Il carcere di cui non si parla (2° parte)
16 Maggio 2013Graziano Pintori
La legge Gozzini crea fermento nella popolazione carceraria, molti chiedono di essere ammessi alla “risocializzazione” sottoponendosi a estenuanti esami d’idoneità, per ottenere permessi o semilibertà. Alla fine degli anni ’80 e primi anni ‘90 cambia la tipologia del detenuto: consumatori e spacciatori di droghe, immigrati criminalizzati, ragazzi di periferia sostituiscono i residui degli anni ‘70. Sono le nuove leve che favoriscono, in modo impressionante, l’aumento delle persone ristrette: da 25.000 a 45.000. I nuovi detenuti sono dei disgraziati, non nutrono interessi e tanto meno altri s’interessano a loro, è difficile quantificarli, dove sono, se vivono o muoiono, all’esterno del carcere per loro c’è l’oblio. Per liberarsi della morte civile cui sono condannati, devono collaborare attivamente con la giustizia e fornire nomi e indirizzi di altre persone che hanno commesso reati. Solo così possono accedere ai benefici di legge. Solo così possono trasferire la loro sofferenza ad altre persone, solo così possono “mettere un altro al loro posto”. Vivono in una costrizione che fa precipitare l’umanità oltre i confini del buio assoluto, ossia l’aspetto repressivo e brutale che nel 1998 si presentò con il circuito di Elevato Indice di Vigilanza (EIV), riservato ai detenuti ritenuti di particolare “pericolosità desumibile”. L’aggettivo “desumibile” consente una procedura che sfugge spesso al controllo degli operatori del diritto, perciò spesso applicato con arbitrio. Dall’EIV ci si può sottrarre solo con la delazione, ossia decidere di “mettere un altro al loro posto”. Il nuovo circuito è una delle tante implicazioni del 41 bis ormai assimilato alla tortura, tanto è che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo mette l’Italia al 7° posto fra i 47 paesi dell’U.E., per la violazione dei diritti umani. Prova ne sia che un giudice di Los Angeles negò l’estradizione di un imputato per mafia: sostenne che il regime di detenzione previsto dal 41 bis equivaleva a una forma di tortura. Negli anni ’70 il carcere aveva la funzione primaria per comprimere le forze sociali costituite e operanti nel conflitto, nella trasgressione, nell’antagonismo in funzione di nuovi modelli culturali e nuove forme di aggregazione. Oggi il carcere è per quei “gruppi sociali a rischio” definiti, e vagamente ridefinibili, una volta come mafia, un’altra come camorra o n’drangheta, oppure anarchici, zingari, comunisti. Le parole “Terrorismo” e “Criminalità” sono utilizzate volutamente in modo generico per favorire l’indeterminatezza del pericolo e proclamare, senza tanti tira e molla, lo stato d’”emergenza criminale”. Da qui la criminalizzazione, volta per volta, di chi è ritenuto “socialmente pericoloso”, al quale in ambito carcerario si risponde con il 41 bis per le punizioni collettive, oppure, con il 14 bis per le punizioni individuali o “sorveglianza particolare”, che consiste in una forma di carcerazione ad personam.
In conclusione, chi è sottoposto a regime di 41 bis solo se decide di collaborare con la giustizia potrà transitare su altri livelli ordinari di carcerazione, solo con la “mercificazione del diritto” si possono evitare trattamenti crudeli, inumani e degradanti, assimilabili alla tortura. Il fine della tortura è ottenere sia informazioni, sia annientare l’identità personale del torturato per sostituirla con un’altra plasmata e asservita alla volontà dei torturatori. L’imbarbarimento della civiltà giuridica ha raggiunto il limite dei diritti garantiti quando un detenuto sceglie di “mettere un altro al proprio posto”, perché decide di “collaborare con la giustizia”, che è la prima domanda rivolta ai condannati con 41 bis.
Oggi le persone detenute sono 66.000 chiuse in 206 carceri, il tasso di carcerazione è di 115 persone ogni 100.000 cittadini, alla stregua degli indici delle malattie rare. Le statistiche ministeriali aggiungono: nel 2010 su 680 detenuti in 41 bis, 8 sono state le persone diventate “collaborative”; dal 1992 al 2011 la percentuale dei “collaboratori” si ferma all’1,87%. Le persone ristrette in 41 bis variano tra i 600 e i 1000. Il 41 bis non è solo abominevole per uno stato di diritto, ma è del tutto inefficace. Allora, perché tenerlo?
E per ultimo una mia riflessione sulla Sardegna.
A fronte della disponibilità per accogliere rifiuti da altre regioni, al fatto di dover sopportare i limiti e le nefaste conseguenze delle servitù militari, all’ingiustificato mancato adempimento delle entrate fiscali, lo spirito colonialista dello Stato utilizza la specificità geografica della Sardegna per trasformarla in un bunker per detenuti “pericolosi”. Le cifre pubblicate sui nostri quotidiani regionali parlano di 285 milioni per potenziare il sistema carcerario isolano, finalizzato alla “buona accoglienza per lo sbarco dei 1000”… nuovi detenuti, che si aggiungono ai 1800 già presenti. Cifre che portano ad avere 168 detenuti ogni100.000 sardi, contro i 94 previsti a livello nazionale dopo il progetto carceri. Tra i nuovi “arrivati” 184 sono sottoposti al 41 bis, mentre la maggioranza dei restanti sono sottoposti a sorveglianza speciale: quale miglior Cayenna nel cuore del Mediterraneo?
Sia di conforto ai sardi che un nuovo vento per l’industria turistica soffia sui quattro mori: il turismo carcerario, che si aggiunge a quello extra elitario della costa smeralda.