I sardi non sono immuni al razzismo
16 Ottobre 2016Roberto Loddo
In queste ore assistiamo ad un imbarazzante silenzio delle istituzioni di fronte ad una deriva razzista e sempre più violenta contro i sistemi di protezione delle persone migranti in Sardegna. Dall’attentato contro il centro di accoglienza di Monastir alla spedizione punitiva contro una casa che avrebbe dovuto accogliere richiedenti asilo a Burcei fino ad arrivare all’Apartheid dei bagni sperati per i bambini stranieri in una scuola privata di Cagliari, è come se alcuni cittadini sardi e rappresentanti delle istituzioni respirassero rancore e disprezzo contro ogni possibilità di interazione e accoglienza.
Questi pogrom contro i centri di accoglienza in Sardegna ricordano molto da vicino quelli razzisti guidati dalla Lega Nord. Eppure non siamo al Nord e alcuni di questi cittadini sardi che guidano le proteste contro l’accoglienza si definiscono addirittura di sinistra e antirazzisti. Allora cosa sta succedendo? Evidentemente non basta essere sardi e di sinistra per essere immuni al razzismo.
La Bossi Fini che equiparava l’esistenza degli stranieri ad un grave crimine è fallita insieme alle politiche dell’internamento nelle galere per migranti e dei respingimenti. Un fallimento costato oltre trentamila morti inghiottiti dal Mediterraneo che non incide nelle coscienze e nella memoria di alcuni cittadini sardi e amministratori comunali che continuano a praticare l’illusoria politica del Not In My Back Yard.
L’unica alternativa a questa deriva è il rafforzamento dell’impegno di accoglienza e di inclusione che faccia comprendere in maniera chiara e definitiva che non esiste nessuna discriminazione tra profughi, migranti e cittadini sardi in difficoltà. Le amministrazioni locali che non sono in grado trasmettere questo semplice concetto stanno alimentando il disordine pubblico e non stanno garantendo la sicurezza dei cittadini. Non è possibile fermare o ricacciare da dove sono partite le persone rifugiate e richiedenti asilo e i sindaci sardi che guidano le proteste anti-accoglienza non stanno solo illudendo e truffando i propri cittadini, ma stanno perseguendo un progetto criminale che genera violenza.
Non è più tollerabile l’immagine di un pezzo dello stato che si impegna per l’accoglienza e la protezione delle persone rifugiate e un altro pezzo dello stato che lavora per offendere le coscienze dei cittadini onesti facendo leva sui sentimenti più incivili.
Maria Tiziana Putzolu scrive nel nuovo numero del manifesto sardo una riflessione che non mi sento di condividere. Concordo sul fatto che nella gestione della macchina dell’accoglienza non esistano migliori soluzioni ma soluzioni possibili. Ma le soluzioni praticabili e sostenibili possono essere applicate solo se si risolvono le criticità dell’intero sistema dell’accoglienza in Sardegna. Il problema non parte dalle tasche dei comuni sardi ma dall’incapacità di sostenere i progetti sardi legati al sistema Sprar, pochi, caratterizzati da debolezza e precarietà e privi di una continuità nel tempo. Affermare che “I soldi non bastano per tutti” è sbagliato, o meglio, non ci sarebbe necessità di ribadirlo se tutti i soggetti coinvolti nella gestione dell’accoglienza in Sardegna facessero la propria parte.
Sarebbe utile e interessante organizzare un confronto sulle possibilità dell’accoglienza in Sardegna, organizzato all’interno di uno dei nostri comuni sardi maggiormente coinvolti, mi vengono in mente Monastir dopo le polemiche sull’ex scuola della polizia penitenziaria, o Cagliari, la città più grande della Sardegna addirittura priva di un progetto Sprar. Un confronto pubblico in cui si indaghi su quante energie e risorse siano utili nel risolvere i problemi legati alla lentezza e dalla macchinosità dei processi di inserimento dei richiedenti asilo e dei rifugiati e su quali possibilità esistano per superare l’utopia dell’interazione con i nostri futuri cittadini sardi.