Mekorot è una azienda che calpesta sistematicamente i diritti umani in Palestina, e che per questo è stata condannata a livello internazionale”, questi i quesiti e le questioni aperte su cui si concentra la petizione, che ha già raggiunto le 1300 firme su un totale di 1500.
Immediata anche la reazione del sindaco Giuliano Pisapia, che prende le distanze dall’accaduto: “Non sono stato messo a conoscenza, direttamente o indirettamente, dell’accordo tra Mm Academy e la società Mekorot”, prendendo così le distanze dall’operazione. L’azienda israeliana è da tempo bersaglio delle campagne del BDS, movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni nei confronti di Israele: nel 2013 la Vitens, prima società olandese di acqua potabile, ha deciso di rescindere il contratto con l’azienda israeliana e nel 2014 anche l’Acea, azienda che gestisce le risorse idriche della capitale, era stata oggetto di polemiche per la stessa ragione della Metropolitana Milano.
La Mekorot, fondata nel 1937, fornisce il 90% dell’acqua potabile israeliana. Dal 1967 ha iniziato un’opera di collegamento idrico tra gli insediamenti e le basi militari presenti nei Territori Palestinesi Occupati con Israele. Nel 1982 ha reso proprie le infrastrutture idriche della Cisgiordania, precedentemente controllate dall’amministrazione militare israeliana e, infine, si è vista riconoscere come unico ente di gestione delle risorse idriche dei territori occupati proprio con gli accordi di Oslo, nel 1993. Secondo i dati raccolti in una relazione della Banca mondiale, nell’anno in cui furono firmati gli accordi di Oslo, i palestinesi usufruivano di 118 millimetri cubi d’acqua all’anno, proveniente dai bacini della Cisgiordania; lo stesso valore nel 2007 si è ridotto a 113 millimetri cubi, nonostante ci sia stato un contemporaneo aumento della popolazione del 50%.
Importante considerare che dopo la guerra dei sei giorni del 1967, l’acqua venne dichiarata da Israele come risorsa strategica militare e vennero istituite una serie di ordinanze per la concessione delle licenze d’uso allo scopo di: impedire lo scavo di nuovi pozzi senza previa autorizzazione dell’amministrazione militare, vietare il pompaggio d’acqua dalla dorsale montuosa, principale risorsa idrica della Cisgiordania, e il ripristino di pozzi esistenti se in prossimità di quelli israeliani. La Mekorot non ha fatto altro che istituzionalizzare queste pratiche discriminatorie sviluppando una rete di distribuzione idrica volta al profitto quasi esclusivo delle colonie, abbandonando di fatto i sistemi idrici municipalizzati palestinesi. Le reti idriche sono spesso sotto il controllo diretto delle colonie, che possono bloccare i rifornimenti a loro discrezione.
Attualmente vi sono almeno 115 insediamenti illegali israeliani concentrati su zone acquifere altamente sensibili, con una crescita demografica di quattro volte superiore a quella di Israele.
Foto di Francesca Corona