Iahya
16 Gennaio 2014Gianfranca Fois
Quanti anni ha Iahya ? Appena l’ho visto gliene ho dato trenta, mal portati, ma lui mi ha detto 21 e, un altro giorno, 26.
Viene dal Mali, c’è la guerra in Mali, Iahya racconta in un italiano stentato, ma comprensibile, gli attacchi dei Tuareg, il popolo nomade di origine berbera che vive nelle distese sabbiose del deserto nel Nord del Mali, i confini dello stato, decisi (in modo artificiale) in periodo coloniale, vedono un Sud più ricco e urbanizzato e abitato da uomini di pelle scura. Proprio questo Sud è stato attaccato dai Tuareg che, numerosi, avevano fatto parte dell’esercito libico di Gheddafi e che dopo la morte del dittatore sono tornati in Mali portando armi con cui ribellarsi.
Iahya fa vedere a me e agli altri rifugiati, la cartina dell’Africa e la posizione del Mali, i luoghi d’origine dei Tuareg, le loro principali città e quelle che hanno conquistato.
I suoi genitori sono morti, ci racconta, e non ha fratelli né sorelle, non so come sia arrivato in Italia, mi imbarazza chiederglielo, è lui che decide che cosa raccontarci ma è contento del nostro interesse per le vicissitudini del suo paese. Iahya è alto, ha un corpo possente ma elegante e un viso largo e fiero. Ha una grandissima voglia di imparare l’italiano, si applica, frequenta presso il Co.Sa.S (Comitato sardo di Solidarietà, impegnato da più di venti anni con i suoi volontari nel campo dell’immigrazione) le lezioni del mattino e del pomeriggio e con la sua vivissima intelligenza si impadronisce dei meccanismi di una lingua così diversa dalla sua. Ma è anche altruista e cerca di suggerire ai suoi compagni, rifugiati che provengono dalla Guynea, dalla Somalia, dall’Etiopia, dall’Eritrea, vuole costruirsi un futuro, per questo ce la mette tutta.
Al ritorno dalle vacanze Iahya non è in aula al suo solito posto, poco prima di Natale, alla fine della lezione, non ha trovato posto sull’autobus che lo riportava al CARA di Elmas dove vive e ha deciso di fare la strada a piedi, poche curve prima di arrivare, nel buio della sera, Iaha è stato investito e ora si trova nella stanza di rianimazione di un ospedale di Cagliari.
Non ci è consentito vederlo né avere sue notizie, le potrebbero chiedere solo i suoi parenti, ma la sua famiglia non esiste più e i parenti si trovano in Mali, o il direttore del Centro che deve seguire più di duecento ospiti e, probabilmente, per lui Iahya è poco più di un nome.
Riusciamo ogni tanto, noi volontari del Cosas, di straforo e con evidente fastidio di chi ce le fornisce, ad avere qualche brandello di notizie che non ci fanno ben sperare sulla sua uscita dal coma.
Quello che ci assale è la rabbia, una rabbia impotente contro una sorte così avversa che ha fiaccato un uomo che era passato attraverso chissà quali terribili ostacoli per affermare la propria dignità di persona e il proprio diritto all’esistenza. Ma anche la rabbia contro chi applica la legge e i regolamenti in modo così ottuso, senza tener conto della persona e del contesto, come un qualsiasi procedimento burocratico.
Il CARA di Elmas, Centro di accoglienza richiedenti asilo, in parte anche CDA, Centro di accoglienza, si trova all’interno dell’aeroporto militare.
Dovrebbe ospitare per un periodo di 20-35 giorni coloro che richiedono asilo e che sono privi di un documento di riconoscimento, tempo ritenuto utile per consentire l’identificazione o la procedura di riconoscimento dello status di rifugiato. Fatto sta che molti rifugiati si trovano a Elmas da almeno tre, cinque mesi.
Quelli ai quali viene riconosciuto il diritto d’asilo non possono più stare nel Centro e in questi giorni alcuni hanno ricevuto dalla Caritas un biglietto per Civitavecchia e 50 Euro per partire, altri sono momentaneamente alloggiati presso un albergo ma presto dovranno andar via.
La situazione è drammatica, pare che ci siano anche circa 500 famiglie cagliaritane senza casa e la Caritas non ha grandi disponibilità finanziarie, ugualmente il Comune non sembra in grado di gestire una tale situazione che può diventare esplosiva.
E’ facile, grazie a certe campagne stampa o alle dichiarazioni di certe forze politiche, che nel nostro paese si scateni una guerra tra poveri e disperati mentre il governo regionale e quello nazionale mostrano la loro incapacità e indifferenza, la vergognosa legge Bossi-Fini continua ad essere applicata col risultato di rendere sempre più difficile la vita dei migranti e di lasciare irrisolte le questioni connesse all’interazione dei migranti nel nostro paese.
Ieri solo un rifugiato è presente alle lezioni di Italiano, gli chiedo come mai i suoi compagni non siano venuti. “Dormono, risponde, perché quando dormi non pensi”