Il carcere di Iglesias non deve chiudere

1 Agosto 2014
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Daniela Caria

Pubblichiamo la lettera della portavoce dei familiari dei detenuti del carcere di Iglesias Daniela Caria. Una lettera importante a cui la redazione del manifesto sardo si associa. Sosterremo questi familiari e daremo spazio nel nostro giornale a tutte le loro iniziative contro l’assurda decisione di sopprimere la struttura (Red).

Mi chiamo Daniela Caria, sono portavoce del Comitato Familiari dei detenuti della casa circondariale di Iglesias dove mio marito è recluso da due anni. Più volte ho cercato di sensibilizzare il problema, il dramma, della chiusura del carcere, purtroppo con scarso successo dal momento che la decisione sembra già essere stata presa. Non mi do comunque per vinta, sono abituata a lottare per ottenere quello che voglio, specialmente se si tratta di diritti e non di pretese. Vorrei dunque che, ciò che sto per dire, serva a scaldare i cuori di chi ha preso la terribile decisione di sopprimere la struttura.
Mi rivolgo al Ministro Orlando e alla signora Laura Boldrini cosi come al Provveditore dell’amministrazione penitenziaria di Cagliari, Gianfranco De Gesu che, probabilmente, si occuperà dei trasferimenti dei ristretti in altre strutture dislocate nel territorio Sardo.
Parto dal presupposto che chiudere un carcere nuovo, efficiente e sopratutto non sovraffollato, sia una follia. Proprio ora poi che la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per le condizioni degradanti nelle quali riversano le nostre carceri. Proprio ora che si tappano i buchi, ma che dico buchi, voragini, creati da tale condanna, con decreti svuota carceri (che di fatto non svuotano proprio niente) e rimborsi da 8 euro al giorno a chi, per anni, è vissuto stipato in celle da due con altre 8 persone. Così ci si lava le mani e la coscienza. Dal momento che non funziona cosi, trattandosi di persone e non di cavie da laboratorio, la chiusura di Iglesias indigna ancora di più.
La questione è da analizzare dunque sotto un duplice aspetto. Primo: se la casa circondariale chiudesse, dove sarebbero destinati i nostri cari? Si parla di Sassari e Lanusei. Bella soluzione se non fosse per due particolari che qualcuno forse volontariamente tralascia. Il primo è che si trovano dall’altra parte della Sardegna. Il secondo è che si tratta di strutture già quasi al collasso.
Punto secondo: è possibile che ogni cosa che funzioni qui sia destinata a soccombere? La casa circondariale di Iglesias è costata cara ai contribuenti. E’ nuova, funziona. Qual’è il problema? Costa troppo? Ma si, chiudiamo. Tanto a chi importa del personale che ci lavora, tanto a chi importa dell’ennesimo spreco di denaro pubblico?
Ma la domanda più inquietante che io mi pongo è questa: qualcuno ha pensato mai che i detenuti sono persone e non pacchi postali? Qualcuno ha mai pensato al danno che arreca loro e a noi familiari questa chiusura? Dover riniziare tutto da capo in un posto nuovo, cominciare nuovamente il percorso di “reinserimento” e di “rieducazione” con psicologi, educatori, criminologi e via dicendo. Ma sopratutto.. a qualcuno è mai venuto in mente che i trasferimenti che derivano dalla chiusura saranno il colpo di grazia per parenti e ristretti? Vorrei che l’attenzione si concentrasse su questo problema fondamentale. Io personalmente non ho un lavoro, come potrei andare a trovare mio marito a Sassari? Io, così come i familiari dei 97 detenuti che allo stesso modo sono in preda alla disperazione. Chi per una ragione, chi per un’altra, si ritrova con l’acqua alla gola e con il cuore a pezzi. Non stiamo chiedendo la libertà, non sarebbe ne la sede ne il momento adatto per farlo. Vorremo solo continuare ad avere il diritto di fruire dei sei colloqui mensili che ci spettano.
Vorremo che fosse rispettato il nostro dolore, la nostra angoscia. Chissà se è così difficile capire che dietro ogni detenuto c’è una storia, c’è un vissuto, un’anima e un cuore. Il diritto alla vita non si nega a nessuno, neanche a chi è colpevole. Di questo stiamo parlando.. di diritto alla vita. Un’ora settimanale di colloquio per un totale di sei ore mensili. Dieci detenuti seduti su un tavolino che, non appena si apre la porta e vedono entrare i parenti riacquistano il sorriso, prendono una boccata di aria fresca. E noi familiari, dall’altra parte della sala che, vedendo i loro occhi brillare, abbiamo un motivo in più per aspettare quel giorno e per alzarci la mattina. Anche questo volete negarci? Impedirci anche questo? Implicitamente caro Ministro Orlando è questo che state facendo. Il carcere deve mirare al reinserimento del detenuto, alla sua rieducazione. In che modo può essere possibile questo se viene calpestata loro anche l’ultima briciola di dignità che è rimasta? A nessuno importa sentire la loro versione, nessuno si è interessato di sapere se, una volta trasferiti, avrebbero la possibilità di ricevere le visite dei propri familiari allo stesso modo in cui sta accadendo ora. Sono detenuti, sono pregiudicati, i loro diritti sono finiti nella spazzatura nel momento in cui si è chiusa davanti ai loro occhi quella maledetta porta con le sbarre.
Non auguro a nessuno di provare il dolore che sto provando io però una cosa mi sento di dirla. Nella vita nessuno è immune da niente dunque attenzione.. mettersi nei panni del più debole non è cosi tanto difficile. Mi rivolgo ora al Provveditore De Gesu. Chiedo, a nome mio e a nome del comitato, che i trasferimenti vengano disposti secondo il criterio di vicinanza al comune di residenza del detenuto.

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