I tagli alla politica
16 Giugno 2010Mario Cubeddu
C’era un tempo, prima della crisi, in cui la politica poteva dare in modo generoso. Il regalo più prezioso era il posto di lavoro negli Enti Pubblici, la mitica Regione, gli Enti regionali, i Comuni, le Province.
Centinaia, migliaia, di ottimi posti di lavoro. Impegno ragionevole, stabilità, buone retribuzioni. In cambio si doveva restare eternamente fedeli a chi ti aveva concesso di entrare in questo paradiso in terra. Anche se questa fedeltà non sempre era possibile mantenerla: se qualcuno poi è in grado di garantirti qualcosa di ancora più vantaggioso, come si fa a dirgli di no? La persona che ha ricevuto il beneficio acquista un’aura sacrale e diventa punto di riferimento per parenti, amici, vicini di casa. Tramite lui si spera di poter accedere alla fonte del privilegio, del soccorso in caso di necessità, dell’agevolazione non dovuta. In cambio di questa benevolenza si dà il proprio voto. Uno scambio ragionevolmente equilibrato: si concede la propria libertà di scelta, l’anima del cittadino democratico, in cambio di una vera o presunta facilitazione nell’affrontare le difficoltà dell’esistenza. Il nostro uomo arriva quindi a gestire un pacchetto di voti che mette puntualmente a disposizione di chi offre di più. Questo sistema ha prodotto il proliferare di un’occupazione pubblica di scarsa utilità, ha prodotto sprechi, ha portato alla creazione di strutture di spesa senza senso. Pochi tra i partiti presenti in Regione si sono realmente opposti a questa prassi. Da essa sono nate le 4 nuove Province sarde, ciascuna con due capoluoghi, da essa nascono curiosi fenomeni come l’Aeroporto di Oristano. Se si parla a quattr’occhi con qualsiasi politico, questi riconoscerà l’inutilità di una Provincia senza compiti e necessità precise. Eppure si è andati avanti sino all’istituzione, incuranti delle critiche provenienti da ogni parte. Allo stesso modo si moltiplicano gli aeroporti ingestibili. “Pressati” da esigenze imprescindibili del territorio e della sua gente, si dice. In realtà per avere nuove occasioni per una politica di scambio.
Ora che c’è la crisi, tutto questo dovrebbe cambiare radicalmente, se non finire addirittura. Si parla di cancellazione di un certo numero di Province, di tagli alle spese inutili. Il Governo nazionale e quello regionale si riempiono la bocca della parola riforma, ma si guardano bene dal toccare posizioni consolidate. Con il blocco delle assunzioni pubbliche risulta comunque difficile continuare ad immettere nuovo personale negli Enti. Le eccezioni suscitano un’immediata reazione degli esclusi. In questa situazione sembra in controtendenza una nuova partecipazione dei giovani alla vita amministrativa. Chi ha seguito interviste e dibattiti in occasione dell’ultima tornata di elezioni comunali e provinciali ha potuto osservare la presenza di molti ventenni e trentenni, candidati come sindaci o semplici consiglieri. Veniva da pensare che in caso di elezione non avrebbero certo avuto vita facile. I Comuni sono il principale bersaglio della politica governativa di tagli. Anche la condizione delle fasce più deboli della nostra popolazione è destinata a peggiorare.
Basta pensare alle sciagurate modifiche delle tabelle di invalidità che avranno pesanti ripercussioni sulla vita di tanti. E chi sta male va dal Sindaco o dall’Assessore comunale, non certo dal Presidente della Provincia e della Regione. Eppure i giovani si fanno avanti. Pare di poter vedere in questo un nuovo idealismo, una disponibilità generosa di tempo e di energie al servizio degli altri. Come se esistesse una parte consistente della nostra gioventù ben lontana dai miti berlusconiani e decisa a dare senso in modo diverso alla propria esistenza. D’altra parte, sono i giovani i primi che pagano le difficoltà familiari. Dietro ogni cassintegrato in lotta c’è una famiglia, ci sono i figli adolescenti o studenti universitari. Se questa impressione è fondata, la nuova disponibilità dei giovani è più vicina al boom del volontariato che non alla diffusione di una nuova sensibilità e maturità politica. Certi modelli di trasmissione del sapere e dell’esperienza, veicolati dai partiti, dall’esperienza scolastica, dalla vita di gruppo, sono oggi in crisi profonda. La comunicazione passa soprattutto per internet e le sue reti sociali. Da qui arrivano messaggi rapidi, spesso resi estremi e sbrigativi dalla loro stessa essenzialità. Quelli che hanno fatto la fortuna di Beppe Grillo. Eppure sinora questa nuova sensibilità non ha prodotto risultati evidenti. Mancano ai giovani interlocutori credibili. Questo significa che dovranno contare anzitutto su se stessi. E’ ciò che evidentemente stanno cominciando a fare. Per vedere i risultati ci vuole solo un po’ di tempo e di pazienza. Non lasciarli soli, sostenerli senza far pesare un proprio ruolo, è forse l’unico modo di aiutarli. Le organizzazioni politiche tradizionali non riescono ad essere abbastanza accoglienti da offrire spazi reali di azione. Tendono invece a selezionare i peggiori e a tenere a distanza chi appare capace di distinguersi e di crearsi un seguito. Nessuno è disposto a stare in una organizzazione senza la possibilità di poter contare qualcosa; il discorso riguarda i giovani in primo luogo.