Il colonialismo è estraneo?
1 Maggio 2015Marco Ligas
Centinaia di migranti, forse un migliaio, sono i morti dell’ultimo disastro accaduto nel Mediterraneo, esseri umani che cercavano di sottrarsi alle guerre e alla miseria, fenomeni ormai endemici in tanti paesi africani.
È l’ennesima tragedia del mare: questo è il commento degli organi di informazione, espresso da taluni con emozione, da altri con rassegnazione e indifferenza, talvolta persino con fastidio, come se si annunciasse una banale notizia di cronaca. Anche noi che sentiamo queste cose rischiamo di diventare insensibili, ascoltiamo in silenzio e non reagiamo.
Chi ci governa, al contrario, dà subito un’interpretazione precisa e univoca di questi avvenimenti, naturalmente quella più conveniente che esonera da qualsiasi responsabilità: sono gli scafisti i soli responsabili di tante vittime, questi trafficanti di uomini e donne che non esitano un solo istante a mettere a repentaglio la vita degli esseri umani per un tornaconto immediato.
Peccato che questa verità parziale si trasformi rapidamente in cinismo quando viene assunta come occasione per alimentare la violenza e la ritorsione contro i migranti, colpevoli di avvicinarsi alle nostre coste senza alcuna autorizzazione. Chi non ha sentito, nel corso di queste settimane, le proposte inquietanti fatte da rappresentanti delle istituzioni, finalizzate alla distruzione degli scafi o al blocco dei soccorsi in mare o, peggio, al rinvio dei migranti nei Paesi d’origine perché l’occidente non venga contaminato dalla presenza sgradevole e ingombrante di quella che viene considerata una umanità minore.
Se riflettiamo sugli esiti degli incontri ufficiali promossi dalle istituzioni europee ci rendiamo conto che non è emerso alcunché di nuovo rispetto alle solite affermazioni propagandistiche, nessuna proposta capace di affrontare le cause della fuga di centinaia di migliaia di esseri umani dai loro Paesi. Che si parli di Triton o di Mare Nostrum in Occidente prevalgono comunque le esigenze legate alla tutela dei propri territori, nessuno scrupolo nel ribadire che se l’esodo dovesse assumere dimensioni più rilevanti sarà necessario scoraggiarlo con l’uso di strumenti più adeguati, naturalmente repressivi.
È perciò scandaloso, sebbene scontato, che Paesi come il Regno Unito, la Francia e la Germania che hanno costruito le loro fortune e le loro ricchezze grazie alle politiche coloniali, oggi mostrino una totale insensibilità nei confronti delle popolazioni di quei Paesi che hanno prima depredato.
Non sorprende neppure l’affermazione di Cameron, primo ministro del Regno Unito, con la quale informa che il suo Paese è pronto a sostenere un impegno finanziario per affrontare la crisi del Mediterraneo solo a condizione che le persone salvate siano portate altrove, in territori più vicini, come l’Italia, e che non chiedano asilo nel Regno Unito.
Queste dichiarazioni sono un esempio di come l’impudenza non abbia limiti e come si incattiviscano le politiche internazionali dei Paesi cosiddetti forti quando vengono messi in discussione i privilegi consolidati.
Poco importa se, in seguito alla vittoria nella prima guerra mondiale, la Gran Bretagna ottenne il controllo sulle ex colonie tedesche in Africa e soprattutto, in compartecipazione con la Francia, sul medio Oriente. Non dimentichiamo che quei territori già garantivano abbondanti riserve petrolifere. Non è perciò un caso che in quegli anni non ci fu alcuna presa di distanze nei confronti dei Paesi africani e medio orientali.
Allora l’obiettivo era la rapina delle materie prime, oggi questa politica è meno praticabile; nel continente africano cresce la necessità di un nuovo corso che avvii la fuori uscita dalla crisi di quei Paesi.
Per queste ragioni la fuga dei migranti si contrasta in primo luogo costruendo le basi di una nuova organizzazione economica, politica e culturale nei territori colpiti dalle guerre e dalla miseria, naturalmente con la partecipazione e il protagonismo delle popolazioni locali e la direzione dell’ONU. Con lo stesso impegno occorre praticare l’accoglienza e la solidarietà in tutto l’occidente e porre fine alla vendita e al contrabbando delle armi che alimentano sempre più le numerose guerre che insanguinano il continente africano e il Medioriente.
Ostacoliamo dunque gli scafisti ma smettiamola di considerarli gli unici responsabili delle tragedie del Mediterraneo; la cause principali sono altre, più antiche e il colonialismo non è certo estraneo.
*Nell’immagine: Foto tratta dal blog di Alberto Masala
4 Maggio 2015 alle 13:38
Gli scafisti, trafficanti di vite umane, sono individui criminali e spregevoli come I trafficanti di droga. Ma sia i primi che i secondi esistono perché esiste un sistema che produce l’oggetto del traffico. Questo sistema, che poi è un ordine economico, esiste perché una minoranza della popolazione mondiale, dotata di potere, ne trae vantaggio. Ricondurre quest’ordine economico al colonialismo, può essere efficace sul piano della denuncia: il termine evoca ingiustizie a danno di aree geografiche deboli. Tuttavia ha il limite di richiamare porcate dell’Occidente ormai consegnate alla storia, offuscando le porcate, ancor peggiori, dell’attuale ordine economico in termini di devastazione delle aree deboli. Durante il periodo coloniale non si consumavano esodi in massa per fuggire da guerre (definite tribali o locali perché l’Occidente mette solo armi e regia ) o da fame. Lo sfruttamento del cotone prodotto da schiavi neri (il cui commercio era monopolio arabo), produceva nella madrepatria altra schiavitù: il lavoro salariato negli stabilimenti tessili. Oggi, in occidente, tutti in qualche modo, pretendiamo di scaricare sulle aree deboli i costi del nostro benessere, coadiuvati da ideologie reazionarie (nimbyste, e individualiste) figlie del capitalismo finanziario che ha sede nella City, a Dubai, a Singapore, nel Quatar ecc. e che specula su energia, ematerie prime e cibo, generando una disperazione mai vista prima. http://www.disinformazione.it/coltan.htm
6 Maggio 2015 alle 16:47
Una sola osservazione al commento di Oggiano: non credo che il riferimento al colonialismo offuschi le porcate dell’attuale ordine economico. È vero, i tempi passano e i cambiamenti fra i diversi periodi storici sono innegabili, credo tuttavia che per capirne meglio la natura sia opportuno cogliere la continuità col passato, e non solo sul piano della denuncia. Se oggi i migranti sono vittime di criminali, siano essi scafisti o trafficanti di droga, ieri la tratta degli schiavi e le traversate da un continente all’altro non avvenivano in condizioni più confortevoli. I carnefici di oggi non hanno più un contrassegno nazionale essendo figli, come sottolinea lo stesso Oggiano, del capitalismo finanziario e della globalizzazione. Ma ciò non riduce né offusca le loro responsabilità, piuttosto conferma il cinismo dell’intero Occidente che ancora oggi (come ieri) continua a sfruttare intere aree geografiche del pianeta e, al tempo stesso, rifiuta l’accesso nei propri territori ai migranti. Questo occidente non riesce e non intende proprio tutelare i diritti dell’uomo, né a praticare la solidarietà: questi principi gli sono del tutto estranei.